Dopo la scorsa puntata mi aspettavo di vedere due fronti netti in azione, uno a Polis, a reggere la precaria situazione politica, e l’altro ad Arkadia, a cercare di trovare una soluzione all’imminente catastrofe nucleare; e invece le strade si sono ulteriormente divise, creando anche delle interazioni che fino alla stagione scorsa avrei ritenuto altamente improbabili, ma che mi hanno sorpreso in positivo.
Partiamo da Polis, e in questo caso la coppia improbabile è quella formata da Kane e Octavia. I due completamente agli estremi: Kane è un perfetto diplomatico, riflessivo e lungimirante, che ha capito la cultura dei Grounders e procede sulla strada della non violenza per cercare di risolvere questioni estremamente delicate e salvaguardare il bene del suo popolo; Octavia invece è irruente, impulsiva, ha fatto propria la filosofia più violenta del mondo dei Grounders e non si fa problemi a eliminare i problemi alla base senza troppi giri di parole. Dove la diplomazia fallisce, Octavia è pronta a diventare la mano armata di Kane (volente o nolente) e risolvere a modo suo la situazione. Per quanto strana, questa accoppiata sembra però funzionare; i Grounders dopo tutto non si sono mai dimostrati troppo aperti al dialogo, per cui, senza l’intervento di O, la missione di Kane avrebbe fatto un buco nell’acqua. Vedere Octavia in azione è sempre una nota positiva, però mi sento di dover fare comunque un appunto: dopo la perdita di Lincoln si è giustamente chiusa in una corazza, combattendo il dolore con rabbia e desiderio di vendetta, però non vorrei che perdesse la sua parte più umana per venir sfruttata semplicemente come macchina da guerra; emotivamente è un personaggio che ha veramente tanto da mostrare e limitarla al ruolo di donna d’azione mi sembrerebbe uno spreco – anche perché dubito che il tormento interiore si sia spento con la morte di Pike…
Nonostante sia diventato il nuovo Flame Keeper, la leadership di Roan è ancora appesa a un filo, e sicuramente non sarebbe stato in grado di affrontare uno scontro all’ultimo sangue e uscirne vincitore. Apprezzo il fatto che, come Lexa, anche lui cerchi di essere un re più lungimirante, in grado di scendere a compromessi e non risolvere tutto con una carneficina; la sua fiducia in Clarke non è totale come era sembrata nella scorsa puntata, ma almeno le concede il beneficio del dubbio, e, per le circostanze a cui siamo abituati, direi che è già una gran cosa.
La baldanza dell’avere il lasciapassare di Roan si esaurisce dopo due secondi, dato che come al solito il popolo della Ice Nation non brilla certo per buone maniere e non è probabilmente ancora stato informato del cambio politico al vertice di Polis (non che, secondo me, la cosa avrebbe fatto la differenza). Quando però riescono a entrare, i ragazzi scoprono una situazione che di certo non si aspettavano e The 100 diventa di nuovo teatro di una forte scelta morale. Dopo aver sterminato i superstiti della stazione agricola, innescando tutte le vicende legate a Pike, i guerrieri di Azgeda ne hanno preso possesso e hanno reso schiavi i pochi sopravvissuti. Il dilemma quindi si pone sul chiudere gli occhi di fronte a questo fatto e riportare ad Arkadia il generatore, dando così speranza di sopravvivere a centinai di persone, oppure rischiare il tutto per tutto (generatore compreso) per liberare i prigionieri. È un topic che già si era proposto a Mount Weather, solo che in quel caso la scelta poteva apparire più facile, perché, sebbene gli abitanti del rifugio fossero in gran parte innocenti, sull’altro piatto della bilancia si ponevano i loro compagni; stavolta invece si tratta di persone conosciute, del loro stesso popolo, ed è solo una questione di numeri e di responsabilità. Nel mezzo però c’è stata una terza stagione fatta di scelte ancora più difficili, di massacri e di immense perdite, a gravare sul cuore di tutti, e in particolare ovviamente su quello di Bellamy. Harper e Bryan votano ovviamente a favore della liberazione degli schiavi, l’una per aver provato la prigionia sulla sua stessa pelle e l’altro per aver vissuto la violenza dell’attacco di Azgeda, mentre Miller e Monty si schierano per la salvezza del generatore, anche in questo caso come ci si aspetterebbe da chi già aveva messo a repentaglio la propria relazione e aveva sacrificato la vita della madre in nome del bene superiore. A far pendere l’ago della bilancia è quindi Bellamy, il Bellamy che ha tenuto la mano a Clarke mentre distruggeva Mount Weather ma anche il Bellamy che ha massacrato centinaia di Grounders a sangue freddo e che ora si trova a seguire il difficile percorso della redenzione. La scelta più logica e più giusta sarebbe stata quella di chiudere tristemente gli occhi e allontanarsi dalla farm station senza guardarsi indietro, ma sarebbe stato troppo facile – trovare la soluzione ai mali del mondo nella seconda puntata sarebbe stato davvero troppo semplice. Non posso fare a meno di essere d’accordo con Raven, ma capisco che agire in questo modo fosse l’unica alternativa possibile per Bellamy, che può convivere con questa decisione ma non si sarebbe mai perdonato per aver lasciato dei compagni dopo aver partecipato all’attacco di Pike in nome della vendetta in loro onore.
Per questa settimana direi che è tutto, e scusate per il papiro ma è stato un episodio molto denso – chiudo e vi lascio con il promo della 4×03 (che sottotitolerei “Tanto c’è tempo – le ultime parole famose“)
https://www.youtube.com/watch?v=FK3Wp9YjtiY
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