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Z: The Beginning Of Everything | Recensione Stagione 1

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Z: The Beginning Of Everything | Recensione Stagione 1

Il 27 gennaio scorso, Amazon ha finalmente rilasciato “Z: The Beginning Of Everything”, lo show con Christina Ricci nei panni della famosissima moglie di Francis Scott Fitzgerald, a sua volta scrittrice. E noi, ovviamente, non potevamo non recensirlo.

La figura carismatica e anticonformista di Zelda Sayre Fitzgerald, moglie dello scrittore Scott Fitzgerald, è sempre stata fonte di fascino, sia per il mondo letterario che Hollywood stessa, che, oltre a questa miniserie, ha in programma altri due film con protagoniste Jennifer Lawrence e Scarlett Johansson pronte a vestire i complicati e seducenti panni della donna che, insieme al marito, è stata protagonista e simbolo dei Ruggenti Anni Venti, quelli successivi al primo conflitto mondiale, ricchi di glamour, scandali, divertimenti sfrenati, voglia di riprendere in mano una vita finalmente libera e ricca di promesse e una generale spensieratezza che verrà presto soppiantata dagli oscuri anni della Grande Depressione.

Ed è facile capire il motivo di tanto interesse e desiderio di carpire il segreto di una coppia che ha saputo perfettamente personificare  e dominare l’epoca in cui ha vissuto, conducendo una vita costruita come un romanzo, fatta di scandali, lusso sfrenato, rotture, tradimenti, fallimenti, sperpero di soldi e nuovi ritorni sulla cresta dell’onda. La coppia che ha vissuto profondamente gli aneliti della società, rompendo le regole e proponendo nuovi paradigmi.

“Z: The beninning of Everything” è una serie tv mandata in onda da Amazon ed è composta da dieci puntate, della durata di trenta minuti ciascuna, più simile quindi a una comedy che al drama che è invece la sua struttura di base. È un prodotto indubbiamente fedele all’originale storico, ed è un punto a suo vantaggio, ma, a mio avviso, ma non sa per nulla rendere la grandezza, lo charme e il mistero di una coppia tanto complicata e intrigante. Non va a fondo delle loro dinamiche, non è capace di cogliere e rendere sullo schermo il motivo per cui sono tanto irresistibili.

Il problema principale è che non c’è assolutamente chemistry tra i protagonisti, zero, niet, ed è chiaro che in un prodotto del genere deve essere una condizione necessaria e imprescindibile, deve esistere una sintonia reale, se pure impalpabile e inspiegabile, che ci imprigioni dentro le loro vicende e ci convinca, senza alcun dubbio, che per quanto il loro amore possa essere stato tormentato, sofferto, distruttivo, ha avuto in sé i semi di una grandiosità indiscussa, che ci imponga di fare il tifo per loro in ogni circostanza, durante i litigi più devastanti, e nelle successive rinascite, sempre insieme, sempre in quel rapporto di codipendenza che non permetteva a nessuno dei due di separarsi dall’altro, neppure volendo.
Ed è proprio questo che è mancato. Sullo schermo non ho visto rappresentato nessuno dei motivi per cui questa coppia dovesse convincermi di essere indistruttibile.

Christina Ricci interpreta superbamente Zelda, fin dagli anni di gioventù trascorsi nel profondo Sud degli Stati Uniti, dove spicca già per il suo essere ribelle, per rifiutare le regole correnti e vivere secondo le proprie, con un una generale schiettezza e spensieratezza che sa incantare chiunque incontri. Si capisce subito come la sua notevole capacità di osservazione, un interesse culturale sopra la media e delle aspirazioni di ampio respiro, che non collimano con quelle della società che la circonda, compresa la sua famiglia, la spingeranno lontana.
Zelda è uno spirito fiero, indomito, molto sensibile, che sa valutare con sagacia l’ambiente circostante e che non può trovare nutrimento in una società priva di fermento come è la cittadina di Montgomery. Scova la sua anima affine nel giovane Scott, anche lui dotato di inclinazioni e aspirazioni che lo fanno spiccare su tutti gli altri e che gli rendono impossibile adeguarsi alla noiosa normalità altrui.
Christina Ricci sa dare a Zelda tutte le nuances di cui un personaggio del genere ha bisogno, per trasmetterci l’idea di una donna complicata, forte, contraddittoria e in perenne ricerca di qualcosa che possa soddisfare la sua sete di vita ed è in grado di infondere nella recitazione un’energia che spesso nel copione viene meno, fatto com’è di frasi banali e ritrite.

Ho sempre comunque avvertito la sensazione che il racconto e l’analisi di una donna di tale spessore si siano sempre fermati sulla soglia dell’approfondimento dei suoi tormenti, del suo malessere, rimanendo in una zona tiepida di correttezza formale e storica, ma senza tutta l’anima che sarebbe stata necessaria, per andare in profondità delle pieghe della sua personalità variegata. Non a caso, non viene fatto alcun cenno, nemmeno premonitore, alla malattia mentale che l’affliggerà in seguito.

Scott Fitzgerald, invece, è stato per me una grande delusione, perché non è rappresentato come quella formidabile figura storica che è, né come il partner all’altezza di una donna volitiva, indomita e allo stesso tempo vulnerabile. Invece di trasmetterci l’immagine del grande romanziere americano (che sappiamo essere stato), del genio letterario che ha sorpreso l’élite culturale con la sua opera di esordio, che l’ha immediatamente elevato al rango di altri scrittori di pari fama, pur gravato da tormenti interiori e insicurezze che il lavoro creativo unito a un’estrema sensibilità porta con sé, insieme a frustranti blocchi dello scrittore, dubbi sul proprio valore artistico, che ci aspettiamo e che sono il naturale rovescio della medaglia in una mente brillante come la sua, ci viene proposto un uomo arrogante, petulante, infantile e tendenzialmente aggressivo, soprattutto invidioso e incapace di scrivere una sola parola senza copiarla dai diari di Zelda.
Sappiamo che la contaminazione creativa tra loro è un tema molto importante della loro vita di relazione e produzione letteraria, ma in realtà qui sembra che Zelda sia stata la vera artista incompresa, schiacciata dall’ego fragile del marito, relegata al ruolo di Musa senza diritto di parola. La realtà è ovviamente molto più complessa. Così come non si comprende su che basi nasca e si mantenga un rapporto di codipendenza e quale sia il motivo per cui non possono lasciarsi, perché nelle ultime puntate io ho spesso pensato che avrebbero davvero fatto un piacere a tutti se avessero consensualmente deciso di prendere strade diverse. Non c’è niente di affascinate in questo Scott Fitzgerald, purtroppo.

E la rappresentazione della loro dinamica di coppia ciclica, ovvero i momenti di esaltazione, agi e ricchezze, e generale sensazione di onnipotenza, sostituiti tragicamente da periodi bui gravati da rovesci di fortuna, incapacità creativa e incomunicabilità – l’essenza della loro relazione -, diventa ripetitiva, senza anima e ben poco appassionante.

Mi è piaciuto invece molto di più il modo in cui è stata ricostruita la società di quegli anni, ottimamente resa anche grazie ai personaggi secondari, che hanno saputo aggiungere verve a una coppia che non sempre è stata in grado di rubare la scena e di porsi come fulcro narrativo.
Menzione speciale per i genitori di Zelda che, invece di essere mostrati secondo lo stereotipo della famiglia del Sud, arretrata e conservatrice, sono stati cesellati come personaggi a tutto tondo, ricchi di sfumature e mai granitici nella loro (ovvia) disapprovazione nei confronti delle scelte di vita di Zelda. Impossibile non innamorarsi del padre o non volersi crogiolare nell’affettuosa allegria della madre.

In sintesi, non ho sentito di essere mai veramente entrata nella storia, come se la produzione fosse stata ritrosa a tuffarsi nelle onde tempestose del loro amore, senza voler approfondire troppo, forse per tenersi aperta la possibilità di altre stagioni (possibilissime, visto il finale), con la conseguenza di aver reso una delle grandi storie d’amore del secolo scorso qualcosa di ben poco coinvolgente e, a tratti, noioso.

Syl

 

“Z: The Beginning Of Everything” ispirato alla storia di Zelda Seyre, che sposò il grandissimo scrittore Francis Scott Fitzgerald, autore di capolavori quali “Il Grande Gatsby” e “Tenera E’ La Notte”, ha avuto uno strano percorso. È stato girato due anni fa, e il pilot è andato in onda nel 2015, poi non se ne è saputo più nulla e a fine gennaio Amazon ha rilasciato la prima stagione nella sua interezza.
Una premessa: durante la visione sono andata a leggere un po’ in giro per la rete, principalmente per capire le possibilità dello show di ottenere un seguito, perché anni ’20 più Francis Scott Fitzgerald per me è accoppiata irresistibile ed è inevitabile che, pur con possibili difetti, io ami il prodotto (uno dei miei film preferiti è “Midnight In Paris” di Woody Allen, e adoro la versione de “Il Grande Gatsby” di Baz Luhrmann).
E infatti, ho amato lo show, nonostante i difetti, anche perché sono bilanciati da altrettante qualità e potenzialità ancora da esprimere.

La storia di Zelda Seyre, giovane donna di ottima famiglia del Sud degli Stati Uniti, che durante la Prima Guerra Mondiale incontrò Francis Scott Fitzgerald e ne divenne la moglie e musa, così come quella dello stesso F. S. Fitzgerald, è entrata nella leggenda, forse proprio per la sua drammaticità e gli eccessi che hanno caratterizzato le vite di entrambi e quella comune come marito e moglie.

I punti di forza dello show sono l’accuratezza della ricostruzione, che parte dal Sud prima dell’incontro tra i due, divenuti vere icone della letteratura e dello stile degli anni ’20 del XX secolo, e continua a New York, e Christina Ricci, quasi irriconoscibile per i capelli biondi ma favolosa come sempre, che porta sullo schermo una fantastica Zelda Seyre Fitzgerald.

Le ambientazioni sono curatissime. Si parte dal bucolico Sud degli Stati Uniti, con lo Stato della Georgia, che nonostante la sconfitta nella Guerra di Secessione, mezzo secolo prima, non è cambiato molto ed è rimasto in un certo senso immobile, quasi cristallizzato nella sua vita sociale in stile “Via Col Vento”, ancora diviso fra appuntamenti per la cup of tea del pomeriggio e i balli cittadini, e apparentemente impermeabile alla modernità non tanto materiale quanto morale. Tutto questo è rappresentato davvero bene, tanto che la Ricci parla con accento tipico di quella zona degli Stati Uniti.
Su questa linea, poi, si passa a New York, vibrante, infinita, sfrenata… e segreta. Era l’epoca del proibizionismo e i locali più alla moda e più frequentati erano quelli che si celavano dietro porte anonime.
I costumi sono bellissimi, sia per ciò che concerne gli abiti degli uomini, sia quelli dei personaggi secondari e delle ballerine nei locali, sia, soprattutto, quelli di Zelda, i quali cambiano col cambiare della giovane donna, che abbandona la severità del Sud per abbracciare la modernità della sua nuova vita, di certo più simile e adatta a lei come persona.


E veniamo proprio a lei, Zelda Fitzgerald. Una donna complessa e tormentata, fin troppo moderna per la sua epoca, indomita, incapace di sottomettersi a delle rigide regole sociali che, soprattutto negli Stati del Sud, avevano ancora un retaggio ottocentesco. E, proprio per questo, una donna costantemente combattuta e divisa tra ideali sociali che, in un certo qual senso, le erano stati comunque inculcati e in alcuni dei quali lei stessa credeva, e quello spirito così indipendente e moderno che la contraddistingueva. Una donna, altresì, affamata di conoscenza, profonda e riflessiva.
E tutto questo emerge sin dai primissimi episodi della serie, nei quali si vede Zelda leggere, scrivere poesie, lettere, diari.
Così come una delle sue scene migliori, in quanto simbolica ed emblematica del suo spirito, è quella in cui il giovane ufficiale Francis Scott Fitzgerald incide le loro iniziali sul portico dell’edificio ove si è svolto il ballo in cui si sono incontrati e il commento di Zelda è: “Perché le tue iniziali sono così più grandi delle mie, Francis Scott Fitzgerald?”

Il primo incontro tra Zelda e Francis Scott Fitzgerald è splendido. Lui la vede danzare e il suo sguardo trasmette l’incanto che prova all’istante. E il resto del ballo è altrettanto bello, con Francis Scott che si mostra deciso a non lasciare spazio ad altri nelle attenzioni di Zelda. Si percepisce che, in un certo senso, i due sono anime affini e si sono riconosciuti, come viene sottolineato anche nei discorsi che li si vede fare durante le loro passeggiate.


Tuttavia, con il matrimonio ciò che sembrava la perfetta favola svela l’alto prezzo da pagare ed ecco che si vede Zelda lottare sia per adattarsi alla nuova vita, completamente diversa da quella provinciale della Georgia, sia, diciamo pure soprattutto, per l’emergere di tutte le fragilità del marito.

Proprio la figura di Fitzgerald lascia, probabilmente, spiazzati.
La sua entrata in scena è spumeggiante e all’insegna della forza e della sicurezza di sé.

“Io non sarò il prossimo Mark Twain. Io sarò il primo Francis Scott Fitzgerald.”

E’ questa la frase che rivolge al futuro suocero il giorno in cui si incontrano, la prima volta che i genitori di Zelda lo invitano a pranzo.
Eppure, poi, c’è un cambiamento incredibile, che può lasciare spiazzati, persino deludere. Francis Scott Fitzgerald si rivela egocentrico, a tratti debole, insicuro… ed è Zelda a rimetterlo in sesto, a far sì che non sprofondi in un’infinita spirale autodistruttiva. Quantomeno nelle fasi iniziali del loro matrimonio.
Onestamente, ho dovuto fermarmi a riflettere per capire. E così, la mia mente ha ricordato a me stessa che siamo noi che tendiamo a idealizzare e quasi concepire in modo “romantico” la figura di questo scrittore, forse proprio perché lui e la moglie erano delle icone nella favolosa età del jazz.
Tuttavia, quella era solo l’apparenza. La verità era ed è che l’uomo non è mai stato la figura “delicata, adorabile e romantica” che appare, ad esempio, in “Midnight in Paris”, bensì che sin dall’epoca di Princeton Francis Scott Fitzgerald si lasciava andare a vita dissoluta, beveva troppo…  quando Zelda ruppe il fidanzamento (non ancora ufficiale, peraltro), rimase ubriaco per settimane.
Francis Scott Fitzgerald era un uomo complicato, con molte debolezze, ed era, in effetti, un alcolizzato. Soffrì di depressione e morì ancora giovane, a soli quarantaquattro anni (era nato nel 1896 e morì nel 1940). Lui e la moglie, soprattutto a New York, non facevano che passare da una festa all’altra, dove bevevano a volte sino allo stordimento, sperperavano i soldi che provenivano dalle vendite dei libri scritti da lui e spesso, dunque, si ritrovarono fortemente indebitati.
I conflitti tra i due nacquero molto presto dopo il matrimonio, che fu costellato da continui alti e bassi, da tradimenti presunti ed effettivi.
La verità è che, per quanto anime in un certo senso affini, i due insieme erano dannosi l’uno per l’altro e che questa loro relazione ha minato la salute di Zelda, la quale proprio a pochi anni dal matrimonio iniziò a mostrare i segni della malattia mentale che portarono alla diagnosi di schizofrenia.

Ed è questo che lo show mostra, con un’onestà brutale. Fa vedere agli spettatori che dietro il mito c’era un uomo complicato e spesso tutt’altro che piacevole.
E’ sicuramente triste da vedere, soprattutto quando si tratta di Francis Scott Fitgerald, ma è anche la verità. In effetti, lui era Jay Gatsby. Apparentemente forte e sicuro di sé, l’uomo che con le sole proprie capacità costruisce il successo, ma che dietro quell’apparenza mostra grandi debolezze e insicurezze, le quali alla fine lo portano alla distruzione, a una morte prematura.

Dicevo, in ogni caso, che lo show non è privo di difetti.
Il più grande è la durata degli episodi, che pur agevolando la visione, essendo più brevi del solito, costringono a tagli nella narrazione e così si vede molto del complicato rapporto tra i neo marito e moglie e poco della loro vita nella società della New York della dorata età del jazz, che li ha fatti entrare nella leggenda. Ovviamente, questo è finalizzato a una narrazione il più possibile veritiera del loro rapporto, ma è un peccato che quella parte sia stata ridotta, perché in ogni caso ha fatto parte di queste due complesse personalità e le ha caratterizzate.
La vita sociale dei due è riassunta in una scena visibilmente molto bella, che narra in modo simbolico dei loro successi ed eccessi in società, ma che comunque, essendo la più grande rappresentazione di essa, fa poi venire meno lo splendore di Zelda e Francis Scott Fitzgerald come icone degli anni ’20 e questo quasi “li rimpicciolisce”, soprattutto lui. Sarebbe stato bello e avrebbe certamente giovato allo show vedere alcuni degli eventi (ed eccessi) sociali che vengono narrati in quella scena. Non tutti, ma alcuni.

Tuttavia, il potenziale della serie è innegabile e i difetti sono correggibili, soprattutto se si pensa che questa prima stagione narra solo del periodo che va dall’incontro tra i due ai primi mesi di matrimonio e, quindi, a cosa c’è ancora da narrare: i viaggi in Europa, la vita a Parigi, l’entrata nel circolo di Gertrude Stein, l’amicizia di Fitzgerald con Hernest Hemingway (che detestava Zelda), la vita sulla Costa Azzurra, la stesura de “Il Grande Gatsby” e, per Zelda (che è la vera protagonista dello show), l’inizio e il proseguimento della stesura del suo unico romanzo, rivalutato dopo che lei morì, “Lasciami L’Ultimo Valzer”

Io spero vivamente in una seconda stagione, con episodi più lunghi e una narrazione anche del fervore culturale di cui Zelda e il marito sono stati protagonisti.

– Sam

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Sam
Simona, che da bambina voleva diventare una principessa, una ballerina, una cantante, una scrittrice e un Cavaliere Jedi e della quale il padre diceva sempre: “E dove volete che sia? In mezzo ai libri, ovviamente. O al massimo ai cd.” Questo amore incondizionato per la lettura e la musica l'ha portata all'amore per le più diverse culture (forse aiutato dalle origini miste), le lingue (in particolare francese e inglese) e a quello per i viaggi. Vorrebbe tornare a vivere definitivamente a Parigi (per poter anche raggiungere Londra in poco più di due ore di treno). Ora è una giovane legale con, tralasciando la politica, una passione sfrenata per tutto ciò che all'ambito legale non appartiene, in particolare cucina, libri e, ovviamente, telefilm. Quando, di recente, si è chiesta in che momento, di preciso, sia divenuta addicted, si è resa conto, cominciando a elencare i telefilm seguiti durante l'infanzia (i preferiti: Fame e La Famiglia Addams... sì, nel fantasy ci sguazza più che felicemente), di esserci quasi nata. I gusti telefilmici sono i più vari, dal “classico”, allo spionaggio, all'ambito legale, al “glamour”, al comedy, al fantastico in senso lato, al fantascientifico, al “giallo” e via dicendo. Uno dei tanti sogni? Una libreria. Un problema: riuscirebbe a vendere i libri o vorrebbe tenerli per sé?

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