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The Walking Dead 8×12 – Finalmente la resa dei conti che stavamo… ah, no

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The Walking Dead 8×12 – Finalmente la resa dei conti che stavamo… ah, no

Ci sono risvolti interessanti in questo episodio di The Walking Dead, ma anche stalli tediosi… (non) sorprendentemente gli stalli tediosi sono quelli che girano intorno al protagonista, personaggio che aveva già toccato l’apice dell’assurdo giurando odio imperituro all’acerrimo nemico Negan ma decidendo poi, trovandoselo a tiro di mazza chiodata, di colpirlo di manico anziché grattuggiandogli la faccia come avrebbe fatto lui (winter finale) e che qui scala, se possibile, nuove vette di nonsense esaurendo ben due caricatori di un fucile d’assalto più tutte le munizioni della pistola sparando ad cazzum, finendo poi ovviamente disarmato quando arriva a trovarsi il nemico REALMENTE a tiro. Dafuq?!

 

Partiamo col dire che la caccia al topo di per sé è stata una sequenza dall’impatto visivo tutto sommato ben riuscito, non so di cosa fossero imbevuti i morti per andare a fuoco così facilmente ma senz’altro il seminterrato invaso di vagati-torce fa la sua porca figura… è a livello contenutistico che il tutto si sgonfia inesorabilmente, perché noi spettatori abbiamo ormai capito che il “nuovo” TWD (da tipo la terza stagione in poi) ha deciso che le morti “grosse” saranno relegate a momenti clou delle stagioni (inizio, fine e pre/post hiatus invernale), non disseminate qua e là Game of Thrones-style, quindi che sia Rick che Negan usciranno incolumi da questo faccia a faccia è palese quanto lo strato di unto sui capelli di Daryl.
Anche il loro ping-pong di frecciate sulla leadership mediocre di Rick e l’immotivato senso di onnipotenza di Negan sa di stantio, perché sono le stesse battute che, rivisitate di volta in volta in salsa leggermente diversa a seconda dell’occasione, abbiamo comunque già sentito almeno una decina di volte. Nulla da togliere ai due interpreti, che a onor del vero fanno quello che possono con il materiale che hanno: sia Andrew Lincoln che Jeffrey Dean Morgan sono due colossi, entrambi riescono miracolosamente a restituire un quadro coerente dei loro personaggi (la lucida follia di Negan e il dolore (s)composto di Rick) laddove è proprio la scrittura a essere carente di spunti interessanti e coinvolgenti. Spunti che troviamo invece altrove, in alcune delle trame che avrebbero dovuto essere secondarie in un episodio che parte con la carovana di Salvatori diretti verso Hilltop e che si evolve quasi subito in un confronto tra i due leader: la sottotrama delle new entry un po’ quirky (in particolare la portavoce, che sembrava uscita da una televendita di una di quelle reti locali) e del dilemma di Maggie & co. sull’accettare o meno la buona fede di queste donne e, soprattutto, le sequenze incentrate su Simon e Dwight.

Simon, ormai lo sapete, mi sta sui maroni, ma oggettivamente è un personaggio sfaccettato e dal buon potenziale come focus di questo nuovo risvolto, con lui che abbandona consapevolmente il suo capo alla sua sorte pronto a calcare le scene al suo posto. Ho amato i momenti di confidenza tra lui e Dwight, quest’ultimo invece uno dei miei personaggi preferiti di questa stagione. Entrambi gli interpreti hanno instaurato non solo una buona chimica nelle loro scene isolate, ma hanno creato la giusta dose di tensione nei dialoghi: quando all’inizio sia Negan che Simon si rivolgono a Dwight con un mezzo sorriso sornione o con lo sguardo risaputo era facile immaginare che entrambi fiutassero il tradimento del compagno appena ritrovato, che ci fosse sospetto (ma d’altronde Negan negli ultimi episodi sta affrontando tutti i suoi collaboratori più “fidati” con la stessa espressione da “so cosa hai fatto” ma, all’atto pratico, sembra totalmente inconsapevole della reale posizione di gente come Dwight e Eugene… il che non depone affatto a suo favore, gli fa anzi perdere ancora più credibilità trasformandolo gradualmente in un villain sempre più cartoneanimatesco e piatto, che lascia emergere figure a lui finora secondarie come, appunto, Simon). L’interazione di Dwight e Simon evolve però in uno dei migliori esempi di scrittura di dialoghi che riesco a ricordare di recente in TWD: Simon che gira un po’ attorno al vero punto del suo intento, che la prende alla lontana e Dwight che, dal canto suo, si mantiene sull’amaro ironico andante ma senza mai sbilanciarsi, la tensione del rivelare senza davvero rivelare troppo chiaramente palpabile. E il climax finale nella scelta di Dwight di assecondare il suggerimento velato di Simon di rivoluzionare i vertici della piramide gerarchica (mi è piaciuto molto il montaggio nella scena silenziosa di lui che si accende la sigaretta, lascia che i minuti si dilatino apparentemente all’infinito prima di schioccare il mozzicone verso l’auto ribaltata del suo capo, dandola alle fiamme: Austin Amelio magistrale) per poi trovarsi davanti alla minaccia forse addirittura più bieca di Simon alla guida dei Savior, con l’intento di fare del suo scatto di repressione nei confronti degli Scavangers una filosofia di vita per l’intero gruppo.
Sicuramente il cambio di vertice per i principali antagonisti dei nostri ha del potenziale narrativo di tutto rispetto, in relazione alla mano pesante con cui i Salvatori andranno ora ad abbattersi su Hilltop ma anche nell’ottica di come Negan stesso potrebbe reagire alla consapevolezza da poco acquisita che il suo secondo gli ha già disubbidito una volta (big time!) e che quindi avrebbe potuto abbandonare la missione di soccorso in suo favore di proposito. Il faccia a faccia Negan-Simon ha comunque modo di farsi attendere visto che il primo ci appare, nei secondi finali dell’episodio, in compagnia di (leggi: a tiro d’arma da fuoco di) una rediviva Jadis: altro buon colpo finale per quanto mi riguarda, l’ostinazione degli autori nel rimandare la fine di Negan è evidente ma qua almeno c’è un buon motivo, la futura dinamica tra i due mi incuriosisce decisamente.

Per quanto riguarda l’altra principale sottotrama (ovvero le tre tipe dal senso dell’umorismo discutibile, un carente fiuto per gli affari e decisamente un pessimo gusto nell’abbigliamento), nonostante ci venga chiesta una notevole sospensione dell’incredulità per berci che delle tizie così siano potute sopravvivere così a lungo in questo mondo post-apocalittico facendo realmente solo quello che dicono di fare, le basi per un vago interesse ci sono: da dove scappano fuori, e qual è il loro vero intento, sempre che ce ne sia uno nascosto? Se venisse fuori che si può davvero andare avanti con buone intenzioni a dispetto della violenza e dell’urgenza di annientare il prossimo per sopravvivere che abbiamo visto finora si tratterebbe in effetti di una realtà interessante davanti a cui mettere i nostri, Rick in particolare, che ha invece fatto della vendetta e della distruzione indiscriminata della fazione opposta un chiaro obiettivo vitale. La “chiave” del titolo, una raccolta di conoscenze medievali per tornare alle basi e costruire una società in grado di porsi su solide fondamenta per autosupportarsi in maniera costruttiva, sembra la naturale continuazione del sogno di Carl, personaggio la cui aura continua a propagarsi sui gesti e le decisioni degli altri: Enid e Michonne ad esempio, che in seguito alla sua scomparsa si pongono in modo diverso rispetto all’idea di accogliere le tre nuove arrivate, una con cinica diffidenza e l’altra cercando invece di emulare la cieca fiducia nel prossimo che ha sì portato alla fine del ragazzo, ma che può però anche essere fonte di speranza per il futuro di un’intera comunità. Ancora una volta è Maggie alla fine a fare la scelta definitiva, che è a mio parere piuttosto lungimirante e che dimostra, ancora una volta, la crescita di questo personaggio nel suo nuovo ruolo di spicco all’interno del gruppo che sta guidando in tempi così tormentati.

Episodio quindi altalenante per via di una trama principale che arranca, per protrarsi più a lungo possibile, e che manca di reali colpi di scena, sostenuta ai margini da storyline secondarie meglio strutturate e di impatto decisamente più coinvolgente. Si prospettano sviluppi interessanti nei prossimi episodi se gli autori sapranno percorrere le strade giuste e sfruttare al meglio quei personaggi e quelle dinamiche spesso lasciati immeritatamente in disparte. Tengo le dita incrociate in attesa della 8×13, vi invito intanto a lasciarmi qui sotto i vostri pareri su questa puntata e le vostre speranze per il prosieguo e, se non l’avete ancora fatto, vi ricordo di passare a lasciare un like ai nostri amici di

The Walking Dead ITA
Andrew Lincoln Italy

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Alla prossima!

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Ale
Tour leader/traduttrice di giorno e telefila di notte, il suo percorso seriale parte in gioventù dai teen drama "storici" e si evolve nel tempo verso il sci-fi/fantasy/mistery, ora i suoi generi preferiti...ma la verità è che se la serie merita non si butta via niente! Sceglie in terza media la via inizialmente forse poco remunerativa, ma per lei infinitamente appagante, dello studio delle lingue e culture straniere, con una passione per quelle anglosassoni e una curiosità infinita più in generale per tutto quello che non è "casa". Adora viaggiare, se vincesse un milione di euro sarebbe già sulla porta con lo zaino in spalla (ma intanto, anche per aggirare l'ostacolo denaro, aspetta fiduciosa che passi il Dottore a offrirle un giretto sul Tardis). Il sogno nel cassetto è il coast-to-coast degli Stati Uniti [check, in versione ridotta] e mangiare tacchino il giorno del Ringraziamento [working on it...]. Tendente al logorroico, va forte con le opinioni non richieste, per questo si butta nell'allegro mondo delle recensioni. Fa parte dello schieramento dei fan di Lost che non hanno completamente smadonnato dopo il finale, si dispera ancora all'idea che serie come Pushing Daisies e Veronica Mars siano state cancellate ma si consola pensando che nell'universo rosso di Fringe sono arrivate entrambe alla decima stagione.

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