
Dopo cinque settimane di episodi gradevoli, ma tutto sommato non impressionanti (con la sola eccezione del terzo), domenica sera “Doctor Who” è tornato a fare quello che gli riesce meglio: emozionare. “Demons of the Punjab” si è rivelata, a mio modesto parere, la puntata migliore di una stagione che stentava a decollare.
Ancora una volta “Doctor Who” dimostra di dare il meglio di sé quando affronta momenti storici di grande conflitto, come già in “Rosa”. Il tema del razzismo viene come sempre affrontato in maniera delicata, con un dolente rispetto e una sensibilità che rendono pienamente giustizia ai temi trattati.
Del resto la discriminazione è sempre stato un tema caro a questo show ed è stato più volte affrontato nella sua era moderna.
Ho apprezzato la scena della partenza per svariati motivi. Ho amato enormemente il momento in cui Thirteen mostra l’eterno amore del Dottore per il suo TARDIS, invitando Graham a non chiamarlo “cosa”.
Quando poi descrive le sue capacità è impossibile non notare l’evidente affetto che prova per il suo più fedele compagno di viaggio.
Con il passare degli episodi sto imparando anche a rivalutare questa strana triade di companion. Il loro genuino entusiasmo nell’affrontare ogni nuova avventura, ogni nuova sfida, è una boccata d’aria fresca ed è esattamente ciò di cui il Dottore in questo momento ha bisogno.
Ovviamente la puntata è stata focalizzata principalmente su Yaz, che, almeno a mio parere, non è riuscita però a emergere in maniera netta dallo sfondo.
Ancora una volta, invece, non posso fare a meno di manifestare tutto il mio apprezzamento per Graham, che si dimostra come sempre immensamente umano.
La sua commozione poco prima del matrimonio è palpabile e contagiosa. È questo forse il pregio maggiore di questo personaggio (e del suo interprete, Bradley Walsh), quello di saper veicolare coinvolgimento in maniera potente e totale.
Di fronte all’inevitabile, di fronte all’inconcepibile, Graham riesce comunque a trovare le parole, anche quando sembra impossibile.
“All we can strive to be is good men.
And you, Prem… You’re a good man.”
I Thijarin, seppur per diversi motivi, mi hanno trasmesso lo stesso senso di struggente commozione. Mi hanno ricordato moltissimo Ten ed Eleven e la loro malinconica solitudine. Ancora una volta l’antagonista non è quello che sembra e l’essere umano rivela di essere a tutti gli effetti l’unico vero mostro.
E il Dottore si trova una volta di più a dover fare i conti con la consapevolezza che, in fin dei conti, certi destini sono segnati e che non tutti possono essere salvati…
A fare da cornice a un episodio già di per sé stupendo, la favolosa ricostruzione dei paesaggi del Pakistan, con il loro tripudio di colori caldi. Il livello tecnico di questa stagione si conferma altissimo, soprattutto per quanto riguarda la fotografia.
A visione conclusa mi è rimasto un solo dubbio: il Dottore avrà raccontato alla sua nuova ciurma di essere stato un uomo? La reazione di Yaz non mi è sembrata particolarmente sorpresa, ma potrebbe semplicemente aver pensato all’ennesima stranezza della sua compagna di viaggio.
Nella top 3 di questa settimana non potevano mancare:
- Il momento della morte di Prem, assolutamente devastante;
- La scena del matrimonio e il discorso del Dottore;
- Il racconto dei Thijarin e la spiegazione della loro missione.
Come al solito, vi do appuntamento alla prossima settimana e vi lascio con il trailer di “Kerblam!”
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