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Veronica Mars – Traduzione Libro | Prologo & Capitolo Uno

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Veronica Mars – Traduzione Libro | Prologo & Capitolo Uno

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RINGRAZIAMENTI

Prima di tutto grazie a Rob Thomas per aver immaginato un mondo con Veronica dentro, e per aver dato a noi altri la possibilità di farne parte.
Un enorme grazie a Lanie Davis. Non sarei riuscita a realizzare tutto questo senza il tuo supporto e le tue competenze. Grazie anche a Rob Dearden e Deirdre Mangan, che mi hanno dato un aiuto incredibile nello sviluppo della storia, e alla gang di Random House – in particolare Andrea Robinson, Beth Lamb e Anne Messitte – per tutto il loro duro lavoro.
Grazie a Matt Donaldson e Cara Hallowell per la loro ‘fight choreography’, a John Preston Brown per la sua conoscenza nel campo della criminologia, e a Jack, Donna e Zac Graham per tutti gli anni di incoraggiamento e supporto. Ho anche avuto molti cheerleader a collaborare al progetto, ringrazio in particolare Alec Austin, Sarah Cornwell, Izetta Irwin, Jennifer Gandin Le, Patrick Ryan Frank e Kyle John Schmidt, tutti quanti mi hanno aiutato a continuare in diversi punti del processo.

— Jennifer Graham

PROLOGO

Gli autobus cominciarono a riversarsi in Neptune, California, nel pomeriggio tardi di venerdì e non si fermarono fino a lunedì. Arrivarono impolverati, con i parabrezza macchiati contornati da insetti morti e ammaccature di pietre volanti, il caos della statale. Hanno accostato lungo il marciapiede, tremando a causa di un rumore represso, rabbrividendo come cani in attesa di ricevere un comando.
Le loro rotte disegnate come una rete arteriosa, collegando le cittadine della costa alle città universitarie nell’ovest degli Stati Uniti. Da L.A. e San Diego; dalla Bay Area e l’Inland Empire. A Phoenix, Tucson, Reno. A Portland e Seattle, a Boulder, Boise, fino a Provo. Luminosi, eccitati visi affacciati ad ogni finestrino, schiacciati sul vetro.
Uno dopo l’altro, i portelloni degli autobus si aprirono rumorosamente, e gli studenti si riversarono nelle strade. Si guardarono intorno, la sabbia e il surf, le giostre illuminate sul pontile, gli enormi drink. Alcuni avevano terminato le ricerche per gli esami la sera prima; altri erano stati svegli tutta la notte a studiare per qualche test. Ora, improvvisamente, si erano svegliati in un paese delle meraviglie creatosi apposta per il loro piacere. Ridendo e urlando, invadono la città. Inciampano nelle strade, ubriachi fradici, credendo che la magia che li ha portati lì avrebbe potuto impedirgli di cadere.
E per esattamente tre notti, era stato così.
Entro mercoledì mattina, la cittadina costiera che scintillava di notte sembrava… mondana. Non solo mondana. Sporca. Fiumi di birra spillata raccolta nelle crepe dell’asfalto, e la spazzatura di cassonetti stracolmi in giro per la strada. Le sagome di preservativi usati sparsi sugli ingressi e sui cespugli, e pezzi di vetro in terra.
Il Sea Nymph Motel era stranamente silenzioso quando entrò la diciottenne Bri Lafond. Quasi tutti gli ospiti erano studenti in vacanza di primavera, e la festa non sarebbe iniziata fino al primo pomeriggio. Era stata a un rave al confine della città e da quando la festa era finita alle 4 del mattino non era riuscita a prendere un taxi. Era fatta abbastanza che l’idea di tornare a piedi al motel era sembrata fattibile. Ora, stancamente, attraversava il giardino sabbioso per arrivare alla camera che lei e le sue tre migliori amiche della UC Berkeley avevano affittato. Era una delle più economiche, che si affacciava ai cassonetti nel parcheggio. A lei non interessava, mentre armeggiava con la serratura, aspettando solo il momento di buttarsi su uno dei due letti matrimoniali che per tutta la settimana avrebbero condiviso.
Le finestre della camera si aprirono, lasciando entrare dei pallidi raggi di luce. Leah era sdraiata sul letto con la testa sotto il cuscino, con ancora indosso il vestito di lustrini della sera prima. Le sue gambe erano livide e sporche di terra. Melanie era seduta appoggiata alla testata, sorseggiando da un bicchiere di Starbucks. Indossava dei pantaloncini corti e la parte superiore del bikini, i suoi lunghi capelli biondi arruffati e macchie di trucco sugli occhi. Alzò gli occhi quando sentì la porta aprirsi.
“Ho la lezione di surf fra, tipo, mezzora, e sono ancora ubriaca,” disse. Alzò lo sguardo verso Bri, cercando a fatica di mettere a fuoco. “Dove sei stata? Sei in pessimo stato.”
“Grazie tante.” Bri si piegò verso il basso per togliere gli stivali, i suoi piedi doloranti. “Dov’è Hayley? Sta facendo surf anche lei?”
“Non l’ho vista.” Melanie chiuse gli occhi appoggiando la testa al muro. Bri si bloccò, senza uno stivale, l’altro ancora sul piede. Alzò lo sguardo.
“Da quando?”
“Da… dalla festa di lunedì, mi pare.” Melanie aprì gli occhi. “Cazzo.” Bri sbatté gli occhi per poi togliere l’altro stivale. Si buttò sul letto svegliando Leah. “Ehi, Leah. Svegliati. Hai visto Hayley ieri?”
Leah rispose con un grugnito da sotto il cuscino. Per un momento si strinse a palla. Le braccia a circondare protettivamente la testa. Ci vollero altri minuti di incitamenti vari prima che si togliesse il cuscino e le guardasse. “Hayley? Non da… dalla festa di lunedì.”
Una spiacevole, vuota sensazione si impadronì di ogni parte del corpo di Bri. Controllò tutti i messaggi sul cellulare. Non c’era niente da parte di Hayley da lunedì pomeriggio.

Sono stata invitata a un festa in una VILLA stasera. Vuoi venire?

Avevano trascorso tre ore per prepararsi, Hayley aveva indossato un non caratteristico vestito stretto scollato che mostrava chilometri di gambe lisce e abbronzate. Continuava a insistere di mostrarsi al meglio; era stata invitata da un ragazzo che le aveva offerto un mai tai alla Cabo Cantina e le aveva detto di portare le sue amiche più fighe.
Erano andate tutte, camminando sulla strada privata in cui un paio di corpulenti body guard le avevano fatte passare. La villa era estesa e moderna, una struttura scultorea a forma di scatola. Ogni stanza ardeva di luce e opulenza. Melanie si era subito confusa tra la gente, ruotando le anche a tempo di musica. Nella cucina, Leah aveva intravisto un ragazzo del suo corso di biologia e aveva puntato dritto verso di lui. Hayley e Bri avevano attraversato la casa fino al cortile sul retro per sentirsi a proprio agio. Un’enorme piscina risplendeva di acqua marina sotto di loro, e fuori più in là la spiaggia si stendeva nera al chiaro di luna.
Gli occhi di Hayley brillavano, riflettendo le brillanti luci colorate del cortile. Per tutto il weekend aveva alternato momenti di tristezza a indignato disprezzo. Un minuto prima era in lacrime; quello dopo, girava sui tacchi per guardare una delle sue amiche e diceva: “Chad non può dirmi cosa fare. Chi si crede di essere?”. Lei e il suo ragazzo si erano lasciati per la centesima volta, ma quella notte Hayley appariva eccitata. Sembrava quasi come se il dolore fosse caduto dal suo corpo, come una sorta di pesante bozzolo, lasciandola pura, rigenerata e nuova. Lei e Bri si erano tuffate nella massa di corpi danzanti, e per un po’ il basso strimpellante aveva liberato la mente di Bri da tutti i pensieri. Aveva perso la concezione del tempo, il numero dei drink che si era lasciata dietro – e le sue amiche.
Ora Bri ricordava di aver visto Leah fare delle linee di coca su un antico tavolo da caffè, tenendosi i lunghi capelli color miele mentre si chinava. Ricordava delle mani salirle sui fianchi, una biascicata voce maschile che le diceva sarebbe stata davvero sexy se si fosse lasciata crescere i capelli. Ricordava di aver visto rapidamente Hayley mentre si avvicinava per sussurrare nell’orecchio di un ragazzo in un abito bianco dal taglio perfetto, i suoi occhi dalle ciglia lunghe e sensuali, le sue labbra tenevano il muso in maniera scherzosa.
A parte quello, era tutto confuso. Si era svegliata la mattina dopo in una sedia da giardino accanto alla piscina del motel, tremando per l’aria fredda del mattino, la borsa sotto la sua testa. Non aveva idea di come fosse tornata a casa.
“L’avete vista lasciare la festa con qualcuno?” Bri guardò le sue amiche. Entrambe scossero la testa lentamente.
“Sono sicura che sta bene,” disse Melanie con esitazione. “Probabilmente è con qualche tipo conosciuto alla festa. Uscirà fuori per prendere un po’ d’aria prima o poi”.
“Ma abbiamo promesso che ci saremmo messe in contatto l’una con l’altra almeno una volta al giorno. L’abbiamo promesso.” La voce di Bri era più acuta di quanto avesse voluto. Avevano fatto un patto mentre erano per strada, per cui non importava cosa stessero facendo, non importava quanto si stessero divertendo, si sarebbero prese cura l’una dell’altra. Quel presentimento oscuro, vacuo nelle budella si era fatto ancora più grande. Aprì la finestra dei messaggi e ne scrisse uno nuovo.

Dove sei? Vieni con noi per la colazione.

Rispondi appena puoi.

Tutto quello che dovevano fare era aspettare. Melanie probabilmente aveva ragione – Hayley aveva perso la cognizione del tempo, esattamente come loro. Era da qualche parte lì fuori a divertirsi un mondo. Eppure, quando Leah e Melanie si alzarono per andare a fare colazione, Bri scosse la testa per dire no, il telefono stretto nella sua mano. Rimase seduta da sola nella camera del motel, tremando ma troppo stanca per cambiarsi i vestiti. Inviò un altro messaggio a Hayley. E un altro.

Smettila di fare l’EGOISTA e rispondi, Hayley.

Sono tutti preoccupati per te.

RISPONDIMI.

Ora basta – se non ti fai sentire entro dieci minuti chiamiamo la polizia. Sono serissima.

Per favore rispondi.

Ti prego.

CAPITOLO UNO

“Che ne dice di questo?”
Veronica Mars era seduta su di una sedia di plastica nello studio della neurologa, le gambe accavallate una sull’altra, gli stivaletti da motociclista che facevano su e giù mentre assisteva all’esame del padre. Keith Mars era seduto a un tavolino, dal lato opposto rispetto al medico, osservando mentre esso faceva scorrere delle flash card una dopo l’altra con dei movimenti deliberatamente attenti.
“Carriola,” rispose lui senza esitare. La dottoressa Subramanian si limitò a posare la carta alla propria sinistra con indifferenza, senza annuire né scuotere la testa.
L’ufficio della neurologa era freddo e aveva la luce soffusa, illuminato solo dall’accogliente luccichio di lampadine a pavimento al posto di quelle luci fluorescenti e fastidiose che si trovavano nella maggior parte degli studi medici. Sembrava sempre tardo pomeriggio la dentro. Veronica faceva finta di essere interessata a un numero di Redbook vecchio di quattro mesi, gli occhi su un titolo di copertina che recitava “Venti regali a meno di venti dollari.”
“E questo?”
“Alligatore.”
Veronica lanciò uno sguardo al padre e al bastone di titanio appoggiato vicino alla sua gamba. Erano passati due mesi dall’incidente automobilistico che l’aveva quasi ucciso. Keith si stava incontrando con l’agente Jerry Sacks per informazioni sulla corruzione all’interno del dipartimento dello sceriffo, quando un furgoncino li aveva colpiti in pieno – per poi tornare indietro e colpirli nuovamente. Sacks era morto e Keith l’aveva scampata solo perché Logan Echolls era riuscito a tirarlo fuori dall’auto prima che questa esplodesse.
La versione ufficiale della storia – o quantomeno quella che lo sceriffo Dan Lamb aveva propinato ai media – era che Sacks fosse alle calcagna di uno spacciatore di metanfetamine di nome Danny Sweet, e che il furgone fosse stato mandato a uccidere Sacks dopo che l’agente aveva fatto accusare di spaccio tre degli uomini di Sweet. Erano tutte palle, ma i notiziari locali non sembravano interessati a scavare più a fondo.
Veronica aveva cercato di far parlare il padre dell’incidente fin da quella notte, ma Keith era assolutamente avaro di dettagli e continuava a ripeterle “il caso è mio, non tuo.” Era quasi diventato un gioco fra di loro. Ogni volta che lei cercava di farlo parlare, tirando a indovinare chi potesse esserci al volante – Lamb? Un altro agente? Qualcuno di completamente diverso? – lui sviava il discorso con nonchalance. L’unica cosa che era riuscita a estorcergli era che l’assassino stava alle costole di Sacks, non le sue, e quindi di lasciar perdere.
“Candela. Anello. Ombrello,” disse Keith ad alta voce. Veronica esaminò il padre. I lividi violacei che avevano invaso il suo corpo erano scomparsi. Ma i danni veri – le costole rotte, il bacino fratturato, il fegato lacerato – erano ancora in fase di guarigione. Si era rotto il cranio, gli erano usciti un ematoma subdurale e una lieve contusione cerebrale, e per alcune settimane dopo l’incidente le sue reazioni erano state lente. Dopo essersi stabilizzato, per qualche giorno aveva avuto problemi di pronuncia, annaspando a volte per alcuni secondi prima di riuscire a parlare. Ora rispondeva alle domande della dottoressa Subramanian velocemente e in maniera ferma. Parola dopo parola, Veronica lo vedeva sedere sempre più composto, come se stesse guarendo solo riuscendo a indovinare le flash card.
“Molto bene, Signor Mars.” La voce dal marcato accento di Oxford era tirata ma compiaciuta. Gli mostrò uno dei suoi rari sorrisi, stirando gli angoli delle flash card.
Veronica posò la rivista.
“Quindi qual è il verdetto, dottoressa? È tornato come nuovo? Lo possiamo portare a fare il test di guida?”
La dottoressa Subramanian si girò a lanciarle un’occhiataccia al di sopra degli occhiali. Portava i capelli grigi raccolti e aveva un rossetto che Veronica pensò dovesse chiamarsi Niente Cose Senza Senso. Le piaceva.
“Come nuovo non è l’espressione che userei. Ma sono soddisfatta dei suoi progressi. Come vanno i suoi tempi di reazione, Signor Mars?”
“Migliorano velocemente,” rispose Keith, mimando uno scarabocchio fatto in fretta.
“Cambiamenti d’umore, comportamenti strani, non sequitur?” Si rivolse a Veronica.
“Non più del solito.” Veronica sorrise al padre.
“Hmm.” La dottoressa Subramanian guardò la cartella che teneva fra le mani. “Il resto della guarigione come procede? Pare che abbia incontrato il medico che la segue all’inizio della settimana.”
“Dice che non posso ancora partecipare a nessuna maratona, ma magari potrei stare seduto dietro a una scrivania a sistemare graffette. Mi piacerebbe tornare al lavoro il più presto possibile,” disse Keith, lisciandosi la giacca. Da quando era stato dimesso si era ostinato a indossare una camicia stirata e una cravatta ogni giorno, come se stesse andando in ufficio.
“Hmm.” La dottoressa aprì una busta e ne tirò fuori alcune immagini sgranate di una risonanza magnetica che appese a una lavagnetta luminosa. Poi accese la luce e prese un puntatore laser attaccato a un set di chiavi. “Beh, la scansione del cervello è migliorata. Il gonfiore è sparito quasi del tutto, come può vedere qui…”
Il sollievo annebbiò la vista di Veronica, mentre l’immagine del cervello in via di guarigione di suo padre scompariva in una macchia sfocata. Di nascosto si picchiettò gli occhi. Solo ora che lui era in via di una certa guarigione, capì quanto fosse stata terrorizzata all’idea che suo padre potesse esserle portato via così facilmente. Era tutta la famiglia che aveva. Ogni mattina si svegliava con un buco nello stomaco, nell’attesa che le cose tornassero alla normalità.
Perché normale è la parola d’ordine, giusto? Sorrise leggermente tra sé e sé. Nella sua vita non c’era più stato nulla di normale da quanto era tornata a Neptune dopo essere stata via per nove lunghi e normalissimi anni. Da ragazzina, tutto ciò che voleva era andarsene, fuggire dai confini di una città in cui tutto era governato dai ricchi e dai corrotti, fuggire dalle cicatrici della sua giovinezza. E l’aveva fatto, almeno per un po’. Era partita, prima per Stanford, e poi per la facoltà di Legge della Columbia. La vita che si era costruita non le sembrava niente male. Un buco di appartamento a Brooklyn ad uno sputo da Prospect Park; un’offerta di lavoro da Truman-Mann, dove avrebbe potuto avere l’opportunità di imparare dai più feroci avvocati di New York. Carina, piena di talento, lo stabile fidanzato di nome Piz.
Ma si era lasciata tutto alle spalle. Era bastata una semplice telefonata per riportarla a Neptune. Quando Logan, il suo ragazzo delle superiori, fu erroneamente accusato dell’omicidio della sua ex ragazza, Veronica aveva messo da parte tutta la sua vita per correre a casa e provare la sua innocenza. Aveva scoperto il vero colpevole, e riscoperto quella parte di lei che aveva perso, quella che sapeva che sarebbe dovuta essere un’investigatrice privata e non un avvocato.
E aveva anche ritrovato Logan. Ora lui era il suo… Cosa? Nuovo-vecchio ragazzo? Amante? Amichetto di Skype? Amico di penna “speciale”? Qualunque fosse il suo titolo, le sue mail le riempivano la casella di posta elettronica. A volte gliene mandava cinque al giorno, brevi e divertenti. Altre volte gliene mandava di più lunghe e più serie. Quando rispondeva, lei cercava di mantenere un tono leggero. Era la sua prassi: una battuta, una frecciatina. Un modo per allontanarsi dai suoi veri sentimenti. Un modo per impedire che il dolore per la sua mancanza diventasse troppo forte per vivere. E onestamente, cosa avrebbe potuto dire che si avvicinasse anche solo a quel che provava?
Gli ultimi momenti passati insieme, prima che lui dovesse partire per un altro viaggio in nave, erano stati i più rilassanti che riuscisse a ricordare, nonostante l’ansia per suo padre. Era la prima volta, dopo tanto tempo, che si era sentita di nuovo completa. E poi, in un attimo, lui non c’era più.
“… Quindi vorrei che lo facesse ancora un paio di settimane in più, giusto per essere più che sicuri. E poi sì, finché mi promette di ripartire lentamente, può ricominciare a lavorare con turni brevi.”
La voce della dottoressa Subramanian le giunse ovattata. “Però, signorina Mars, le do l’incarico di controllare che non si affatichi troppo. Se dovesse mettersi troppo presto a fare qualcosa di faticoso, le do il permesso di rispedirlo a casa.”
“Hai sentito?” disse Veronica a Keith. “La Mars Investigazioni si è appena guadagnata un nuovo stagista sottopagato. Fotocopie, caffè ed e-mail, amico.”
Lui si strofinò le mani: “È tutta la vita che mi preparo a questo momento!”.
Veronica si sforzò di sorridere. Nonostante il loro scambio di battute, un vago senso di disagio pesava sul petto di Veronica. Era ovviamente sollevata che suo padre potesse tornare presto a lavoro, sapeva quanto questo fosse importante per lui. Quando andava alle superiori, lavorava nel suo studio di investigazioni, la Mars Investigazioni. Ufficialmente era la segretaria. Ufficiosamente, si occupava di tutti i casi per cui lui non aveva tempo.
Ma ora era costretta a chiedersi come sarebbe stato tornare in ufficio insieme a lui. Avrebbero srotolato nastro adesivo al centro della stanza come in I love Lucy? Sarebbero stati in grado di farci entrare un’altra scrivania? Si immaginò una scrivania di plastica, rosa e delle dimensioni di quelle usate dai bambini per giocare, accanto a quella di lui, con un adesivo incollato ad un angolo su cui si leggeva FISHER PRICE È LA MIA PRIMA SCRIVANIA DA UFFICIO. Seduta con le ginocchia al petto, a digitare furiosamente su un computer finto, mentre suo padre la osservava affettuosamente.
Era ridicolo: avevano già lavorato insieme, dopotutto, ma lui non era stato troppo felice della sua decisione di sacrificare una carriera remunerativa presso uno studio legale per seguire con la macchina fotografica i donnaioli. Negli ultimi due mesi lui era stato in grado di fingere che lei fosse lì per aiutarlo durante la convalescenza, ma lei aveva notato sempre più come lui si irritasse al solo menzionare il suo lavoro. Se gli diceva di essere stata fuori fino a tardi per un appostamento, o se nominava qualcosa di buffo o strano che aveva notato durante un caso, lui si faceva silenzioso e velocemente spostava lo sguardo altrove. Come se lei si fosse appena messa in imbarazzo e anche lui fosse in imbarazzo.
Lui non riusciva a capire perché fosse tornata. In certi giorni nemmeno lei lo capiva. Neptune era ancora la solita sfavillante, sporca città di mare, come un ossidato angelo di bronzo che veglia su un cimitero. Ma nel momento in cui aveva iniziato a lavorare al caso di Logan, aveva sentito il desiderio di investigare, di scoprire la verità in un ammasso di bugie, che la attirava a sé. Come una corrente di ritorno.
Qualche minuto dopo uscirono insieme alla tenue luce del sole. Per un momento lo osservò con la coda dell’occhio, notando il modo in cui la sua bocca si serrava mentre scendevano i tre gradini che portavano al parcheggio. Keith Mars era un uomo basso e tarchiato, quasi del tutto calvo, i suoi capelli scuri formavano una bassa corona ai lati della testa. La sua mascella marcata era di solito oscurata dall’ombra della barba che cresceva rapidamente. Sembrava un poliziotto, pensò lei, sorridendo leggermente. Erano ormai passati otto anni dall’ultima volta che aveva indossato l’uniforme, ma per lei aveva sempre avuto l’aspetto di un poliziotto.
“Come ci si sente ad essere un passo più vicino al ritorno in campo in forma perfetta?”
Lui batté ironicamente sul marciapiede con il suo bastone. “Ci sto arrivando, un minuscolo, zoppicante passo alla volta.”
“Ehi” gli diede un delicato colpetto con il gomito. “Gioca bene le tue carte e ti lascerò addirittura pulire l’acquario.”
La lucida decappottabile blu notte di Logan saltava all’occhio in un parcheggio strapieno di berline di medie dimensioni. Lui aveva insistito per prestargliela durante la sua missione. “Starò bloccato su una gigantesca scatola di latta nel golfo Persico per i prossimi sei mesi. A che cosa potrebbe servirmi?”. Aveva provato a protestare – costava più di quanto lei potesse aspettarsi di guadagnare nei prossimi due o tre anni – ma entrare in macchina la elettrizzava sempre un po’. E non era solo perché il cruscotto sembrava quello di una nave spaziale e per gli interni in pelle che erano morbidi come il didietro di un angioletto. Un fresco, tenue odore che ricordava un bosco persisteva sul sedile del guidatore – il profumo distante del dopobarba di Logan. E quando piegava le dita attorno al volante poteva quasi sentire le mani di lui lì, sotto le sue.
Stai perdendo le tue qualità, Mars, disse a se stessa mentre Keith si metteva la cintura di sicurezza. Non puoi più permetterti il lusso di comportarti come una teenager innamorata.
Inoltre erano già passati due mesi e mezzo – mancavano ancora centododici giorni al ritorno di Logan.

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Nella sua testa vive nella Londra degli anni cinquanta guadagnandosi da vivere scrivendo romanzi noir, nella realtà è un’addetta alle vendite disperata che si chiede cosa debba farne della sua laurea in comunicazione mentre aspetta pazientemente che il decimo Dottore la venga a salvare dalla monotonia bergamasca sulla sua scintillante Tardis blu. Ama più di ogni altra cosa al mondo l’accento british e scrivere, al punto da usare qualunque cosa per farlo. Il suo primo amore telefilmico è stato Beverly Hills 90210 (insieme a Dylan McKay) e da allora non si è più fermata, arrivando a guardare più serie tv di quelle a cui è possibile stare dietro in una settimana fatta di soli sette giorni (il che ha aiutato la sua insonnia a passare da cronica a senza speranza di salvezza). Le sue maggiori ossessioni negli anni sono state Roswell, Supernatural, Doctor Who, Smallville e i Warblers di Glee.

10 COMMENTS

  1. Ciao 🙂 ho scoperto questo post tramite Twitter, perché sto spargendo la voce sulla convention italiana dedicata al telefilm e… ho il libro in arrivo, ma mi chiedevo come avrei potuto leggerlo in modo più fluente, se non avessi capito tutto alla prima lettura!

    Grazie mille per questa traduzione, vorrei anche segnalarla sul mio sito di Veronica, inserisco max due righe per incuriosire e poi metto vostro nome e indirizzo… qualche utente me l’aveva anche chiesto, se esistesse una versione italiana di TDTL 😛
    Grandi!

  2. Oh no, you didn’t! *_____* Ditemi che non è un pesce d’Aprile e che questa era semplicemente una fan-fiction…ditemi che tradurrete anche i restanti capitoli e libri ç___ç Ve ne saremo infinitamente grati e voteremo ad ogni premio per cui verrete candidati. *s’inginocchia e prega* E se fosse stata anche una sola mera illusione, grazie per aver risollevato la giornata! 🙂

  3. Grazie grazie grazie davvero *-*
    Spero tradurrete anche tutti gli altri capitoli e libri.
    Fareste a noi poveri fans italiani un regalo enorme 😀

  4. Grazie per aver pubblicato la traduzione del 1 capitolo! questa serie mi mancava troppo! spero che ne pubblicherete altre! e non vedo l’ora di comprare il libro sperando che prima o poi arrivera anche in italia.

  5. ciao! è uscito anche un altro libro di Veronica, mi chiedevo se avevate in programma di tradurlo!
    PS. il lavoro che avete fatto con la traduzione di questo libro è stato favoloso! Grazie, grazie e ancora grazie per avermi dato la possibilità di leggerlo!!!

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