Come promesso, non potevamo lasciar andare questa miniserie senza recensire anche la seconda coppia delle quattro puntate complessive, per cui eccoci qui, nuovamente nell’Egitto degli anni ’20 del XX secolo, pronti a entrare nella tomba del cosiddetto “Faraone bambino”.
La seconda parte di “Tutankhamun” ci ha coinvolto in tutte le sfumature dello spettro emotivo umanamente sperimentabile.
È stato un viaggio intrigante, avventuroso, con l’adrenalina a scorrere veloce, per poi defluire in qualche intimo momento malinconico. Si è trattato indubbiamente di due puntate molto più intense delle precedenti, dal momento che l’azione è entrata nel vivo e si è compiuta la più grande e interessante (almeno secondo me) scoperta archeologica del secolo.
Non mi aspettavo che la tomba venisse scoperta così presto, avevo pensato che avremmo assistito al ritrovamento, per poi fermarci di fronte alla porta sigillata, lasciando il resto alla nostra immaginazione. Per questo motivo ho partecipato con un po’ di apprensione alle fasi precedenti all’apertura dell’ingresso di quella che si sarebbe rivelata l’anticamera della tomba del Faraone bambino; ero talmente coinvolta da vivermi sulla pelle prima tutto il pathos e l’inquietudine dell’attesa di capire se si trattava effettivamente di una scoperta colossale o solo di un miraggio, poi il batticuore dell’effettiva consapevolezza che ce l’avevano fatta.
C’è da dire, però, che se all’inizio della terza puntata mi metti davanti all’evento clamoroso al centro dell’intera produzione, grossi guai sono in vista. E, in effetti, è stato così. Non conoscendo molto della storia, ne ho seguito il dipanarsi con l’entusiasmo del destinatario della narrazione di un’esotica avventura dei tempi passati.
Dall’euforia, l’entusiasmo e l’esultanza del ritrovamento, miste alla pelle d’oca quando Carter esclama “I see wonderful things” (senza sapere che cose ancora più meravigliose lo aspettavano oltre), siamo passati alle seccature fastidiose dell’inferno burocratico egiziano, con leggi cambiate ex novo e l’estenuante tira e molla, dovuto, in parte, ai rapporti tesi tra la popolazione locale e gli inglesi colonizzatori.
Non sono abbastanza esperta nel settore giuridico per giudicare la vicenda, certo però se mi prendo la briga di ostinarmi a setacciare e scavare a casa vostra, quando voi siete disinteressati da millenni, e trovo la tomba di un faraone che, come ricordato da Evelyn, eravate convinti stesse in una fossa comune ad Amarna, forse il buonsenso indicherebbe che parte del merito del ritrovamento debba essere riconosciuto a chi ha speso anni, soldi, sudore e fatica a trovare qualcosa che appartiene alla vostra gloriosa storia.
L’atmosfera del dopo-ritrovamento si fa confusa, a tratti spiacevole, conflittuale. Il mondo intero punta gli occhi sull’Egitto e sulla tomba del Faraone, tutti vogliono guadagnare e fare i propri interessi, avere lo scoop. Al centro di tutto si staglia l’eroe che si è fidato del suo istinto, che ha scommesso contro ogni probabilità e ha vinto. Un eroe che rimane sempre quell’individuo non esattamente capace di gestire i rapporti interpersonali, che fa errori dettati dalla buonafede (quando garantisce l’esclusiva al Times) e che ha bisogno che qualcuno gli spieghi come funzionano le cose nel mondo reale. Carter è un uomo di grande passione, molto istintivo e dal carattere impulsivo, che ha però il pregio di vivere di entusiasmi puliti, così ingenuo da non anticipare la slealtà altrui, le macchinazioni, la brama di arraffare ricchezze.
In queste due puntate si approfondisce il rapporto con il suo mecenate, che è uno dei punti che a me è piaciuto molto. Non deve essere stato facile costruire il loro rapporto negli anni, con i soldi che scarseggiavano, i dubbi sull’esito della spedizione e il rischio sempre molto reale di fallire; ma, proprio quando la situazione sembra volgere al positivo, quando dovrebbero solo essere felici e brindare al successo della loro lungimiranza, ecco che la loro relazione si incrina. Ed è un peccato, perché i due sono entrambi persone rette, con grande stima per l’altro e un forte senso di lealtà. Al centro del dissidio c’è Evelyn, che, se all’inizio non mi aveva colpito particolarmente e che, anzi, trovavo petulante e fastidiosa, è invece cresciuta moltissimo, mostrandosi determinata, molto testarda, una donna forte e volitiva che sa quello che vuole e che non si tira mai indietro. Una ragazza indomita e coraggiosa, di cui Carter si innamora inevitabilmente, anche influenzato dalla grandiosità di quello che hanno condiviso.
Mentre continuano le controversie con il governo locale, mentre Carter si impegna in un braccio di ferro continuo, il destino gli infligge dei colpi pesanti, che minano la giusta ricompensa morale di un momento lungamente atteso: Lord Carnarvon muore a causa di un’infezione trascurata (santi antibiotici, se solo fossero stati a disposizione) ed Evelyn è costretta a sposare un baronetto per – deduco – salvare la proprietà della famiglia. Il cuore di Carter è infranto, e un po’ anche il nostro.
Gli ultimi minuti dell’epilogo sono dedicati alla fine della vicenda. La salma del Faraone verrà sigillata dentro al suo sarcofago, perché riposi in pace. Gli scavi sono terminati, la Storia è stata raccontata. È un momento dolce-amaro. Carter è arrivato in cima alla vetta, per scoprire che l’onore e il prestigio ottenuti non fanno, banalmente, la felicità. Che forse era più importante il viaggio della meta. È arrivato al termine di quello che aveva sognato, atteso e sperato per anni, ma il suo stato d’animo è fatto di gioia mista a malinconia. È un finale decisamente commovente. Il sipario si chiude al termine dell’avventura, lasciando che il clamore si dissolva e il Faraone continui sereno il suo viaggio nell’Aldilà, senza essere ulteriormente disturbato.
– Syl
La seconda parte di questa miniserie ci porta finalmente a quella che è stata forse la più grande scoperta archeologica del XX secolo e dell’intero Egitto (visto che, per di più, le piramidi erano rimaste visibili anche dopo migliaia di anni, per quanto parzialmente sommerse dalla sabbia, e lo stesso valeva per i grandi templi come Karnak, Abu Simbel e via dicendo). Come il finale del secondo episodio aveva fatto intendere, infatti, quello scalino era LO scalino, che avrebbe portato all’entrata della tomba del Faraone Tutankhamun.
Anche questa volta bisogna iniziare da ciò che non è ben reso e ancora una volta parliamo delle tempistiche.
I lavori alla tomba di Tutankhamun durarono molto a lungo, tra scoperta dello scalino e rimozione degli ultimi oggetti dalla tomba passarono ben otto anni. Carter finì di catalogare i reperti nel 1932, quindi ben dieci anni dopo. Solo tra la scoperta dello scalino (4 Novembre 1922) e la morte di Lord Carnarvon passarono cinque mesi; tra la scoperta dello scalino e la sollevazione del coperchio del sarcofago esterno, di granito, passò un anno e mezzo; inoltre, i problemi col Dipartimento delle Antichità egiziane ci furono realmente, ma si verificarono tra il 1923 e il 1924 e Carter lasciò gli scavi proprio nell’aprile del 1924 per tornarvi all’inizio del 1925.
Quindi, come già successo in precedenza con le prime due puntate, con le tempistiche è stato fatto un po’ un pasticcio.
Nonostante questo aspetto, però, gli episodi sono ugualmente belli, ben realizzati e davvero emozionanti.
In entrambi si assiste a una bellissima evoluzione di Lady Evelyn, divenuta sempre più attiva, matura e preparata. Per questo, la sua relazione con Carter, sebbene storicamente non certa, suscita in ogni caso emozione e partecipazione, per entrambi, nonché tristezza quando finisce (è particolarmente coinvolgente la scena in cui lei prepara le valigie, dopo la morte del padre, per partire, in cui per di più si apprezza l’interpretazione di entrambi gli attori). Quando la si incontra la prima volta, Lady Evelyn è poco più che una ragazzina alla quale viene impedito anche solo di allontanarsi; al terzo episodio è una donna consapevole e sicura di sé, nel quarto è divenuta anche autorevole.
E, se si tiene conto che quelli erano gli anni ’20, si capisce come lei si riveli nell’arco della miniserie come un bel personaggio femminile.
Inoltre, è particolarmente apprezzabile che non ci sia alcuna traccia di soprannaturale con la vituperata “maledizione di Tutankhamun”, di cui non esiste traccia, la quale viene giustamente indicata, negli episodi, come frutto di dicerie, invidia e giornalismo da quattro soldi. Come effettivamente è avvenuto, la morte del povero Lord Carnarvon è dovuta alle precarie condizioni e conoscenze igieniche dei luoghi a quel tempo… niente che una dose di penicillina non avrebbe curato, probabilmente, se non fosse per il fatto che essa fu scoperta nel 1929.
(Quasi tutti coloro che furono coinvolti nella scoperta morirono anni e anni dopo… per esempio, Carter morì nel 1939, il medico che operò l’autopsia sulla mummia del Faraone morì a quasi novant’anni e Lady Evelyn a quasi ottanta.)
Un altro aspetto positivo è di certo la dimostrazione del legame che unisce Carter e Lord Carnarvon, molto realistica, sempre alla luce delle considerazioni che già ho espresso l’altra volta, relative al vivere fianco a fianco un’avventura molto pericolosa per uno scopo in cui si crede fermamente.
Max Irons crea un bel quadro di Howard Carter: un sognatore, certo, talmente appassionato e concentrato su ciò che sta cercando, per la maggior parte del tempo, da non realizzare ciò che gli accade intorno, né cosa le persone provino per lui, ma altresì un uomo forte, anche duro se necessario, deciso, autorevole e autoritario, come dimostrato anche dalla sua affermazione: “E cosa ha fatto l’Egitto in questi tremila anni? Tutte le tombe sono state derubate tranne quella che IO ho scoperto.”
E veniamo proprio alla scoperta della tomba.
Che posso dire. Emozionante in modo incredibile. Mi sono ritrovata a piangere come una bambina.
Certo, si tratta di me e lo ammetto: darei qualunque cosa per poter assistere a un evento del genere, so che riuscirei anche a superare la mia insettofobia (sotto la sabbia del deserto si nascondono parecchi esponenti del mondo animale e giusto per dare un’idea, io quando guardo “La Mummia” mi copro gli occhi non quando la gente muore, bensì quando appaiono gli scarabei… certo, molti animali del deserto, come scorpioni e serpenti, non sono insetti, ma con quel termine è chiaro cosa io intenda).
Si può tranquillamente visualizzare me che, nella scena in cui Howard Carter, Lord Carnarvon e sua figlia entrano nella prima sala, che credono essere la tomba, mi ritrovo a sussurrare tra le lacrime “E’ solo l’anticamera, è solo l’anticamera… non hai idea di quello che ti aspetta oltre, Howard”, ben prima che lui se ne renda conto.
Da quel momento, inoltre, ogni istante dei lavori alla tomba è sottolineato da una bellissima musica, davvero adatta al deserto, delicata ma “monumentale”, epica ed evocativa, quasi “mitologica”.
Pertanto, nonostante le imprecisioni temporali, è una parte davvero ben realizzata, che riesce a trasmettere tutto ciò che è creata per trasmettere.
Il finale dello show è semplice, malinconico, persino triste, e fa desiderare di vedere molto di più, di non lasciare la Valle dei Re, restare lì e scoprire altre meraviglie dell’umanità, che il deserto cela da secoli e secoli e secoli.
Si può ben dire, dunque, che il lavoro svolto con questa miniserie raggiunga lo scopo per cui è stata creata: coinvolgere il pubblico in quella scoperta epocale, di vere meraviglie.
Al centro, lui, Tutankahmun, “Il Farone bambino di dodici anni che portò via il suo popolo dall’oscurità, dagli errori, e lo portò qui, tremila anni dopo”, e l’uomo che, proprio tremila anni dopo, ha aiutato Tutankhamun e portare a termine quell’impresa.
– Sam
Ricordatevi di passare in questa meravigliosa pagina per news, aggiornamenti e spoiler settimanali sui nostri attori britannici preferiti!
Grazie Simona e Silvia per queste recensioni così puntuali e appassionate. E ancora grazie a Silvia di avermi segnalato questa bellissima miniserie.
Non posso che condividere quanto avete scritto. E devo dire che il ‘pasticcio’ sulle tempistiche l’ho trovato coerente con i patti narrativi a cui bisogna scendere per raccontare una storia sullo schermo, almeno in questo caso non si è tolto nulla agli eventi se non che furono più dilatati. In altre occasioni (anche nostrane) hanno fatto veri danni perché è mancata coerenza storica, qui invece l’accuratezza è encomiabile.
Piccola nota bio a suggello dell’emozione di una scoperta archeologica: l’hanno saputa rendere al meglio, a volte è qualcosa che ti paralizza perché non ci credi neanche tu, magari non ti porta neanche fama, ma nessuno ti toglierà mai quel momento perfetto in cui capisci che hai trovato qualcosa di sepolto da secoli o sconosciuto alla storia.
Grazie ancora
manuela
Grazie a te! 🙂 Tenevo molto al tuo commento, per via del tuo background archeologico, e infatti ho un po’ temuto a consigliartela, anche se con le serie inglesi si va un po’ più sul sicuro. Non oso immaginare come sia fare una scoperta archeologica (non necessariamente una tomba reale), l’attesa, il lavoro di mesi e mesi, e poi il ritrovamento. Qui mi sono emozionata come non avrei mai creduto. Secondo me l’attore è riuscito a immedesimarsi completamente, non dico in Howard Carter (perché non lo conosco), ma proprio nell’archeologo che segue la sua passione e alla fine viene ricompensato.
Grazie ancora!
Grazie mille!
Sono molto contenta che la serie ti sia piaciuta (sì, vero che il pasticcio sulle tempistiche è relativo, ma mettere due scritte atte a evidenziare il passaggio del tempo non costa nulla) e che ti siano piaciute le nostre recensioni. 🙂