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The End of the F*** World – Il telefilm che non mi aspettavo di amare dal minuto zero

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The End of the F*** World – Il telefilm che non mi aspettavo di amare dal minuto zero


Non so assolutamente resistere alle e-mail di Netflix che iniziano con un – apparentemente – neutro: “Abbiamo aggiunto una serie/film/whatever che ti potrebbe piacere”. Mi fanno sentire come se qualcuno mi aspettasse a casa con una tazza di tè caldo in mano e (molti) biscotti al cioccolato e mi indicasse il divano senza pretendere da me una sola parola. E questa mia immagine di felicità domestica ci collega senz’altro al dibattito proposto da Lestblue di Telefilm Addicted (qui), che io ho trovato molto intrigante, e che, per farla breve, possiamo riassumere con: siamo o non siamo in un rapporto di co-dipendenza da Netflix perché abbiamo il culo pesante esso ci accomoda come (re e) regine? (Cit.). Quanto spesso guardiamo serie-tv proposte da Netflix solo perché è più comodo?
Nonostante il re dello streaming non sia ancora riuscito ad avere la mia anima attenzione esclusiva, questa volta ammetto che senza il suo (prezioso) aiuto non mi sarei mai imbattuta in The End of the F*** World e mi sarei persa qualcosa di grandioso. Sì, sono nel gruppo di quelli a cui è piaciuto moltissimo e va a proclamarlo in giro per il (fucking) mondo.

Riconosco che, dalle premesse, non avrei supposto minimamente, nemmeno se mi avessero offerto denaro in contanti, che si trattasse qualcosa che avrei divorato nel giro di mezzo pomeriggio, riguardandolo subito dopo (e apprezzarlo perfino di più), perché TEOTFW (tratto dal fumetto dello stesso titolo di Charles Forsman), è tutto e insieme il suo opposto: è dolcissimo pur essendo, a tratti, molto disturbante, ti porta all’estremo della sopportazione e ti fa sciogliere come una pera cotta per la bellezza che è in grado di evocare, ti prende, ti rivolta e ti infila dentro una girandola emotiva, degna dei migliori roller coaster telefilmici. 

È la storia on the road di due adolescenti emarginati, danneggiati, sofferenti e ribelli, ognuno con una personale modalità di espressione del disagio, due ragazzi che non potrebbero essere più diversi e improbabili nel loro accostamento, e che ce la mettono tutta per farti saltare i nervi  senza curarsi di comportarsi secondo un minimo di senso civile (essendo appunto adolescenti, ma non per questo meno fastidiosi), ma che allo stesso tempo, senza nessun preavviso, sono in grado di farci affezionare a loro con tanta violenza da sorprenderci e renderci pronti a tutto. Vogliamo a tutti i costi vederli liberi e selvaggi in barba alla Legge e a un mondo adulto che li ha prima spinti ai margini e alla fuga, come unica possibilità di sopravvivenza e poi li perseguita, li reprime e li tradisce. Vogliamo aiutarli a fuggire. Vogliamo inventarci degli alibi. Vogliamo correre con loro verso l’oceano. Vogliamo credere che tutto sia possibile, che la rottura con il mondo opprimente sia la soluzione giusta. Forse vediamo in loro quella parte di noi che non si è piegata ai compromessi, che se ne sta annidata in qualche anfratto sempre vivo e mai dimenticato. Quella parte che, con un po’ di ingenuità mista a irresistibile cinismo, sogna ancora di poter costruire un mondo migliore.

 

Del resto come si fa a resistere a una scena di apertura in cui il protagonista, James (Alex Lawther, Black Mirror), se ne esce con un candido “I’m James. I’m 17. And I’m pretty sure I’m a psychopath”? O ti lasci trascinare nella storia e la ami perdutamente, o cambi storia, non ci sono vie di mezzo. James è un ragazzo che ci fa schiantare dal ridere per il suo impeccabile aplomb, e la sua imperturbabilità senza (apparenti) incrinature, che è in realtà solo un meccanismo di difesa, che nasconde la paura di provare emozioni, o forse di non provarne mai più, dopo averle a lungo represse per non far riemergere la sofferenza dovuta al suicidio della madre depressa, a cui ha assistito da bambino. Che cosa può esserci di peggio? Ah, sì, il padre con il terribile senso dell’umorismo.


Alyssa (Jessica Barden, Penny Dreadful) , la sua partner-in-crime, compagna di viaggio alla Thelma e Louise, assomiglia forse di più alla classica ragazzina ribelle, saputella, sprezzante e un po’ snob (anche lei solo in apparenza), che non esita a mostrare al mondo l’esatta sfumatura delle sue taglientissimi opinioni, le sue alzate di sopracciglia e le prese in giro che non risparmia a nessuno, ma che, grazie ai suoi monologhi interiori, scopriamo spaventata, vulnerabile, e profondamente ferita dall’abbandono fisico del padre e quello emotivo della madre, succube del nuovo marito sul filo delle molestie (quanto può essere straziante venire progressivamente esclusa dalla vita di famiglia, al punto che non ci sono foto proprie in mezzo a quelle dei fratellastri?! Ma questi adulti chi li ha allevati? La strega di Hansel e Gretel?!).

   

Sono due personaggi straordinari, che non hanno nessun pudore a mostrarsi per quello che sono e non hanno ancora interiorizzato i freni inibitori tipici del mondo adulto. Ho capito che il viaggio con loro sarebbe stato straordinario sin da quando ho visto Alyssa ponderare la possibilità teorica di potersi innamorare o meno di James, considerandolo solo un disadattato come lei (che non si fida invece di chi si adatta all’ambiente circostante), mentre lui stava al gioco soltanto per poterla successivamente uccidere con agio, visto che il suo unico intento era quello di fare l’upgrade del Piccolo Omicida, e passare dagli animali agli esseri umani. Per quanto spaventosi, i flash di lui che si immagina di ucciderla con il coltello da caccia sono stati esilarantissimi!

Nel corso della storia, nel lungo percorso on the road pieno di prove, ostacoli e impedimenti, imparano a contare sulle proprie forze, sono obbligati a reagire, a difendersi, rubano, ingannano, sopravvivono, si inventano stratagemmi, sanno volgere a proprio vantaggio ogni imprevisto, si imbattono in ogni tipo di esperienza più o meno potenzialmente pericolosa e lo fanno con humor nero, leggerezza, impudenza, scherno, allegria, caparbietà, capacità di leggere le situazioni, lungimiranza, e insieme anche eccessiva ingenuità. Imparano soprattutto che cosa significa, nel profondo, legarsi a un altro essere umano, stabilire una connessione, l’importanza di aprirsi, la fortuna di trovare un compagno di strada, che ci protegge, che arriva a uccidere per noi (per scoprire a sua volta che, via, forse in fondo psicopatico non lo è davvero) e che è con noi, sempre. Che non ci abbandona. L’unico. Imparano a innamorarsi. Alyssa per la prima volta non viene abbandonata. E James torna finalmente a provare emozioni, come vediamo quando deve finire pietosamente il cane investito e non ci riesce, e piange, proprio lui che aveva ucciso animali senza un minimo di rimorso.

 

A far da contorno a una storia surreale, spesso al limite, decisamente iper realistica e un po’ grottesca, ma sempre irriverente, ci sono una serie di personaggi altrettanto strambi e disagiati, alternativamente crudeli, indifferenti o di buon cuore, involontariamente comici, un po’ iper-caricati nelle loro caratteristiche, che ci fanno spesso morire dal ridere, nonostante la serietà mortale degli eventi. Come non citare Frodo-nome-di-battesimo, la guardia del negozio di intimo che offre una mano disinteressata (e un pacchetto di biscotti) ad Alyssa, la poliziotta buona e quella cattiva, una iper sensibile e l’altra iper cinica, con un leggerissimo problema di comunicazione tra loro, il padre disperso che ha il solo pregio di aver accresciuto un falso mito dovuto alla sua mancanza e il temibile orco in carne e ossa. Nel ruolo di aiutanti o antagonisti, obbligano i due protagonisti a ridefinire se stessi e quello in cui credono.

È un telefilm che ha il sapore della fiaba, che ne conserva i punti chiave e talune caratteristiche (come quella di presentare adulti che non sanno prendersi cura dei giovani eroi). È una fiaba di quelle crudeli, quelle che ti fanno crescere e ti mostrano che i cattivi esistono e come fare ad affrontarli. Ma è anche una storia che crea un amore non contaminato, di quelli che rimangono puri nonostante la barbarie intorno e che fanno sognare. Quegli amori che vogliamo proteggere e che speriamo possano librarsi in volo, senza rimanere incatenati a terra.

In ultimo, come non citare la fantastica colonna sonora, che fa da corollario a un prodotto di cui fatico, sinceramente, a trovare difetti. Ci sono sicuramente momenti respingenti, ma ce ne sono molti altri di grande poesia e dolcezza.

  

– Syl

6 COMMENTS

  1. Visto fino al secondo episodio, poi non ce l’ho fatta più. Probabilmente non sono all’altezza, ma ho trovato tutto estremamente scontato, inutile, molto noioso e prevedibile. E a tratti pure facilmente disgustoso. Ecco, soprattutto noioso, senza poesia, senza arte. Opinione e gusti personali, naturalmente.

    • Comprendo perfettamente, la tua è proprio una delle due reazioni su cui si è diviso twitter riguardo questo telefilm. Come ho scritto, o lo si apprezza (tanto) o non si riesce a guardarlo! Trovo anche questo uno dei lati positivi di questo telefilm, il suo impatto sui social

      • Beh, sinceramente penso che i lati positivi (o negativi) di un telefilm dovrebbero essere altri che non l’impatto sui social. D’accordo che ormai ‘sti benedetti social fanno parte integrante della vita degli umani e in certi casi arrivano addirittura ad appropriarsene, ma resto dell’idea che non possano e non debbano fare da termometro. C’è gente che spesso sembra agire in loro funzione. Comunque, so che non è il tuo caso e ho capito perfettamente ciò che hai inteso e ti do ragione. Tutto sommato, rimane, appunto, una questione di gusti ed esigenze personali, di cui twitter e compagnia sono soltanto gli amplificatori.

        • Sono felice di avere l’opportunità di spiegare meglio il mio commento sull’ “impatto sui social”. Il mio discorso era riferito al fatto di essere un telefilm che non ha avuto una ricezione tiepida, al punto da aver generato “grande movimento” sui social. Social inteso come vetrina dove rendersi conto di cosa pensa un numero di gran lunga più elevato di persone che qualsiasi altro luogo di aggregazione. In quali altri posti si ha un feedback tanto esteso? Se un telefilm “si fa sentire”, è qualcosa che ne segnala il suo essere impattante. Del resto ci sono classifiche proprio sulla visibilità social dei telefilm (o degli attori, ora che mi viene in mente). Questo tf ha indubbiamente avuto un impatto e per me è segno di forza narrativa. Non sono convinta tra l’altro che il successo o meno di uno show NON si veda dalla sua presenza sui social in realtà. Bisogna capire che cosa intendiamo per successo? I rating? È vero che non sempre avere più gente che ne parla corrisponde a più spettatori, ma più se ne parla e più altri spettatori possono essere invogliati a guardarlo. Quindi non sono del tutto in linea con la tua premessa, quantomeno in questo momento storico. Se poi dobbiamo giudicare in base al valore critico del prodotto, ha ricevuto critiche positive (si possono cercare in rete).

  2. E’ banale, lo so, ma comunque, se parliamo di arte, il successo e/o l’impatto non necessariamente corrispondono al valore di un’opera. Qualunque esperto di lirica ti dirà che Bocelli non è un vero tenore o quanto meno non regge il confronto con i grandi del passato, eppure è famosissimo e ha un forte impatto (magari guidato per qualche motivo). Così come la tanto celebrata Gioconda di Leonardo sparisce al confronto di qualunque opera del Caravaggio.
    Questo intendevo: occhio ad attribuire un’eccessiva valenza alla popolarità di opere ed autori. Certo, il discorso si fa complicato: chi stabilisce cosa è arte e cosa no? Lasciamo perdere, che stiamo parlando di un telefilm che non necessariamente deve essere accostato a forme artistiche. Ovvio che direi le stesse cose anche se mi fosse piaciuto. Era solo una precisazione, della quale non dubito tu avrai tenuto in debito conto. Il discorso è evidentemente un altro.

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