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Seinfeld resta un caposaldo delle sit-com?

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Seinfeld resta un caposaldo delle sit-com?

“Seinfeld” resta un caposaldo delle sit-com?

Se c’è un genere che amo alla follia sono le comedy. Senza nulla togliere al mondo drama, sono convinta che scrivere una comedy che sia realmente di valore sia diventato sempre più difficile. Non solo perché l’offerta in TV è talmente ampia da anni che molte idee sono state sfruttate e risfruttate fino allo sfinimento ma anche perché il pubblico è notevolmente cambiato dai tempi delle prime comedy (o sitcom).

Tanto per cominciare, le sitcom stanno sparendo: sia che si tratti di risate pre-registrate sia che ci si trovi davanti a pause tattiche per permettere ai reali “ah ah ah” di scemare, è indubbio che la scena di una sitcom appaia talmente artefatta da perdere il più delle volte la verve comica quasi in toto.

A ciò bisogna aggiungere la “Maledizione della quinta stagione”. Non la conoscete? Bhè, ve la spiego. Secondo una mia personalissima teoria, le comedy non dovrebbero superare la quinta stagione. Spesso i segni di stanchezza si avvertono già prima (intorno alla terza) ma generalmente sono poche le serie tv che hanno mantenuto un buon livello superata la quinta stagione. Direi che si contano sulle dita di mezza mano, quasi.

 

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Infine dobbiamo considerare l’attuale clima legato allo sfaccettato mondo dei diritti civili.

Entro in un argomento spinoso. Non c’è dubbio che molti classici luoghi comuni della comicità andassero denunciati per quello che erano e che i passi da compiere per dare una rappresentazione il più rispettosa possibile siano ancora tanti. Ma è anche vero che riguardare una vecchia serie tv e giudicarla (e poi scartarla in toto) sulla base della sensibilità contemporanea è una partita impari. Il motivo è molto semplice: le persone che l’hanno scritta e recitata non avevano la nostra attuale consapevolezza, le categorie oggetto di battute facili (nonché sciocche e superficiali, alle volte proprio offensive) non avevano la voce che invece hanno ora e il pubblico non era – per la maggior parte – capace di percepire l’errore dietro alcune gag. E non dimentichiamo che il mondo rappresentato in quei prodotti televisivi era un mondo più chiuso nei suoi stereotipi di quanto lo sia ora (immaginate quanto lo fosse, dunque!).

Per questo non sono d’accordo con l’applicazione della cancel culture in maniera acritica. Secondo me i prodotti culturali del passato DEVONO essere contestualizzati e, una volta fatto ciò, è FONDAMENTALE separare il brutto dal buono. Condannare il primo aspramente ma non dimenticare il secondo. Come si dice in gergo, non buttare il bambino con l’acqua sporca.

E questo ragionamento, secondo me, è tanto più vero per il mondo delle comedy che costruiscono da sempre parte dei propri meccanismi proprio sul politicamente scorretto.

 

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Ultimamente, complice la ricomparsa di alcuni capisaldi nelle fila dei cataloghi delle piattaforme, sto recuperando diversi classici del passato e li sto guardando, in alcuni casi per la prima volta, con l’occhio di una donna di più di 35 anni che ha visto il mondo fortunatamente (sotto alcuni aspetti) cambiare e la tv trasformarsi.

Fra i classici c’è proprio “Seinfeld”, responsabile della genesi di questo articolo/riflessione.

Per noi vecchietti (lo dico con un certo risentimento nei confronti di chi ci ha definiti i Millennial Geriatrici) “Seinfeld” è quel classico super decantato della tv del quale sentivamo continuamente parlare ma che eravamo troppo piccoli per apprezzarne veramente la genialità.

Sì, genialità. Perché “Seinfeld” è semplicemente geniale.

 

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Per chi non lo sapesse, “Seinfeld” prende il nome dal suo protagonista e ideatore, lo stand-up comedian Jerry Seinfeld che, dopo una delle sue serate in un locale, venne avvicinato da due dirigenti della NBC che gli offrirono un contratto per scrivere per loro una serie tv. Seinfeld lo fece e, proprio come accade in una trama delle stagioni dalla quarta in poi, decise di raccontare…il nulla.

Fateci caso. Non esiste, o quasi, trama orizzontale (al massimo possiamo parlare di gag ricorrenti). I protagonisti non hanno una crescita o maturazione. Ogni singola puntata si basa essenzialmente sui loro dialoghi: loro parlano, battibeccano (dando lezioni di chimica fra i membri di un cast, tra l’altro), si muovono all’interno dei ruoli da teatro classico che ognuno di loro ha e l’argomento è il nulla. Dove “nulla” è il quotidiano: dalla lotta per il parcheggio, all’attesa del proprio turno al ristorante, dalla tragicomica ricerca dell’auto nel silos di un supermercato, ai malintesi con parenti e affini, ai problemi nel relazionarsi col sesso opposto. Insomma, “Seinfeld” fa ridere perché, proprio come nelle stand-up comedy, parla allo spettatore mettendogli davanti le assurdità della vita quotidiana senza annoiare mai o risultare scontato o prevedibile (se non nei termini di “conosco il personaggio quindi mi aspetto che reagirà così”).

Essendo andato in onda dal 1989 al 1998 ha catturato da un lato il mondo in trasformazione degli anni ‘90, dall’altro anche una società ancora ben ancorata alla propria ignoranza, ai propri stereotipi.

E così abbiamo un George Costanza o Cosmo Kramer che sarebbero improponibili al giorno d’oggi, è vero. Perché, contrariamente a Howard Wolowitz di “The Big Bang Theory”, non smentiscono mai nei fatti ciò che dicono con la bocca. Cito Howard perché in molti lo hanno indicato come un esempio di personaggio politicamente scorretto: non vedo come visto che si comporta come uno sciovinista ma è fedelissimo a sua madre e sposa un donna come Bernadette, sostiene di aver paura di apparire gay ma nella sua amicizia con Raji abbatte stereotipi di mascolinità tossica come fossero tessere del domino.

Ma quindi, “Seinfeld” resta un caposaldo delle sit-com?

“Seinfeld” visto con gli occhi di oggi sarebbe certamente da modificare: dalla non diversità del cast a tutta una serie di battute, personaggi e stereotipi chiaramente oltraggiosi. Ma resta una caposaldo della comicità. Dopo di esso non ci sono state più serie tv capaci di fare ridere con così poco sforzo mentre sono tante quelle che ne sono state palesemente  influenzate. E se eliminiamo le evidenti problematicità (ovvero l’acqua sporca della mia metafora di prima) resta una serie tv che ha ancora molto da insegnare a chi scrive comedy oggi e che non ha perso nemmeno un’oncia della sua capacità di fare ridere.

E nel caso vogliate recuperla, la trovate su Netflx.

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Ha un passato da ladra insieme alle sorelle Occhi di gatto, ha difeso la Terra nel team delle guerriere Sailor e fatto magie con Terry e Maggie. Ha fornito i sigari sottobanco ad Hannibal e il suo A-Team, indagato con gli Angeli di Charlie Townsend, ha riso con la tata Francesca ed è cresciuta con i 6 Friends di NY. Ha imparato ad amare San Francisco difendendo gli innocenti con le Streghe, è stata un pivello insieme a Jd-Turk-Elliott, ha risolto crimini efferati con praticamente il 90% di poliziotti e avvocati del piccolo schermo e amato la provincia americana con Lorelai e Rory Gilmore. Avrebbe voluto che il Fabbricatorte non chiudesse mai e non ha mai smesso di immaginare Chuck e Sarah che «sedano rivoluzioni con una forchetta». Lettrice appassionata, Janeites per fede, amante delle storie sotto ogni forma fin da piccola. Segue serie poliziesche, comedy e sit-com soprattutto, uniche allergie riconosciute sono quelle allo sci-fi e all'horror.

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