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Sherlock | Recensione 4×03 – The Final Problem

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Sherlock | Recensione 4×03 – The Final Problem

Eccoci qui al finale della quarta stagione di “Sherlock”. “The Final Problem” è stato un vero e proprio giro sulle montagne russe, un turbinio di emozioni in quello che è stato davvero un incredibile viaggio psicologico nella famiglia Holmes.
Come tutti sappiamo, c’è stato anche un ritorno (sort of…) tanto atteso che ha fatto andare il pubblico comprensibilmente in visibilio (noi comprese, anche se c’erano foto che giravano da mesi).

Prima di partire vorremmo fare una considerazione molto profonda: la triste vita di noi spettatori di “Sherlock” è impareggiabile. Non possiamo essere felici della nuova stagione che è già finita ed è hiatus. DI NUOVO. E questa volta, God knows for how long.

Sam: Iniziamo, come sempre, con i riferimenti letterari al Canone. Il personaggio di Victor Trevor, il migliore amico di Sherlock da bambino, il vero RedBeard, deriva da “L’Avventura della Gloria Scott”, presente nel volume “Le Memorie di Sherlock Holmes” pubblicato nel 1894, ed è cronologicamente il primissimo caso dell’investigatore privato. Victor Trevor è un amico di Sherlock Holmes, presso la casa di famiglia del quale il futuro (a questo punto della storia) investigatore sta trascorrendo un soggiorno. Il caso coinvolge il padre di Victor, il cui vero nome era James Armitage ed egli era, in realtà, un criminale condannato alla deportazione in Australia (come usava ai tempi), coinvolto, durante il viaggio per mare, in un ammutinamento. In seguito a tali eventi, Armitage cambiò il proprio nome in Trevor e, con alcuni complici, tornò in Inghilterra da uomo ricco, ma un giorno l’unico testimone di quanto accaduto si presentò alla porta di casa Trevor (proprio mentre Sherlock Holmes era lì) e questo condusse alla morte del Sig. Trevor (Armitage).
Il titolo dell’episodio, “The Final Problem” (“L’Ultima Avventura” in italiano), deriva ovviamente dal racconto sempre presente nel volume “Le Memorie di Sherlock Holmes”, in cui il famoso detective si scontra con il Prof. Moriarty alle cascate di Reichenbach e muore (per poi essere riportato in vita in “L’Avventura della Casa Vuota”, dopo ben dieci anni di interruzione in cui Conan Doyle resistette alle pressioni del pubblico, che non voleva accettare la morte di Sherlock Holmes, e durante i quali, nel 1901, scrisse solo il secondo romanzo del Canone, “Il Mastino dei Baskerville”, ambientato in epoca antecedente a Reichenbach).


MoonRiSiNG: Riordinare i propri pensieri dopo un episodio tanto complesso, tanto disfunzionale (nel senso narrativamente positivo del termine) non è mai facile.
A maggior ragione se si aggiunge all’equazione la forte corrente emozionale che ha squarciato con violenza tutti i novanta minuti dell’episodio.
È stato un viaggio complesso, quello compiuto da Sherlock nel corso di “The Final Problem” e di questa quarta stagione in generale: la morte di Mary ha mandato in frantumi un guscio ormai già visibilmente incrinato e il detective si è trovato ad affrontare, totalmente nudo e impreparato, l’attacco impietoso del vento dell’est.
Il dipanarsi degli eventi è riuscito a catturarmi fin dal principio, ma il primo momento in cui sono letteralmente saltata su dalla sedia è stato quando sullo schermo è comparso lui (sì, non sto neanche a dirvi a chi mi sto riferendo e sì, avevo già avuto un mezzo scompenso sentendo la sua voce nella scena iniziale).


Moriarty è sempre stata una creatura estremamente teatrale, con il gusto per l’eccentrico e l’eccesso, un gusto che ha trovato la sua incarnazione ideale e perversa in Eurus e nel suo enigma finale, nel suo piano crudele che lo ha messo in condizione di architettare IL gioco per eccellenza, la sfida suprema alla quale per una volta Sherlock avrebbe voluto sottrarsi ma non ha potuto farlo.
Fatidici ed estremamente didascalici i primi secondi trascorsi insieme dalle due menti criminali: Moriarty non ha esitato un attimo ad avvicinarsi al vetro, spinto da un impulso implacabile, dal richiamo irresistibile per il proprio simile, dall’eccitazione dirompente per aver finalmente trovato qualcuno in grado di condividere, di interiorizzare, di CAPIRE quella fame divorante che non lascia tregua e che lo spinge a seminare morte e distruzione ancora e ancora e ancora.
I due si sono fronteggiati, si sono scrutati, si sono annusati come due predatori, perché per una volta non c’era bisogno di pensare ma solo di sentire.
La scena è stata resa graficamente in maniera estremamente potente, con i riflessi sul vetro che li hanno resi due personalità totalmente interscambiabili e contemporaneamente un unico essere, la cui voglia di vivere e di morire rischiava di esplodere in maniera prorompente (perché alla fine, come ha precisato la stessa Eurus, per Moriarty la scelta fra vita e morte era una questione di scarsa rilevanza).

Anche dalla tomba, Moriarty è rimasto sempre un avversario temibile, un torturatore sadico e un giocatore di livello eccelso e le registrazioni preparate per Eurus e per questa installazione finale hanno contribuito non poco a creare un senso di angoscia e di pressione allucinata.
Inutile ovviamente rimarcare in questo caso la qualità della prestazione attoriale di Andrew Scott, che con la sua inquieta mimica facciale e la sua intensità ci ha regalato il ritratto di un villain assolutamente memorabile.


Avevo sempre sentito in qualche modo un senso di irresolutezza in seguito alla morte di questo antagonista eccellente, come se la partita fra lui e Sherlock fosse stata interrotta di colpo per un motivo esterno e questo episodio mi ha portato in dono quella chiusura soddisfacente che aspettavo dalla fine della seconda stagione.
In alto i calici, quindi, per un personaggio che ha contribuito a costruire il fascino di questa serie televisiva e i cui piani, sebbene si siano rivelati in ultima battuta fallimentari, hanno rappresentato comunque un gioco così impegnativo da andare persino oltre gli incontentabili desideri di Sherlock.

Come dicevo prima, Sherlock nel corso dell’episodio si è trovato a gestire tutta una variegata gamma di emozioni a cui non era minimamente preparato e che lo hanno lasciato frastornato e rabbioso di fronte alla sua totale impotenza, alla sua incapacità di proteggere le persone che ama.
Questa tematica portante è in qualche modo riassunta e sublimata nel confronto e nel tentativo di salvare Molly Hooper.
In queste settimane io e Simona abbiamo discusso più volte della figura di questa giovane donna, prigioniera di un amore non corrisposto.
Molly sembra così diversa dalle altre donne della serie: Mary, Mrs. Hudson, Irene e la stessa Eurus sono figure forti, spregiudicate, che si guadagnano il loro posto in scena quasi con prepotenza.
Eppure la timida anatomopatologa, che potrebbe apparire quasi scialba se confrontata con le personalità sfavillanti ed estreme delle altre quattro, in un certo senso è anche molto simile a loro, perché condividono quella forza che in Molly non è forse ostentata in maniera così sfacciata, ma che è presente come un sottile filo d’acciaio che ne compone il nucleo.
L’istantanea della ragazza nella sua casa, sola, nervosa e chiaramente stremata è stata allo stesso tempo impietosa e commovente.
Come mi ha fatto giustamente notare Simona stamani, l’intera scena che l’ha coinvolta non è stata studiata in nessun modo per sminuirla o per renderla ridicola agli occhi degli spettatori, anzi: ci ha dimostrato una volta per tutte quanto Sherlock tenga a lei, lo ha costretto ad ammettere che lei conta davvero moltissimo ai suoi occhi e che, sebbene per lui rappresenti “solo” un’amica (e lo metto volutamente fra virgolette perché non esiste nulla come solo un amico per il minore dei fratelli Holmes, un’ammissione del genere porta con sé un peso impossibile da non considerare) sarebbe disposto a fare di tutto per salvarla… persino a ferirla nel peggiore dei modi contemplabili.



Ed è proprio il pensiero di averla lacerata a morte inutilmente che ha fatto sì che Sherlock sia caduto finalmente nella trappola di Eurus, perdendo definitivamente quel controllo che lo aveva tenuto prigioniero fin dalla morte ormai dimenticata di RedBeard.
Una perdita di controllo inarticolata, che si è trasformata in furia cieca e che gli ha fatto sentire il desiderio di distruggere, di colpire, di prendere a pugni qualcosa fino a farsi sanguinare le mani.

In generale questa stagione ha rappresentato una sorta di educazione emozionale per il detective, che è riuscito a uscire dal suo guscio e ha mostrato la pienezza della sua maturazione nella scena finale in cui si reca a trovare la sorella, finalmente tornata con i piedi saldamente ancorati al suolo, e riesce a connettersi con lei a livello intuitivo utilizzando il linguaggio della musica, che è quanto di più carnale, irrazionale e dirompente possa esistere su questa terra.

E veniamo ora al vero fulcro della vicenda, al motore dell’enigma finale, a colei che è al contempo vittima e carnefice e in cui sfumature commoventi riescono a convivere con contrasti talmente spiccati da risultare quasi stridenti.

Eurus è stata davvero una sorta di Cappellaio Matto, una figura imprevedibile in grado di sconvolgere le carte in tavola e di manipolare quasi senza nessuno sforzo il corso degli eventi per piegare il futuro alla sua volontà e al suo desiderio di essere salvata.
Il suo essere così immensamente dotata ha forse rappresentato in parte la sua condanna, perché gestire capacità del genere, soprattutto per una bambina in tenera età, deve essere terrorizzante e impossibile.
Eurus, rinchiusa nella sua prigione di vetro e di cartelli sospesi, con la sola compagnia delle “sue” guardie e di uno Stradivari, non è mai veramente cresciuta, non emotivamente almeno, e la sua voglia di studiare e di capire le interazioni e i comportamenti umani è stata probabilmente dovuta a un inconscio tentativo di riparare a quello che la natura e un’infanzia scellerata hanno rotto in maniera probabilmente irreparabile.
A suo modo Eurus voleva solo essere amata da suo fratello e per quanto questo possa sembrare un risvolto narrativo visto e rivisto e forse addirittura abusato, la delicatezza e l’originalità con cui gli autori hanno saputo dipingerla hanno regalato nuova vita a una tematica che rischiava di risultare stantia e hanno dato vita a un personaggio assolutamente peculiare e conturbante.

Sam: L’episodio è stato STREPITOSO. Un incredibile viaggio nella psiche della famiglia Holmes, in particolare quella di Mycroft e Sherlock, nonché nella storia della stessa.
Siamo ben consapevoli che ci sono spettatori che denunciano dei buchi narrativi, ma prestando vera attenzione alla narrazione dell’episodio ci si accorge che essi sono del tutto inesistenti.
Partiamo dall’inizio e, quindi, da Eurus che ha sparato a John. Come ha rivelato Sherlock al principio di questo episodio, Eurus aveva caricato la pistola con un tranquillante, ergo è oltremodo ovvio che John è svenuto ed è rimasto tale finché non si è risvegliato, solo, e non ha telefonato a Sherlock per rivelargli della sorella, rivelazione che ha portato alla scena di apertura della puntata.

Perché Eurus avrebbe sparato un tranquillante? Altrettanto ovvio. Sapeva cosa sarebbe successo dopo ed era ciò che voleva. Come ha rivelato Mycroft a Moriarty, la sorella è stata in grado di prevedere tre attacchi terroristici (chissà se tra questi c’era anche quello del volo 007, ispirato all’enigma di Coventry) stando un’ora sola su Twitter. Tenendo presente questo è elementare la conclusione: Eurus aveva previsto tutto; di più, i tre uomini si sono mossi come povere pedine del suo piano, perché tutto ciò che ha fatto, flirtare con John, fingersi la sua terapista, la figlia di Smith, è stato per studiarli al fine di attirarli nella trappola che lei aveva orchestrato. Li ha manovrati come marionette e loro hanno fatto tutto ciò che lei voleva e aveva previsto (fino a un certo punto).
Eurus voleva il tempo di tornare a Sherrinford per aspettare Sherlock, Mycroft e John, perché sapeva che quest’ultimo avrebbe rivelato tutto a Sherlock, sapeva che il fratello avrebbe chiesto spiegazioni a Mycroft e che questo li avrebbe portati a temere una falla nella sicurezza dell’isola e dell’istituto e quindi li avrebbe portati proprio lì da lei per controllare e vederla… e lei aveva in pugno tutti, in quel penitenziario così speciale. Tutti. L’intero istituto era in suo potere, infatti ne entrava e usciva come voleva (ed ecco come ha fatto trasportare gli uomini a quella che era la casa di famiglia in campagna) e, come è stato mostrato proprio in questo episodio, anche gli infermieri e gli agenti di basso rango erano in suo potere. Era tutto pianificato da Eurus e naturalmente, poiché è un genio tra i geni, gli eventi si sono svolti come lei aveva previsto.

Nemmeno Moriarty, o meglio, il fatto che Sherlock fosse convinto che fosse lui e aspettasse la sua mossa, che così sembrasse dalla 3×03 “His Last Vow”, rappresenta un buco nella trama. Anche qui, infatti, la spiegazione è di una semplicità disarmante e basta tenere presente il Canone per giungere a comprendere che Sherlock si sbagliava (e non solo lui). E peraltro, nello show Sherlock Holmes non ci è stato mai mostrato immune da errori, nonostante il suo genio (lo stesso vale per Mycroft).
Sin da quel finale della 3×03 il mio pensiero è sempre stato lo stesso: “Può essere davvero Moriarty solo se è vivo, altrimenti non è possibile. Come potrebbe essere lui, se è morto e la sua rete non esiste più?”
Una domanda che mi ha assillato. Perché? Per un solo motivo: proprio come Sherlock Holmes narra al Dott. Watson nel racconto che vede il suo ritorno in vita, “L’Avventura della Casa Vuota”, nello show la 3×01 “The Hempy Hearse”, dopo la caduta ha passato i due anni in cui si è finto morto a smantellare la rete criminale di James Moriarty, che si dipanava in tutta Europa. Nel Canone, l’ultimo nemico di essa è il vice di Moriarty, l’ex ufficiale britannico Sebastian Moran, il miglior tiratore scelto forse dell’intero Continente, che nel racconto gli dà la caccia per ucciderlo (e quasi vi riesce).
Tenendo presente questo risulta subito chiaro che avrebbe potuto essere solo Moriarty soltanto se fosse stato ancora vivo (cosa che naturalmente avrebbe poi reso necessaria una spiegazione sul come potesse esserlo) e, quindi, in possesso di qualche mezzo, altrimenti non avrebbe potuto perché nemmeno la sua rete esisteva più, ormai da anni, al momento del finale della 3×03 e di questi eventi, che si sono svolti meno di un anno dopo.
Una volta tanto, Steven Moffat non ha mentito sul plot twist, Moriarty era davvero morto e c’era qualcun altro dietro il suo nome (almeno sino a ulteriori smentite).
Eurus ha usato Moriarty, e viceversa, per arrivare ai fratelli e così facendo è stata anche lo strumento della vendetta di Moriarty che, come credo tutti avessimo inteso sin dalla 2×03 “The Reichenbach Fall”, di certo non poteva davvero andarsene in pace, lasciando possibilmente vivi e intoccati Sherlock e Mycroft. Cosa voleva Moriarty? Era chiaro sin dalla 2×01 “A Scandal In Belgravia”. Non solo voleva abbattere Sherlock, voleva annientare entrambi, anche Mycroft. Ancora di più: come ha rivelato Euros, voleva che si annientassero a vicenda. Il che è comprensibile, Moriarty non solo era una geniale mente criminale, era spietato e anche piuttosto folle e i due fratelli Holmes erano i suoi nemici. Sherlock in particolare, ovviamente, ma non bisogna dimenticare che Mycroft lo fece arrestare e torturare, motivo per cui Moriarty di certo non poteva essere ben disposto nei suoi confronti.

In realtà, quindi, questa 4×03 ha tirato moltissimi fili, ricongiungendoli, giungendo alla loro conclusione, chiudendo un cerchio (si spera, come hanno detto Moffat e Gatiss, per aprirne un altro). Queste quattro stagioni sono state una crescita costante di Sherlock come uomo, persona, a livello umano: nella 1×01 “A Study In Pink”, Lestrade disse a John a proposito di Sherlock, “He’s a great man. And if we’re lucky, one day he might be a good one”; in quest’ultimo episodio il giovane poliziotto ha detto a Lestrade, riconoscendo Sherlock, “He’s Sherlock Holmes? The detective? He’s a great man” e Lestrade ha ribattuto, “He’s better than that. He’s a good man.”


Sin dal primo episodio della serie ci hanno detto che c’era di più in Sherlock di quanto si vedesse, che quel suo codice etico, quella sua volontà, necessità, di assicurare i colpevoli alla giustizia, nata quando lui era solo un ragazzino, doveva avere radici profonde. E con “The Final Problem” le hanno svelate: Euros e il fatto che la sua stessa sorella avesse fatto del male a un bambino.
Splendido, a tal riguardo, il simbolismo dell’acqua (che peraltro è elemento purificatore), niente affatto casuale, ma del tutto studiato e voluto da Moffat e Gatiss: Victor morì nel pozzo; Carl Powers (il ragazzino che fu ucciso da Moriarty quando anche quest’ultimo era tale, così come lo era Sherlock, per il quale Carl Powers fu il primo caso) morì annegando in piscina (a causa dell’avvelenamento); Moriarty e Sherlock si incontrarono ufficialmente in piscina e proprio lì, durante la loro discussione, Moriarty lo minacciò di bruciargli il cuore e quando Sherlock replicò che su di lui il giudizio era che non ne avesse uno, Moriarty rispose che non era vero (e infatti non lo è mai stato); lo scontro finale tra Sherlock e Moriarty ha come simbolo le cascate; Euros è rinchiusa in uno stabilimento che si trova su un’isola, circondata dal mare.
Senza che noi spettatori lo sapessimo, attraverso quasi tutto l’arco dello show Moffat e Gatiss hanno posto sotto il nostro naso ciò che ha forgiato Sherlock. Per quattro stagioni più uno speciale, attraverso John e Mycroft, Irene e Moriarty, Mary e Magnussen, ci hanno detto di osservare e vedere davvero, di non limitarci a guardare, e ora hanno ricongiunto tutto ciò che ci hanno mostrato in sette anni (e non solo, anche in questo episodio: nei disegni di Euros bambina si vede un bambino dai capelli rossi sul quale lei tira una “x”… era Victor quel bambino disegnato, “RedBeard”).

In “The Abominable Bride”, rispondendo a una domanda a lungo reiterata non solo nella mente e dalla bocca di John, ma anche in quella degli spettatori, Sherlock ha detto “Nothing made me. I made me”, eppure anche in quel momento, che si svolse nella sua mente, ci dissero che non era vero, infatti il “I made me” fu sussurrato da uno Sherlock distratto da un’ombra che stava passando… “RedBeard”. E poiché quella era la mente dello stesso Sherlock, ciò significa che anche lui si poneva quella domanda e ne cercava la risposta… e la sua mente provava a sbloccarsi per fornirgliela.
Grazie a “The Final Problem” sappiamo, ora, che niente in quelle affermazioni era vero e che tutte quelle asserzioni (e convinzioni), per cui “I sentimenti sono un difetto” e via dicendo, erano una conseguenza di Euros e delle sue azioni. Tutto è esattamente come ha detto Mycroft: “Every choice you’ve ever made, every path you’ve ever taken… The man you are today… is your memory of Eurus.”

Ovvero di ciò che lei ha fatto a Sherlock, di ciò che ha fatto a Victor, il suo migliore amico. E Sherlock per quel dolore, inflittogli da sua sorella minore (seppur a livello inconscio, perché bambino, sapeva che lei era la colpevole e quale immenso dolore una cosa del genere debba essere lo si può solo immaginare) si è chiuso al mondo ed ecco perché, in questa versione di Sherlock Holmes, lui rifiuta l’amore, anche quello romantico. E infatti, Mycroft ha rivelato che dopo quel trauma Sherlock cambiò e non fu più lo stesso.
Eppure l’amore è entrato nonostante tutto: l’amore per Mycroft, che è sempre esistito, l’amore per John, l’amore per Mary, l’amore per Molly, l’amore per la signora Hudson, l’amore per Lestrade, l’amore per Irene (che non per niente Magnussen nella sua analisi indicò come uno dei suoi pochi punti deboli). Irene che, di nuovo, seppur solo in senso figurato è stata presente anche questa volta: non solo perché alla domanda di Mycroft “Chi ti ama?”, John ha immediatamente risposto “Irene Adler”, ma soprattutto perché quando Eurus ha chiesto a Sherlock di suonare non Bach, non una musica qualsiasi, ma se stesso, lui ha suonato la musica composta pensando a Irene… e infatti la sorella ha immediatamente colto il nesso romantico. Ciò non vuol dire, ovviamente, che la coppia Sherlock-Irene si realizzerà mai, perché questo è Sherlock Holmes e lui può anche essere innamorato di lei, ma non staranno mai insieme, né lui sarà mai visto in coppia. E’ Sherlock Holmes.
Eppure l’amore in lui è entrato e si è sviluppato in vari modi nonostante il suo rifiuto, perché proprio il suo codice etico lo ha sempre reso “a good man”, una cosa di cui Sherlock doveva solo rendersi conto e che doveva accettare. E che ora, grazie a Mycroft, Mary, John, Molly, la signora Hudson, Lestrade, persino Irene, ha accettato.

Altro simbolo di questi fili che si sono dipanati per tutto il corso della storia, in questi anni, è l’esplosione dell’appartamento al 221 B: Moriarty fece esplodere quello di fronte per palesarsi, Eurus ha fatto esplodere il 221 B. Ed Eurus e Moriarty erano connessi.

Dicevamo, però, che questo episodio è stato un viaggio nella psicologia dei fratelli Holmes, quindi sì, anche di Mycroft.
“The IceMan” lo aveva soprannominato James Moriarty. E aveva torto. Anche per Mycroft, sin dalla 1×01 gli autori hanno mostrato che c’era molto di più sotto quell’aspetto glaciale e disgustato dall’umanità. Ci hanno fatto vedere quanto fosse profondo il suo amore per il fratello minore, quanto fosse costantemente preoccupato per lui e volesse prendersene cura, cosa mostrata attraverso tutte le stagioni: la 1×01 “A Study In Pink”; la 2×01 “A Scandal In Belgravia”, la 2×03 “The Reichenbach Fall”, la 3×03 “His Last Vow”, “The Abominable Bride”, la 4×01 “The Six Thatchers”, la 4×02 “The Lying Detective” e ora questo terzo e ultimo episodio della quarta stagione, “The Final Problem”.
In quest’ultima puntata, infatti, abbiamo scoperto che Mycroft ha controllato il fratello per tutta la sua vita al fine di verificare le conseguenze del trauma subito da Sherlock, dal ricordo della loro sorellina minore che uccideva il suo migliore amico, e che tutte le scelte di Sherlock, probabilmente anche le droghe, sono state conseguenze di quel trauma, dal quale Mycroft ha cercato di proteggerlo e salvarlo (così come ha cercato di proteggere i genitori… sbagliando, ma il suo intento era quello). A Sherrinford voleva sacrificarsi al posto di John sia perché quest’ultimo ha una figlia, sia perché John è la persona di cui si fida per badare a suo fratello, non voleva che fosse fatto del male a degli innocenti, era preoccupato per Molly… IceMan? Niente affatto. “The Final Problem” ci ha rivelato che Mycroft ha imparato a sua volta a proteggersi, perché è sempre stato da solo e da solo ha sopportato il peso della verità, ha portato il peso della sorella, delle difficoltà del fratello (ovvero una sorella pazza e un fratello drogato), nonché di molte scelte a livello politico, che per quanto discutibili possano essere mirano a tutelare lo Stato e i suoi cittadini.
Onore a Mark Gatiss per la sua splendida interpretazione di Mycroft Holmes sia dal primo episodio.

E proprio questo è ciò che Moriarty non aveva considerato e che ha fatto fallire il suo piano e quello di Eurus, ciò che ha privato di fondamento le affermazioni di Moriarty, il quale, non a caso, arrivato a Sherrinford si è tolto gli auricolari proprio sulla frase “I’m falling in love”, prima di “love”, una scelta simbolica. Moriarty non aveva considerato una variabile fondamentale: l’amore. Quello fraterno in questo caso. Pensava che i fratelli Holmes si sarebbero annientati a vicenda perché non aveva minimamente capito che nonostante le frecciate e i reciproci insulti i due si amano infinitamente e nessuno dei due sacrificherebbe mai l’altro. E lo stesso errore lo ha commesso Eurus, infatti i tranquillanti sparati sono stati solo due, perché pensava che due sarebbero state le persone sopravvissute.

Amore fraterno, un sentimento che, unito alla pietà, Sherlock e Mycroft hanno avuto anche per la sorella, che in fondo è malata.
In ogni caso e anche se Eurus non era una vera villain (perché è pazza), nella 1×01 Sally Donovan aveva detto a John che Sherlock prima o poi sarebbe passato dalla parte dei criminali e in quest’ultimo episodio della quarta stagione ci hanno mostrato cosa accadrebbe se un Holmes lo facesse. Una catastrofe.
Questa sorella si è rivelata incredibile. Terrificante per quanto sia folle, eppure abbiamo scoperto che è anche un’anima tormentata e traumatizzata. A un certo punto è diventato ovvio che la bambina fosse lei, poiché passava troppo tempo e l’aereo non precipitava. E’ sembrata, dunque, avere anche una sorta di sdoppiamento della personalità.

Menzione a John Watson, un bellissimo personaggio sempre e comunque, una bellissima versione che finalmente dà giustizia a quello che, leggendo il Canone, sembra un sempliciotto ma che, invece, è un uomo forte e coraggioso. E onore a Martin Freeman per la splendida interpretazione che ne dà, riuscendo, anche se non è fisicamente prestante, a conferirgli anche autorevolezza e farlo essere autoritario, tanto da mettere a tacere persino Mycroft.

MoonRiSiNG e Sam: E ora passiamo ad alcune considerazioni umoristiche e sul finale.
Ci prendiamo un momento anche per spendere due parole su Mrs. Hudson, che in questo frangente non ha assolutamente perso l’attitudine da badass rivelata nel corso del secondo episodio.


La scena in cui si è presa sfacciatamente gioco di Mycroft, facendolo cadere in un trucchetto che avrebbe insospettito qualunque persona normodotata vagamente a conoscenza della personalità della donna, è stata in qualche modo emblematica e ha confermato una volta di più la fondatezza della sua convinzione che i fratelli Holmes sono in qualche modo immensamente sopravvalutati.
E che dire del ballo mentre faceva le pulizie? Strepitosa.

E sull’entrata di Moriarty anche: Ely vi ha già detto, ma io, Sam, saltavo, cantavo e urlavo tutto in contemporanea, mentre vedevo la diretta sulla BBC. Che entrata in scena. Andrew Scott ha preso un Professore universitario e l’ha reso una rock star. Per circa un minuto Moffat e Gatiss ci hanno preso sonoramente per i fondelli facendoci credere che fosse vivo… per poi dare concretezza ai nostri sospetti e dubbi che quella scena risalisse al famoso Natale di cui si parlava. (Ed è in momenti come questi che li vedo ridere sadicamente… well done, Satana e Satana’s Best Fiend.)
Ciononostante, che entrata in scena. E la folla in delirio in sottofondo? Eravamo noi.

Un ultimo pensiero, così come è successo negli scorsi episodi, va a Mary, che è riuscita a riassumere in un unico, toccante messaggio di addio quella che è l’essenza di Sherlock e Watson, due uomini danneggiati e feriti che sono riusciti a trovare nel rifugio sicuro del loro appartamento una dimensione che permette loro di superare i traumi passati e di convivere con tutte le loro manchevolezze e le loro imperfezioni, rendendole anzi dei punti di forza.
Non sappiamo se Moffat terrà fede a quanto ha accennato in questi giorni e ci farà veramente il grande dono di un quinto capitolo, quello che è certo è che, per quanto mi riguarda, “The Final Problem” non è solo uno squisito finale di stagione, ma potrebbe rappresentare anche un series finale più che soddisfacente.
Il finale, infatti, è stato effettivamente una chiusura che varrebbe anche come chiusura di serie, ma noi non vogliamo che sia così, vogliamo altre stagioni. Due. Anche tre. Ci sono ancora tante storie cui attingere, come “La Lega dei Capelli Rossi”, che volevano già realizzare in questa stagione, dei romanzi hanno realizzato “Uno Studio In Rosso” (diventato “In Rosa”), “Il Mastino Dei Baskerville”, “Il Segno dei Quattro” (utilizzato due volte e, per il titolo, diventato “Dei Tre”), quindi manca “La Valle Della Paura”
In ogni caso, è stato un bellissimo finale, dolce e malinconico per la presenza di Mary (molto bella e gradita). Bellissime le scene di Sherlock ed Eurus che suonano insieme.

 

E vorremmo anche aggiungere che alla luce di questo

e che Rosie ha circa un anno in queste scene (e quanto è carina!), come si vede, questo è possibile.

Noi lo vediamo. Datecelo.

Sfortunatamente, come abbiamo con detto con “Sherlock” non si fa in tempo a dire “Nuova stagione!” che è già hiatus, ergo, non possiamo darvi appuntamento al prossimo episodio perché la stagione è già finita.
Vi ringraziamo per aver letto le nostre recensioni di questo strepitoso show e ringraziamo, ovviamente, le pagine che le hanno condivise, di cui vi ricordiamo qui sotto i nomi.
Speriamo di ritrovarci per la quinta stagione!

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Sam
Simona, che da bambina voleva diventare una principessa, una ballerina, una cantante, una scrittrice e un Cavaliere Jedi e della quale il padre diceva sempre: “E dove volete che sia? In mezzo ai libri, ovviamente. O al massimo ai cd.” Questo amore incondizionato per la lettura e la musica l'ha portata all'amore per le più diverse culture (forse aiutato dalle origini miste), le lingue (in particolare francese e inglese) e a quello per i viaggi. Vorrebbe tornare a vivere definitivamente a Parigi (per poter anche raggiungere Londra in poco più di due ore di treno). Ora è una giovane legale con, tralasciando la politica, una passione sfrenata per tutto ciò che all'ambito legale non appartiene, in particolare cucina, libri e, ovviamente, telefilm. Quando, di recente, si è chiesta in che momento, di preciso, sia divenuta addicted, si è resa conto, cominciando a elencare i telefilm seguiti durante l'infanzia (i preferiti: Fame e La Famiglia Addams... sì, nel fantasy ci sguazza più che felicemente), di esserci quasi nata. I gusti telefilmici sono i più vari, dal “classico”, allo spionaggio, all'ambito legale, al “glamour”, al comedy, al fantastico in senso lato, al fantascientifico, al “giallo” e via dicendo. Uno dei tanti sogni? Una libreria. Un problema: riuscirebbe a vendere i libri o vorrebbe tenerli per sé?

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