Una volta, alcuni anni fa, una serie tv esordiva accompagnandosi con una massima di Confucio: “Before embarking on a journey of revenge first dig two graves”. Il viaggio della protagonista all’epoca per compiere la propria vendetta ha sfiorato spesso la concreta realizzazione di questa profezia, uno scenario che Emily Thorne aveva messo in conto e che fino all’ultimo atto del suo percorso ha visto il suo destino legato a doppio filo a quello della sua nemesi Victoria Grayson. Ma Katherine Harlow in “Reprisal” non ha mai avuto intenzione di accettare una vittoria di Pirro, non ha mai visto il traguardo della sua vendetta come una fine ma semplicemente come una tappa indispensabile per iniziare la sua nuova vita, non ha mai ipotizzato quindi uno scenario che prevedesse la sua dipartita nel percorso. Katherine Harlow voleva ripagare suo fratello e suoi complici di ogni sua singola cicatrice sul suo corpo e voleva dimostrare di essere anche migliore, perché diversamente dal loro errore, lei si sarebbe assicurata che nessuno sopravvivesse al suo passaggio.
Rilasciata il 6 Dicembre sulla piattaforma streaming Hulu, “Reprisal” è una serie che non ha fatto poi tanto rumore, che forse aveva ambizioni maggiori rispetto ai mezzi con cui realizzarle e che certamente aveva idee insolite e apparentemente confusionarie che si rifanno con evidenza a grandi modelli cinematografici ma è anche una serie che si stacca un po’ dalla standardizzazione di genere, che ha un suo obiettivo preciso che non abbandona mai nel corso dei dieci episodi che compongono la prima stagione e che soprattutto ha una protagonista femminile definita e irresistibile affidata all’abile interpretazione di un’attrice in grado di indossare questa caratterizzazione con soddisfacente convinzione.
Definito come un accentuato noir, “Reprisal” è in realtà un drama che ha cercato di omaggiare in diversi aspetti il genere del cinema “grindhouse” riportato in voga sul grande schermo da Quentin Tarantino, un genere che unisce diversi elementi della vita criminale a volte stereotipati e che, come in questo caso, combina un percorso di vendetta, scenari di violenza a poco prezzo, accenni di sessualità attraverso la componente del burlesque e una cinematografia fuori dal comune che sembra frutto di sostanze allucinogene.
Ma al di là dei modelli celebri a cui aspira, “Reprisal” è una serie che ha una sua personalità e che cresce di episodio in episodio definendo, a volte con precisione e a volte con più sfumate spiegazioni, l’obiettivo alla base della sua storyline centrale, un obiettivo che fidelizza l’attenzione facilmente, che incuriosisce quanto basta per cominciare la puntata successiva ma che soprattutto crea un legame con una serie di personaggi con cui non è estremamente e moralmente semplice provare empatia.
Uno degli aspetti che infatti più mi hanno colpito di “Reprisal” è in realtà l’assenza di una vera e propria polarizzazione morale, non esiste un personaggio davvero innocente e puro in una realtà che fa del crimine la sua quotidianità, non esiste neanche un esempio di stabilità psicologica, a modo loro tutti i protagonisti coinvolti nella storyline principale racchiudono, nascondono o convivono con un’oscurità disturbante difficile da ripulire. Ciò che quindi ti spinge inevitabilmente a schierarti dalla parte di Doris in primis è un supremo senso di giustizia che supera anche ciò che è etico o morale e che diventa una ragione cieca che guida e giustifica le sue azioni e la nostra comprensione nei suoi riguardi.
A tratti in bilico sul confine che separa la furia vendicativa e accenni di sociopatia, Katherine Harlow non è il polo positivo nel dualismo con suo fratello Burt, per quanto sicuramente più equilibrata e legata alla sua umanità con corde lacerate ma ancora resistenti, Katherine è in realtà una parte lesa, è una donna tradita e ingannata nel peggiore dei modi, è una donna che ha subito forse un destino peggiore della morte e che dalla morte è tornata indietro per vendicarsi senza rimorsi e senza riserve di chi non ha neanche ritenuto opportuno controllare di aver portato a termine il lavoro.
Già per questo motivo, nonostante quei lati inquietanti e profondamente egoisti di sé (ma anche inevitabili, considerate le esperienze e il background), è difficile se non impossibile non scendere nell’arena accanto a Katherine e al suo rinato alter ego Doris; se poi aggiungi quel fascino ammaliante che Abigail Spencer dona al personaggio senza alcuno sforzo, il ritratto compiuto che otteniamo è quello di una protagonista per cui non puoi fare a meno di tifare ma che probabilmente non vorresti come migliore amica.
Con una scrittura a volte talmente paradossale da apparire geniale, Doris si presenta come una donna nuova rispetto a Katherine, una donna che non corre e non abbassa lo sguardo davanti a nessuno, una donna che raramente alza la voce e si esprime con una delicata e zuccherosa calma che stride in maniera disturbante con il rancore distruttivo e spietato che serba da anni e con cui convive ormai come un demone interiore addomesticato e tenuto al guinzaglio come un animaletto domestico.
Il percorso di vendetta di Doris è definito solo nel suo traguardo ma si caratterizza e prende forma passo dopo passo, con disordine e imprecisione a tratti ma anche con una determinazione letale che non prevede ostacoli sulla sua strada, dovesse anche usare inconsapevoli intermediari per raggiungere i suoi scopi.
È in questo modo infatti che si intrecciano alla sua storia quelle di tutti coloro che orbitano nei pressi di ciò che diventa una vera e propria caccia all’uomo. L’intera realtà della gang creata da Burt Harlow, i Brawlers, rispecchia perfettamente le sue bugie, le illusioni e soprattutto l’ipocrisia che ruotano intorno all’idea di disfunzionale ma leale famiglia che lui ha instillato in individui soli e disadattati col fine di arruolarli nella sua cerchia criminale. Joel e Bash sono i “campioni” di questa caratterizzazione ipocrita, i veterani di una gang che hanno conosciuto e riconosciuto le bugie di Burt e le hanno assecondate, anche a discapito della propria moralità o addirittura dell’amore, poiché troppo deboli per distaccarsi da quell’illusione di cameratismo che avevano sposato ciecamente.
L’unico accenno di lealtà e sentimentalismo che si evince dai Brawlers lo si riconosce nel trio di corrieri della gang, i “Three River Phoenix”, sottovalutati e sbeffeggiati dai piani più alti della gerarchia ma i soli a credere davvero in qualsiasi narrativa la leggenda raccontasse, alla disperata ricerca di un posto e di un gruppo a cui appartenere.
L’altra faccia della medaglia (o della caccia) invece, quella che parteggia con Doris, presenta un’abbozzata crew criminale che, nella sua imbarazzante modestia rispetto all’organizzazione dei Brawlers, dimostra un efficace ed esilarante strategia ma soprattutto legami umani certamente non impeccabili (Doris non esita a manipolare Ethan, Witt e anche Molly per i suoi scopi) ma che pongono almeno le basi per una connessione più onesta e personale rispetto alle radici marce che sostengono la piramide del potere della gang. Soprattutto Earl e Cordell, fondatori e unici membri del Monster Ring, moderni e scapestrati Robin Hood con sorprendenti risorse e inaspettata furbizia, si rivelano forse l’aspetto più “puro” di questa realtà criminale ed è anche grazie a loro che Doris stessa recupera parte della sua sopita e ferita umanità.
Particolare e variegata è la componente femminile di “Reprisal”, con personaggi come Meredith e Queenie che a tratti appaiono ancora abbozzati e mai davvero definiti ma che superano senza troppi sforzi in impatto visivo e caratteriale la più corposa controparte maschile, come l’Ethan di Mena Massoud la cui presenza non lascia davvero il segno sperato.
Inserita in una cornice temporale ambigua e mai dichiarata, che sembra muoversi tra gli anni ’50, la storia di “Reprisal” presenta poi altri elementi che sembrano voler collocare le vicende in un’epoca più recente, confondendo forse volutamente le idee dello spettatore e diventando quasi una rivisitazione di una storia passata.
Nonostante alcuni dettagli lasciati in sospeso, “Reprisal” è una serie che raggiunge il suo obiettivo in maniera lineare, che accompagna Doris in un viaggio di vendetta graduale, confusionario e soddisfacente nella sua risoluzione e che infine si conferma degna della possibilità che chiede con modestia e che in fondo soddisfa anche in maniera autoconclusiva.