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Veronica Mars | Capitoli 6 & 7

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Veronica Mars | Capitoli 6 & 7

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CAPITOLO SEI

Il numero che Margie Dewalt aveva scarabocchiato per Veronica, apparteneva a una ragazza di nome Bri Lafond, una delle tre amiche che avevano presso il pullman da Berkeley con Hayley. Veronica l’aveva chiamata dal parcheggio del tribunale per chiederle se era disposta a incontrarla quel pomeriggio. La solerte e ansiosa voce all’altro capo del telefono le rispose che una di loro – Leah Hart – era stata riportata a casa dai genitori la settimana prima. “Era molto abbattuta,” le disse. “Ma io e Melanie siamo ancora qui. Ti diremo tutto ciò che sappiamo.”
Alloggiavano al Camelot Motel. La palazzina baciata dal sole era circondata da banchi dei pegni, da chiese ricavate dove prima c’erano vecchi negozi, e bar talmente trasandati che nemmeno gli spring breaker frequentavano – il che significava che era uno dei pochi posti che le ragazze potevano permettersi dopo che la loro prenotazione per le vacanze di primavera era scaduta. Veronica aveva passato più notti di quelle che voleva ricordare a suon di caffeina appostata fuori dal motel, che era uno dei luoghi preferiti per quelle tresche che avevano come conseguenza accordi prematrimoniali stracciati, divorzi incasinati e cuori infranti. Ovvero: una sorta di seconda casa per una giovane e intraprendente investigatrice privata.
Appena dopo le sette bussò alla porta della loro stanza. Attraverso le veneziane era riuscita a scorgere il bagliore rosso di una lampada da tavolo. La ragazza che le aprì era bassa e muscolosa e assurdamente scottata dal sole. I capelli biondi erano sciolti e scompigliati intorno al suo viso e aveva un piercing argentato al naso. Si affacciò alla porta con occhi sorpresi.
“Ciao,” salutò gentilmente Veronica. “Sono Veronica Mars. Tu sei Bri?” La ragazza esitò, come se avesse bisogno di pensare alla risposta, poi annuì. “Ciao. Sì. Entra pure.”
Veronica entrò nella camera stretta e scialba. C’erano due letti attaccati a due muri opposti, i copriletti sbiaditi erano dello stesso materiale delle tende. L’arredamento sembrava quello della cassa di risparmio Americana: un dipinto di anatre che spiccavano il volo da un laghetto adiacente a un piccolo capanno da cui sbuffi di fumo si alzavano verso un cielo invernale. Il pavimento era ricoperto di vestiti, che rilasciavano odore di sudore che si mescolava a quello di cibo da asporto vecchio di giorni.
Una seconda ragazza sedeva sul letto più lontano, ma si alzò subito non appena vide Veronica. I lunghi capelli mori sbucavano dal buco sul retro di un capellino dei Dodgers. Indossava una felpa con il cappuccio e un paio di shorts in denim, ma le sue curve erano ovvie anche con quell’abbigliamento comodo.
“Ciao. Sono Melanie.” La sua voce era roca ma chiara. Tese una mano da stringere a Veronica. Si guardò intorno e poi indicò il letto. “Scusa, non abbiamo una sedia da offrirti.”
“Nessun problema.” Veronica si sedette sul bordo del letto. Bri chiuse la porta e si appoggiò all’armadio di truciolato. Si stava rosicchiando un’unghia. Melanie si sedette a gambe incrociate sull’altro letto, sporgendosi verso Veronica con espressione intensa e concentrata sul volto. Entrambe erano in contrasto con le spring breaker solari e prive di pensieri che affollavano le spiagge, sembravano ridotte a degli stracci e stanche, più come i ragazzi che avevano appena terminato gli esami che non quelli alla fine di una vacanza.
“Quindi siete rimaste in città per aiutare nelle ricerche?” Veronica aprì il proprio taccuino su una pagina bianca e scrisse la data e i loro nomi.
Annuirono entrambe, Melanie si rigirò una ciocca di capelli castani intorno a un dito, stringendo così tanto che la punta di esso divenne bianca. “Sì. Abbiamo distribuito volantini sul lungomare.” Afferrò un pezzo di carta verde dal comodino e gliela tese. La foto dell’ultimo anno di Hayley spiccava al centro.
“Comunque non importa a nessuno.” La voce di Bri era così bassa che Veronica dovette sporgersi per sentirla. Il labbro inferiore le tremò. “Li diamo alla gente e loro li prendono. Poi li appallottolano e li buttano a terra dopo nemmeno due passi. A nessuno importa che sia scomparsa.”
Queste parole colpirono Veronica, che trasalì. All’improvviso comprese che questa era la prima volta che Bri Lafond sbatteva la faccia contro al fatto che le persone facevano schifo. Veronica ricordava la sensazione, l’impressione che il mondo fosse stato privato di botto di ogni colore sgargiante, le proprie convinzioni abbattute come pezzi di un domino. L’aveva imparato quando aveva sedici anni, dopo che Lilly era stata assassinata e Keith, capendo che qualcosa non andava ma senza riuscire ad arrivare alla verità, aveva perseguito il ricco e affascinante padre di Lilly Kane. Keith era stato licenziato dal posto di sceriffo e tutto d’un tratto lei si era ritrovata senza amici a allo status di paria. I suoi amici si erano stretti a cerchio intorno alla famiglia Kane, e Veronica aveva passato gran parte di quell’anno a pulire il suo armadietto da scritte vandaliche e a rimpiazzare le gomme dell’auto bucate. Per un po’ di tempo nessuno era stato dalla sua parte.Poi le cose erano cambiate ovviamente. Aveva riallacciato i rapporti con alcuni dei vecchi amici, come Duncan. Meg. Logan. E ne aveva trovati di nuovi in Wallace, Mac, e Weevil. Ne era uscita più forte e più sveglia. Ma non voleva dire che non avesse fatto male.
“Pensi che Hayley stia bene?” chiese Melanie, riportandola nella piccola camera disordinata.
“Non lo so.” Veronica fece un respiro profondo. “L’ultima cosa che voglio è dare false speranze. Farò tutto quello che posso per trovare la vostra amica, ma ho bisogno del vostro aiuto. Potete ripercorrere passo per passo insieme a me l’ultima sera in cui siete state con lei?”
Le ragazze si lanciarono un’occhiata, poi Melanie parlò.
“Stavo facendo una gita in barca con un altro gruppo di ragazzi di Berkeley, ma abbiamo ricevuto un messaggio da Hayley alle sette dove diceva di aver sentito di una festa sulla costa. Ci siamo incontrati tutti al motel – eravamo al Sea Nymph la scorsa settimana, più vicino alla spiaggia – e ci siamo preparate insieme. Era una festa bianco-e-nero, quindi bisognava vestirsi–”
“In bianco o nero per entrare,” Veronica annuì. “Certo. Da qualche parte Truman Capote si starà rivoltando nella tomba.”
“Chi?” Bri inclinò la testa come uno spaniel curioso.
Veronica scosse la testa. “Non importa. Tu dov’eri quel pomeriggio, Bri?”
Si morse il labbro. “Io ed Hayley e Leah siamo state in spiaggia per un po’, ma Hayley ha iniziato ad annoiarsi e ci ha detto che voleva fare una passeggiata. Non ci andava, così è andata via da sola. Qualche ora dopo ci ha mandato un messaggio per dirci della festa.”
“Come vi è sembrata quella sera mentre vi stavate preparando?”
“Stava bene,” disse Melanie, togliendo i pallini dal tessuto del copriletto sotto di lei. “Normale. Ci ha detto che un tipo l’aveva invitata e le aveva detto che avrebbe potuto portare tutte le ragazze che voleva se erano carine come lei.” Alzò gli occhi al cielo. “Si beveva sempre battute come questa.”
Ha detto qualcos’altro su questo tipo? Vi siete imbattute in lui alla festa?”
Di nuovo il sottile scambio di sguardi.
“Non ha detto nient’altro su di lui. E la festa era abbastanza… folle. Se Hayley l’ha incontrato, non l’abbiamo visto. Eravamo come fuori di testa.” Bri fece un respiro profondo, come un fremito.
“Okay. Parliamo della festa.” Veronica abbassò lo sguardo sul taccuino, dove aveva annotato l’indirizzo dal verbale della polizia. “L’indirizzo che avete dato alla polizia era 2201 Manzanita Drive. È giusto?”
“Sì.” disse Melanie. “È un posto enorme, proprio sulla spiaggia. Una villa. Ci siamo presentate lì verso le dieci. C’erano servizi di sicurezza ai cancelli che facevano perquisizioni e controllavano le borse – roba piuttosto intensa.”
Veronica aggrottò la fronte. Molte delle famiglie più ricche di Neptune prendevano precauzioni di sicurezza – telecamere, allarmi, tutto il necessario – e aveva senso che qualcuno che aveva intenzione di dare una grande festa in stile Gatsby che coinvolgeva persone sconosciute assumesse delle guardie in più, ma che tipo di persona aveva bisogno di perquisizioni a una festa?
“Avete conosciuto il padrone di casa?” chiese Veronica.
“Beh, nessuno è venuto da noi a presentarsi.” Melanie scosse la testa. “Non era quel tipo di festa. Il posto era pieno zeppo. Voglio dire, c’erano baristi e camerieri che giravano con i drink, e altra sicurezza all’interno, ma nessuno era, come dire, al comando in maniera ovvia o qualcosa del genere.”
“Da quello che abbiamo sentito, c’è una festa in quella casa ogni sera durante la pausa primaverile,” disse Bri. “Un paio di ragazzi con cui abbiamo parlato ci erano già stati un paio di volte.”
“Okay. Quindi cosa avete fatto una volta lì?”
“Noi… Voglio dire, abbiamo fatto baldoria.” gli occhi di Melanie, così desiderosi e intensi fino a un attimo prima, guizzarono via verso la finestra. “Ho ballato per un po’. C’era un falò sulla spiaggia. Ho giocato un po’ a biliardo. Cose da festa.”
Veronica spostò lo sguardo da una all’altra, poi posò il suo taccuino sulla coscia. “Okay, ho capito che alcune delle ‘cose da festa’ potrebbero non essere il tipo di cose che vorreste far sapere alla nonna, ma più so di quello che è successo quella sera, più le mie possibilità di trovare Hayley aumentano. Prometto, non sono qui per fare una retata. Voglio solo aiutare la vostra amica.”
Le guance di Bri diventarono di un rosso ancora più scuro di prima, che strideva terribilmente con i suoi capelli. Fissava il pavimento, le ciglia verso il basso per la vergogna. Ma Melanie all’improvviso riportò lo sguardo in maniera risoluta verso Veronica. Anche lei stava arrossendo, ma la sua espressione era salda, determinata.
“Guarda,” disse. “Il fatto è, nessuna di noi ricorda molto di quella notte. Eravamo entrambe abbastanza sbronze. Non ricordiamo nemmeno come diavolo siamo tornate a casa. E prima che ci dica quanto sia stato stupido ed egoista ridursi in quello stato, fidati. Ne siamo fottutamente consapevoli.”
“Lo Sceriffo Lamb non credeva che Hayley fosse scomparsa,” disse Bri, la sua voce poco più che un sussurro. “Pensavamo che se avessimo ammesso di essere ubriache e sballate sarebbe stato peggio.”
Veronica incrociò le gambe. “Okay. Perché non ci concentriamo su quello che ricordate. Com’era Hayley quella notte? Era ubriaca quanto voi? Stava parlando con qualcuno in particolare?” Bri afferrò un iPhone ricoperto di diamanti sintetici dal comò e iniziò a passare il pollice sullo schermo. Poco dopo, porse il telefono a Veronica.
“Ha passato un sacco di tempo con questo tipo,” disse.
La foto sul cellulare ritraeva una brunetta pienotta, vestita in maniera succinta, in grembo a un ragazzo – ben diversa dalla faccia pulita che Hayley aveva nella foto usata per i volantini che ne riportavano la scomparsa.
Veronica lo sollevò per vederlo chiaramente. Hayley indossava un vestitino bianco con una lunga collana, le spalline sottili come spaghetti le cadevano sulle spalle. I suoi occhi erano parecchio truccati, facendola sembrare molto più grande di quanto non sembrasse nella foto dell’annuario dell’ultimo anno e aveva un delicato ciondolo a forma di gabbia di uccellino che le pendeva sulla scollatura. Guardava il ragazzo attraverso ciglia pesanti e un piccolo e sensuale sorrisino che faceva capolino agli angoli della sua bocca.
Il ragazzo era in età da college, capelli scuri, la sua postura mostrava una grazia non ricercata. Il suo viso spigoloso e scolpito terminava con il mento segnato da un piccolo solco, e un sorriso pigro che gli adornava la bocca. Un braccio riposava leggermente sul fianco di Hayley, mentre la fissava con uno sguardo famelico non celato.
“Avete un nome?” Veronica guardò le amiche di Hayley. Entrambe scossero la testa.
“No, ma Hayley gli è stata addosso tutta la sera, ci sono altre foto,” disse Bri.
Veronica le sfogliò. Una mostrava i due appiccicati sulla pista da ballo, le gambe di Hayley intrecciate con quelle del ragazzo sconosciuto. Un’altra mostrava lei che gli parlava all’orecchio, una mano sul suo petto.
“Le hai scattate tu?”, chiese a Bri. Le guance rosse di Bri si infiammarono ancora di più.
“Me l’ha chiesto lei,” disse, scrollando le spalle. “Le ho fatte con il suo telefono, a dire il vero. Sta guardando il suo profilo Facebook. Le ha caricate quella sera.” Bri si agitò e cominciò a giocherellare con un braccialetto color oro sul suo polso. “Sembrava si stesse divertendo davvero molto. Noi eravamo felici che avesse trovato qualcun altro.”
“Qualcun altro?”
“Sì…” si intromise Melanie. “Lei e il suo ragazzo, Chad, si sono lasciati il weekend prima delle vacanze di primavera. Mancava poco che non venisse con noi. Si era chiusa in camera a piangere per un paio di giorni.”
Veronica si tirò su a sedere, le parole si conficcavano affilate nel suo cervello. “Perché si sono lasciati?”
“Hanno litigato pesantemente al telefono quando lei gli ha detto che sarebbe venuta a Neptune per le vacanze,” spiegò Melanie. “Lui va a Stanford e le sue vacanze sono due settimane dopo le nostre – non voleva che lei se ne andasse in giro per Neptune senza supervisione. In ogni caso, avevano già rotto cinque volte quest’anno. Speravamo tutte che funzionasse questa volta, ma non avevamo molta fede.”
“Non vi piace Chad?” Veronica sollevò un sopracciglio. Melanie alzò gli occhi al cielo.
“Le abbiamo detto più e più volte di lasciarlo perdere. È un verme. Controlla, patrocina. Le dice quali corsi deve seguire e non vuole che lei esca a divertirsi senza di lui. Non gli piaceva il fatto che stesse sempre con noi. Lui ci considera persone indegne,” disse Melanie.
“Beh, un po’ lo siamo,” si intromise di nuovo Bri. Melanie la zittì. Poco dopo le due si misero a ridere. Le risate suonavano quasi isteriche, ma quando si ricomposero entrambe sembravano più calme.
“Comunque,” disse Melanie, prendendo un lungo respiro. “Stavamo tutte facendo il tifo per questo tizio, al party. Lui era l’anti Chad.”
“Ma se avesse a che fare con la sua sparizione…” la voce di Bri tremò. “Insomma se fosse stato lui a rapirla o… insomma…”
“Li avete visti andare via insieme in un qualsiasi momento?” chiese Veronica. Entrambe le ragazze scossero la testa.
“Ma come ti ho detto,” disse Melanie, “quella notte è un po’ offuscata.”
Veronica diede di nuovo un’occhiata al telefono. Quelle foto erano state caricate sul profilo di Hayley alle 11.57 la notte della festa. Se quello che aveva detto Ella era vero e la relazione di Hayley e Chad era estremamente dannosa, quando andava bene, sembrava che, nel momento della rottura, Hayley volesse far capire a Chad quanto si stesse divertendo.
Veronica tirò fuori una mail che le aveva inviato Mac un’ora prima, con i tabulati telefonici di Hayley. Durante il giorno si era scambiata un po’ di messaggi con le sue amiche e uno con sua sorella. Poi alle 00.13 aveva ricevuto una chiamata da Chad Cohan, durata esattamente 53 secondi. Poi più nulla.
“Qualcuno ha parlato con Chad, dopo la scomparsa di Hayley? Qualcuno l’ha chiamato per informarlo?”. Melanie scoppiò in un’ ironica risatina. “Beh, ha chiamato me. Mi ha detto che era colpa mia che Hayley era sparita perché ero stata io a convincerla a venire a Neptune. Gli ho detto che se era così preoccupato sarebbe potuto venire lui stesso per aiutarci a cercarla. E sa cos’ha detto?” Adottò un tono di voce compiaciuto. “’Non è più una mia responsabilità, Melanie. Lei stessa l’ha reso piuttosto chiaro’”. Per un momento sembrò arrabbiata, poi tutto ad un tratto il viso le si corrucciò. Gli occhi le si riempirono di lacrime e il labbro inferiore cominciò a tremarle. “Ma in fondo ha ragione. Insomma, avremmo dovuto prenderci cura le une delle altre. Avevamo detto di farci vive almeno due volte al giorno. E noi l’abbiamo… persa.”
Bri si avvicinò velocemente al letto, portando un braccio attorno alle spalle dell’altra ragazza. Melanie si contrasse sotto il rumore dei singhiozzi.
Una motocicletta rombò in strada. Dalla stanza accanto Veronica riusciva a distinguere il mormorio di una televisione. Si protrasse verso lo spazio tra i due letti, posando le braccia sulle ginocchia.
“Melanie, se qualcuno ha davvero fatto del male ad Hayley – sono loro gli unici responsabili.” La voce di Veronica era bassa e insistente. “E se è questo ciò che è successo, li troverò. E gliela farò pagare.”
Melanie la guardò dal di sotto del suo berretto da baseball, gli occhi lucidi di lacrime.
Veronica si alzò in piedi e porse il telefono a Bri. “Fammi un favore e mandami delle copie. Nessuna delle foto sui volantini mostrava il suo vero aspetto la notte della scomparsa. Potrebbe essere utile farle circolare.” Si mise la borsa in spalla. “Andrò in giro a fare qualche domanda sul nostro Uomo del Mistero. Nel frattempo, se voi due vi ricordate qualcos’altro di quella notte, chiamatemi subito.”
Le ragazze annuirono. Melanie esitò, poi si sciolse da Bri e si rimise in piedi. Si raddrizzò il berretto e allungò la mano per stringere quella di Veronica.
“Lo faremo. Promesso.” Aprì la porta, asciugandosi fieramente gli occhi con la mano libera. “Grazie, Veronica.”
Nel parcheggio, Veronica chiamò Mac.
“Quanto credi sia complicato hackerare la banca dati di una grossa università di ricerca?”
Mac esitò. “Dato che me lo stai chiedendo al telefono, di fronte a Dio e alla NSA… Impossibile.”
“Ok, va bene così. Senti, devo tornare a casa a vedere come sta papà, ma posso passare da te più tardi? Ho degli, ehm, straordinari da farti fare. Potrebbe essere una lunga notte.”
“Straordinari, eh?” L’eccitazione nella voce di Mac era innegabile. Era da un po’ che non aveva una scusa per mettere in gioco le sue capacità. “Sembra divertente.”
“Nel frattempo, puoi trovarmi un volo per San Jose per domani mattina? E avrò bisogno di un’auto. Qualcosa di discreto.” Ci pensò un momento. “Non troppo discreto, però. Devo rappresentare la Camera di Commercio di Neptune con stile.”
“Dai a una ragazza una BMW per qualche settimana, e subito si crea uno standard.”
“Ci vediamo stasera.”
La luna era alta cielo mentre guidava l’auto fuori dal parcheggio. Era passata una settimana dalla scomparsa di Hayley. Ora centinaia di ragazzi innocenti come lei si riversavano nelle strade per un’altra notte di bevute e dissolutezza, ignari di quanto potesse essere crudele il mondo.

 

CAPITOLO SETTE

Un’ora più tardi, Veronica sedeva davanti al computer nella sua stanza, con le dita che volavano sulla tastiera. Il volto di Logan sorrideva sghembo dall’angolo della sua ultima e-mail, era la foto che aveva scelto per il suo contatto, scattata subito prima della sua partenza.
Vorrei che avessi potuto vedere la faccia di Lamb quando gli ha detto che il caso era mio. Sembrava avesse appena ingoiato un insetto, digitò. Ti avrebbe rallegrato la giornata.
Keith non era lì quando lei arrivò a casa, nel piccolo bungalow blu. Probabilmente era fuori per una passeggiata. I muscoli della sua gamba avevano bisogno di rinforzarsi, quindi aveva preso a girare per gli isolati un paio di volte al giorno, lentamente, deliberatamente, col bastone che picchiava leggero sull’asfalto. Sopportava la convalescenza con la stessa pazienza, la stessa risolutezza che lo avevano reso un bravo investigatore.
La stanza di Veronica, che fino a poco prima era conosciuta come “stanza degli ospiti”, era stata decorata con un miscuglio di artefatti delle superiori e varie cianfrusaglie che suo padre aveva stipato lì quando lei se n’era andata. Uno dei suoi modellini di nave stava sul comò, accanto alle foto di Veronica da bambina. Tutti i suoi vecchi libri (Salinger, Plath, Tool, letteratura scelta per l’emarginato pensieroso) erano allineati sulla piccola libreria di legno. Era un po’ surreale essere di nuovo sotto il tetto di suo padre dopo tutto quel tempo, anche se forse era un po’ confortante. Con tutti i cambiamenti che aveva affrontato, con tutte le cose nella sua vita che non avevano senso, quasi le piaceva vedere la sua vecchia sveglia a forma di panda che faceva capolino sulla scrivania.
Aveva appena cliccato Invia sulla sua e-mail, quando il familiare trillo di Skype uscì dalle casse.
Si prese un piccolo spavento.
Era Logan.
Cliccò Rispondi, e la sua immagine riempì lo schermo. Capì che la sua immagine ci stava mettendo un po’ ad apparire, perché lo vide fissare il vuoto nella web-cam per qualche secondo. Era strano guardarlo senza che lui lo sapesse. Il suo lungo volto volpino aveva una fermezza che lei non era abituata a vedere, pensieroso e in attesa. I suoi capelli erano corti e puntuti, se li radeva lui piuttosto che lasciare che il barbiere della compagnia li rovinasse mese dopo mese, e indossava una maglietta a girocollo blu, i suoi abiti da civile. Pochi metri dietro di lui, c’era una parete di acciaio. Poté intravedere gli angoli di un qualche poster ispiratore con piume d’aquila e una bandiera.
E poi, all’improvviso, un sorriso si fece largo sul volto di lui.
“Ehi,” disse con voce morbida.
“Ehi,” disse lei, sorridendo. “Che bella sorpresa.” Di solito dovevano pianificare i loro appuntamenti su Skype con settimane d’anticipo, e c’era comunque la possibilità che se li perdessero.
“Ho visto che eri in linea, ho pensato di approfittarne.” I loro occhi non si incontravano, la sua web-cam doveva essere un po’ decentrata. Le sembrava che le stesse fissando l’orecchio.
“Che ore sono lì?”
Iniziavano sempre così, impacciati, banali. E tempo che riuscivano a superare l’imbarazzo, uno di loro doveva sempre andar via.
“Quasi le otto.” Lui guardò alla sua sinistra, parlando con qualcuno che non era inquadrato. “Dieci minuti, dai! Per favore!”
“Qualcuno è fuori tempo, eh?”
“Sì, va bene.” Tornò al suo orecchio, sorridendo, e lei si chiese quale parte del suo viso stesse davvero guardando. I suoi occhi? Le sue labbra? Per qualche ragione tutto l’insieme – il modo in cui non riuscivano a essere sincronizzati – la rese incredibilmente triste. “Quindi Petra Landros. Nel tuo ufficio. Ho avuto questa fantasia un po’ di volte, ma di solito non includeva un caso di una persona scomparsa.”
“Dal vivo non è così sexy. Quella voglia?” Si avvicinò e abbassò la voce. “È solo un neo.”
“Non me lo dire. Ora il catalogo natalizio di Victoria’s Secret del 2004 è l’unica cosa che mi riscalda la notte.”
“Davvero? Quella cosa deve aver fatto molta strada.”
“La vita da marinaio è una vita di privazioni,” disse sobriamente. Lei sogghignò.
“Come va il raffreddore? Sei ancora agli arresti?”
“Ancora per qualche giorno. Il dottore dice che mi darà il via libera entro la fine della settimana.”
“Odio questa notizia,” disse dolcemente. “Se starnutisci vuol dire che non sei in missione.”
“È la vita che ho scelto, Veronica,” disse semplicemente, senza irritazione o rabbia. E capì che lui aveva ragione. Si era unito alla marina perché voleva volare, perché voleva fare qualcosa che avrebbe potuto aiutare qualcuno. Lei, fra tutte le persone, doveva capirlo.
Lui guardò ancora alla sua sinistra e sospirò. “Sì, ok. Scusa, amico.” Poi tornò a guardare Veronica. “Devo andare. La moglie di Hughes ha appena avuto un bambino – deve essere connesso alle oh-otto per parlare con loro.”
“Ok. Fagli le mie congratulazioni.”
“Lo farò.” Lui la guardò per un altro lungo momento, i suoi occhi marroni caldi e tristi. “Sei libera questo giovedì? Tre e mezza, tuo orario?”
“Posso esserlo per te.”
Lui sorrise. “È un appuntamento.”
Lo guardò per un altro mezzo secondo, e poi il suo schermo divenne vuoto.
Per qualche altro minuto, si dondolò sulla sedia dell’ufficio. Cercò di immaginare la carriera da pilota – cercò di immaginare Logan camminare per i corridoi, sotto pallide luci. Cercò di immaginarlo in palestra o in mensa, sempre circondato da centinaia di persone in quelle divise. Era quasi impossibile. Chiuse gli occhi. Preferiva vederlo sulla spiaggia, all’alba, i suoi capelli densi di sale, la sua tavola sotto il braccio mentre camminava verso di lei sulla sabbia.
Sentì la porta chiudersi. Papà. Cacciò via i suoi pensieri e gli andò incontro.
Era inginocchiato alla porta a slacciarsi le scarpe, con indosso i pantaloni della tuta e una maglietta.
“Sei a casa! Ho delle novità. Ma possono aspettare – voglio dirtele a cena. Diciamo… bistecca da O’Mally? Offro io?” Lo spinse gentilmente.
Lui scosse la testa. “Non posso, tesoro. Wallace sta arrivando con le pizze. March Madness è alle porte.” Camminò verso la cucina, il bastone che colpiva il pavimento. Lei lo seguì.
“Ah, giusto, March Madness. Il rito adolescenziale dei fan di basket del college.” Sorrise. “Ti prego solo di non lanciare nulla mentre urli contro il televisore.”
“Non posso prometterti nulla. San Diego State contro Michigan. Ci sarà qualche urlo.” Prese un bicchiere dalla credenza, poi la guardò. “Quindi cosa è successo oggi? Deve essere stato folle se all’improvviso puoi permetterti una fiorentina.”
Per un momento esitò. Aveva cercato di non parlare di lavoro da quando si era trasferita, come se il solo pensiero che avesse preso le redini dell’attività familiare fosse l’equivalente di incoraggiarla. Ma c’era una differenza fra stupidi casi di infedeltà e l’opportunità di trovare una ragazza scomparsa. Questo era qualcosa di cui lui poteva esserne fiero.
“Hai presente il caso di Hayley Dewalt? La ragazza scomparsa, ignorata da Lamb, attuale ossessione di Trish Turley? Be’, indovina chi è stata assunta per trovarla? Io! Domani vado a Stanford per parlare con l’ex ragazzo di Hayley.” Si appoggiò al mobiletto. “Oggi ho incontrato la famiglia. Sono molto intensi – voglio dire, sono sicuramente spaventati per Hayley, ma c’è qualcosa di loro che non mi torna. Specialmente il fratello. Mi è sembrato un po’ inquietante.”
Keith si versò un bicchiere di tè freddo e sostituì la brocca nel frigo. “Ah sì?”
Lei annuì, incoraggiata dalla sua domanda. “Apparentemente è scomparsa a una festa, ma senti questa: nessuno sembra sapere di chi fosse la festa. La casa è sulla Manzanita. Cioè, non è che sono case a basso profilo quelle, quindi dovremmo essere in grado di identificare i proprietari e far loro qualche domanda, giusto? Penso che Lamb sappia qualcosa e me ne stia tenendo all’oscuro. Ha fatto quel gesto coi capelli, quella cosa che fa quando pensa di star nascondendo qualcosa. Oh, e le sue amiche hanno delle foto della ragazza la notte che è scomparsa, tutta addosso a questo ragazzo. Nessun nome, nessuna informazione su di lui, ma sembravano molto intimi, e tutto questo molte ore prima dall’ultima volta che è stata vista. Sto cercando di decidere se è meglio chiedere in giro di lui o tenermi questa informazione per me. Cioè, non voglio dargli la possibilità di non farsi trovare se si sente minacciato.” Fece una pausa. “Quindi, cosa ne pensi?”
Per qualche secondo lui rimase a fissare accigliato fuori dalla finestra con il bicchiere sollevato vicino alle labbra. Una graffiante sensazione di agitazione le riempì il petto quando lui posò il bicchiere sul bancone con un tintinnio deciso.
“Onestamente?” la sua voce arrivò un momento dopo, bassa e dura. “Penso che tu stia sprecando il tuo talento, il tuo cervello e tutta la tua vita, Veronica. Penso che dovresti salire sul prossimo volo per New York e sostenere l’esame per diventare avvocato.
Le parole la colpirono con schegge di vetro di una finestra rotta.
“Come puoi dire che è uno spreco? Noi aiutiamo le persone.” Fece un grande passo verso di lui, sorreggendosi all’isola della cucina e fissandolo dritto in volto. “Questo è ciò che siamo. Ce l’abbiamo nel sangue.”
“Ne parli come se fosse qualcosa su cui non hai il controllo, come se non potessi evitarlo.” Le guance di Keith erano arrossate, la sua mano tremava. “Ma questa è solo una scusa per rinunciare all’occasione di qualcosa di migliore. È infantile, Veronica.”
“Perché non vuoi che sia come te?” La disperata foga di un momento prima le si coagulò nello stomaco e venne sostituita da pura rabbia. “Perché è una cosa così vergognosa?”
“Perché potresti essere al sicuro!” urlò lui. “Lo sai che cosa mi causa il fatto di pensare che sei là fuori ogni giorno?”
Veronica inspirò profondamente. “Certo che lo so. Quante volte ho rischiato di perderti? Ma per qualche strana ragione, ci ricaschi sempre. Come se non riuscissi a farne a meno.”
Suonò il campanello. Sia Veronica che Keith rimasero immobili lì dove si trovavano, con i volti tesi dalla rabbia. Lei poteva avvertire il proprio battito, pesante come il ritmo di un tamburo nelle tempie.
“Sarà Wallace,” disse Keith. La sua mascella era ancora rigida, ma la sua voce era dolce, quasi triste. Veronica gli diede le spalle.
“Lo faccio entrare.”
Poteva vedere il suo vecchio amico avvicinarsi attraverso la porta di vetro, un uomo dai muscoli slanciati con addosso un paio di jeans e una felpa della San Diego State, con un cartone extra large di pizza in entrambe le mani. Quando la vide sorrise con quel suo solito, semplice sorriso rassicurante che era sempre riuscito a risollevarla anche quando il suo umore era più buio che mai. Fece qualche veloce respiro mentre apriva la porta, cercando di darsi una calmata, ma Wallace non si lasciò fregare.
“Tutto bene?” domandò mentre il suo sorriso svaniva.
“Scherzi? Un bell’uomo mi ha appena portato una pizza e non ho nemmeno dovuto dargli la mancia. Va tutto benissimo.”
Inclinò la testa all’indietro per squadrarla con aria scettica. Wallace Fennel era il suo migliore amico sin dal loro penultimo anno alla Neptune High. Era stata la prima persona, oltre a suo padre, di cui era riuscita a fidarsi dopo la morte di Lilly Kane. E, sin dal primo momento, era sempre riuscito a capire quando stava dicendo una cazzata. Ma prima che lei potesse dire qualsiasi altra cosa, suo padre arrivò dalla cucina. “Wallace!” Finse di diffondere il profumo della pizza verso di sé. “E la pizza!”
“Metà con bacon canadese e ananas, metà ‘La gioia del carnivoro’, ovvero salame piccante, hamburger, salsiccia, prosciutto e bacon.” Wallace sollevò un pochino la parte del cartone che copriva la pizza e inspirò. “Farcita con la ricetta speciale della marinara del signor Cho e tre tipi di formaggio artigianale. E con contorno di insalata perché stiamo attenti alla linea.”
“Quanto ti devo?”
“Stavolta offro io. Tu avevi preso le ali di pollo la scorsa volta, ricordi?”
Veronica fece un passo indietro per farlo entrare. “Ormai avete imparato bene questa faccenda del procurarsi il cibo, vero?”
“Gli uomini devono mangiare.” Wallace le diede una gomitata scherzosa. “Guardi la partita con noi stasera?”
“Um… no, devo andare da Mac. Stasera lavoreremo fino a tardi.”
Il viso gli si illuminò. “Un nuovo caso, eh? Qualcosa di buono?”
Veronica lanciò un’occhiata furtiva a Keith. Lui si era voltato ed era già quasi arrivato in cucina. “Um… già. La camera del commercio mi ha assunta per trovare Hayley Dewalt.”
Wallace aveva un’espressione sorpresa e i suoi occhi si erano spalancati. “Cavolo, questo sì che è un passo avanti. Qual è il problema, allora?”
Lei si schiarì leggermente la gola, lanciando un’occhiata alla porta attraverso cui suo padre era appena sparito. Sentì un rumoroso clangore di piatti provenire dalla cucina. “Non la pensiamo esattamente allo stesso modo.”
La comprensione si fece largo nel suo sguardo. Wallace mise i cartoni della pizza in equilibrio su una mano e le passò un braccio attorno alle spalle. “Be’, dai, cambierà idea.”
Lei non rispose, ma si appoggiò a lui per un momento, sentendo la morsa che aveva attorno al petto allentarsi un po’.
“Ti dispiacerebbe fare un salto qui domani, solo per vedere come sta?” sussurrò. “Sarò a Stanford fino a tardi. Dovrebbe star bene, ma…”
“Certo, nessun problema.” Le strinse la spalla e mollò la presa. “Salutami Mac. Spero che riesca a violare qualche buon sistema informatico. O… be’, sai, qualunque cosa ai nerd piaccia fare.”
“Credo che c’entri il senso di superiorità.” Veronica prese la propria borsa. Per un momento pensò di andare in cucina per cercare di fare la pace con Keith prima della partenza. Ma che cosa avrebbe dovuto dire? Come poteva scusarsi per ciò che era?

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Nella sua testa vive nella Londra degli anni cinquanta guadagnandosi da vivere scrivendo romanzi noir, nella realtà è un’addetta alle vendite disperata che si chiede cosa debba farne della sua laurea in comunicazione mentre aspetta pazientemente che il decimo Dottore la venga a salvare dalla monotonia bergamasca sulla sua scintillante Tardis blu. Ama più di ogni altra cosa al mondo l’accento british e scrivere, al punto da usare qualunque cosa per farlo. Il suo primo amore telefilmico è stato Beverly Hills 90210 (insieme a Dylan McKay) e da allora non si è più fermata, arrivando a guardare più serie tv di quelle a cui è possibile stare dietro in una settimana fatta di soli sette giorni (il che ha aiutato la sua insonnia a passare da cronica a senza speranza di salvezza). Le sue maggiori ossessioni negli anni sono state Roswell, Supernatural, Doctor Who, Smallville e i Warblers di Glee.

1 COMMENT

  1. Grazie!Grazie!E ancora grazie! Tra qualche giorno mi arriva il libro..anche se in inglese….non vedo l’ora!!!!!!!!!!

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