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Supergirl | Recensione 2×15 – Exodus

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Supergirl | Recensione 2×15 – Exodus

Non ne sono pienamente convinta. Mi dispiace ammetterlo ma credo che quest’ultimo episodio di “Supergirl” sia stato quello che più mi abbia lasciata perplessa dall’inizio della serie, avendo avvertito determinati comportamenti quasi “destabilizzanti” per quella che invece è sempre stata la mia concezione dei personaggi, ma soprattutto per il modo in cui essi mi sono sempre stati mostrati. Ciò che infatti ho apprezzato meno di questo episodio è proprio la modalità con cui le dinamiche personali dei singoli personaggi sono state inserite nella storyline principale dell’episodio, storyline che invece, se considerata nel suo significato generale che esula anche i confini dello schermo, è ancora una volta fortemente attuale e innegabilmente politica. Si tratta quindi di un episodio che purtroppo secondo me ha presentato alti e bassi, allontanandosi a mio parere da quello che ho sempre riconosciuto come il cuore dello show e poi riprendendone le redini quando sembrava ormai troppo tardi. Mi spiego meglio.

“Sending them back”

Come evidenzio fin dal principio, uno degli aspetti che più apprezzo di questo show è l’impegno che gli sceneggiatori impiegano, nel loro “piccolo”, per trasmettere un messaggio che risulti sempre vero, sempre attuale e contemporaneo anche per la nostra realtà, di cui il mondo di “Supergirl” vuole spesso essere una metafora, veicolando così un insegnamento forse elementare ma di cui abbiamo ancora un disperato bisogno. Ma soprattutto in questa seconda stagione, mi sembra ormai evidente quanto gli scrittori della serie non abbiano paura di prendere una posizione politica quasi lampante, celando nelle loro storie, senza neanche troppi artifici narrativi, importanti riflessioni e opinioni personali sulla situazione socio-politica attuale. Il CADMUS ha rappresentato fin dall’inizio di questa stagione un nemico dalle fattezze fin troppo umane e riconoscibili non solo in un individuo singolo di cui è facile intuire l’identità, ma soprattutto in un tipo di personalità che accomuna e racchiude tanti pensieri simili, il CADMUS rappresenta un’ideologia, passata, presente, eterna, che oggi sembra aver ricevuto nuova linfa vitale e proprio per questo motivo oggi “Supergirl” prova a contrastarla con un episodio che appare tanto come un manifesto di quelle convinzioni politiche, sociali e umane di cui la serie non ha mai fatto mistero.

Al di là dunque delle sue caratteristiche individuali di personaggio inserito nelle dinamiche strettamente personali dei protagonisti, Lillian Luthor rappresenta il volto del CADMUS, è un simbolo, è l’emblema di un pensiero incredibilmente realistico ma soprattutto innegabilmente persuasivo, “affascinante”, comune, capace infatti di incontrare facilmente l’opinione pubblica, di riconoscere le evidenti leve da utilizzare e infine di sollevare le paure più ordinarie e quotidiane insite in ognuno di noi, fomentandole con sentimenti nazionalistici e xenofobici davanti ai quali il CADMUS appare alla fine come il protettore della razza predominante, in questo caso quella umana, altrove quella bianca, conservatrice e tradizionalista. La gente oggi ha paura, di tutto, indistintamente: del diverso, del cambiamento, del futuro, dell’apertura dei propri confini e delle proprie frontiere, di ciò che non conosce e non capisce e sono proprio queste le paure su cui si fonda il potere del CADMUS, un’organizzazione che si sente quasi investita di una missione di salvataggio nei confronti di coloro che sono destinati a prevalere, a sopravvivere, a comandare. Ci sarà sempre una Lillian Luthor, ci sarà sempre un CADMUS, perché esisterà sempre quella paura congenita delle differenze che anziché essere razionalizzata e annullata progressivamente, verrà costantemente alimentata da chi avrà il potere di ergersi a difensore di un’umanità che non ha bisogno di essere difesa, non dalla diversità. Per tutte queste ragioni, se nella prima parte della stagione, Lillian Luthor aveva provato a sradicare alla base ogni presenza aliena sulla Terra con un’arma biologica in grado di sterminare un’intera razza, in questa seconda metà di stagione, i suoi piani sembrano ridimensionarsi ma proprio per questo appaiono terribilmente realistici e attuali. Il progetto di Lillian Luthor è semplice, elementare, e fondamentalmente già ampiamente sperimentato: si tratta di una deportazione di massa, di una caccia indistinta al rifugiato e di un viaggio di solo ritorno verso quello spazio da cui sono arrivati. Lillian Luthor intende chiudere le frontiere della Terra, alzare un muro, epurare il pianeta da tutti coloro che non ne sono nativi e di conseguenza degni, tutti coloro che non rispettano lo standard di supremazia impostato dall’uomo terrestre, possibilmente bianco.

Il confronto tra Alex e Jeremiah mette in luce la disumanità di questo comportamento. Alex rappresenta in quel momento la voce di tutta la serie, ne incorpora gli obiettivi e le volontà, diventa il simbolo della sua ideologia e del suo credo, diventa quella speranza prettamente umana di cui hanno e abbiamo bisogno. Avendo vissuto da sempre la differenza prima con quella famiglia a cui non potrebbe mai rinunciare e poi sulla sua stessa pelle nel momento in cui si è finalmente riconosciuta nella donna che è sempre stata, Alex ci presta il suo sguardo comprensivo e totalizzante, mette al nostro servizio un pensiero che non solo caratterizza lei in quanto personaggio ma caratterizza anche l’intera serie e soprattutto assume le sembianze di quell’umanità in cui vale ancora la pena credere, quell’umanità che riesce a vedere oltre i suoi confini e che, anche se ha paura, trova il modo di discernere e riconoscere il vero volto del nemico da quello di una vittima come tante altre che cerca asilo, rifugio, pace. La famiglia aliena dalle sembianze e dai comportamenti totalmente umani; Brian, il giocatore d’azzardo che ormai tutti conoscono a National City; Lyra, il meraviglioso nuovo amore di Winn che porta il romanticismo della serie a un nuovo livello; sono tutti esempi di vite e storie in cui quelle differenze che il CADMUS teme e odia così tanto si perdono e si dissolvono e tutto ciò che resta è soltanto il desiderio di ordinarietà, è la possibilità di passare inosservati come un qualsiasi volto nella folla e vivere così una noiosa normalità universalmente accettata. Alex convince suo padre a rispettarla prima ancora di proteggerla, a fidarsi di lei anziché difenderla anche a costo di andare contro tutto ciò in cui crede, in cui entrambi in fondo credono. E Alex fa tutto questo per loro, per coloro la cui sola colpa è quella di cercare rifugio da un passato difficile; lo fa per noi, per mostrarci un’alternativa al timore e all’odio; e lo fa per lei, per la donna dall’altra parte del vetro della navicella, quella che è sempre al suo fianco e che è parte di lei, sono parte l’una dell’altra, anche se a volte temo che questo show possa dimenticarlo. E qui infatti comincia quella parte dell’episodio che mi ha fatto storcere forse troppe volte il naso.

 

Divided they fall

Ormai l’abbiamo capito tutti: la storia non è affatto maestra di vita, la storia si ripete volta dopo volta come un video in loop e noi continuiamo a non imparare mai per davvero dal nostro passato. E questo discorso purtroppo non vale solo per gli errori del CADMUS di turno ma anche per i nostri eroi, il problema è che quando succede con loro, l’equilibrio della storia inizia davvero a vacillare. Già nel secondo episodio di questa stagione infatti avevamo notato quanto dividere quella squadra che è insieme da tutta la vita e che a volte sembra quasi condividere la stessa anima sia un grave errore che rischia soltanto di compromettere non solo la missione intrapresa ma anche la salvaguardia dei protagonisti coinvolti. Evidentemente la lezione impartita in quell’episodio non è stata abbastanza efficace e con mio sommo dispiacere una situazione simile si è ripetuta anche in quest’ultima puntata. Che Alex perda momentaneamente lucidità e razionalità in seguito a quello che appare a tutti gli effetti come un feroce tradimento da parte di suo padre, è legittimo; che intraprenda una strada alternativa, ribelle e solitaria per dimostrare la buona fede di Jeremiah è accettabile; ma che lo faccia senza il supporto e soprattutto la fiducia di J’onn e di sua sorella Kara, ampliando ancora di più quel divario creatosi nel precedente episodio sfiora i limiti dell’intollerabilità per me. Perdere la testa e tuffarsi a capofitto in una missione quasi suicida senza neanche provare a guadagnarsi l’appoggio di Kara & J’onn, mostrandosi magari in quella determinata maturità che la contraddistingue solitamente, non è stato un comportamento che mi aspetto di vedere da Alex, lei che anche nel suo momento di maggior ribellione o paura, sapeva esattamente come affrontare la situazione nel migliore dei modi; assistere dall’altra parte ai modi estremamente cinici e “militari” di J’onn per testare la sua stabilità ma soprattutto notare la leggerezza con cui anche Kara affronta la questione lasciando praticamente Alex in balia di se stessa senza affiancarla in quella che sapeva sarebbe stata comunque una missione che avrebbe intrapreso da sola è stato un colpo basso inaspettato nella caratterizzazione dei personaggi. In tutto questo l’estrema ilarità di Mon-El appariva vagamente fuori luogo mentre il supporto incondizionato di Maggie al piano irrazionale di Alex mi è sembrato ideale per la coppia ma fondamentalmente inutile ai fini della storia. Ovviamente tutte queste sono riflessioni personali subordinate al mio punto di vista relativo all’episodio ma credo che entrambe le sorelle Danvers abbiano praticamente girato a vuoto per l’intero episodio, soffermandosi attentamente sulla soluzione sbagliata (Alex con la ricerca disperata e solitaria di suo padre e Kara con un articolo che non ha portato a nulla) e perdendo di vista in questo modo l’unica vera arma in loro possesso che puntualmente si è sempre dimostrata vincente nelle loro battaglie, vale a dire il loro legame. E la dimostrazione di questa mia teoria mi è apparsa evidente nel momento in cui l’episodio ha finalmente toccato quella profondità che mi aspetto da “Supergirl” perché so che è capace di raggiungerla. In quell’unica scena che ha definito e stabilizzato ai miei occhi una storyline altalenante, Kara e Alex si ritrovano nuovamente l’una di fronte all’altra, separate solo da un vetro e prossime a perdere una battaglia che si rivelerebbe fatale forse per entrambe. Eppure solo in quel contesto così difficile, catartico ed emotivo, le sorelle Danvers sembrano riappropriarsi della loro identità, o meglio, della loro essenza, tornando ad essere la soluzione di qualsiasi problema nell’unico modo che conoscono, INSIEME.

 

Mentre Alex trova speranza nell’arrivo di Kara riacquistando così quella certezza di poter sempre contare sua sorella, Kara trae da Alex tutta la forza che la rende Supergirl. Così come nel pilot, così adesso, più guarda Alex, più Kara trova in se stessa un potere che va oltre il sole giallo e che risiede esclusivamente negli occhi di sua sorella, nella fiducia che Alex ripone in lei, una fiducia che le permetterebbe di fermare il mondo, e non soltanto un’astronave, pur di salvarla. So bene di aver spesso dimostrato di avere un “debole” per questo rapporto ma credo semplicemente che “Supergirl” sia nato con l’intento di mostrare qualcosa di diverso per una volta, di mettere da parte magari un’ennesima storia romantica che possiamo ritrovare in qualsiasi serie tv e puntare invece sulla novità, su un amore diverso da quello che solitamente siamo abituati a vedere ma altrettanto profondo, anzi, anche di più, perché il legame che unisce le sorelle Danvers supera le leggi del dna e del “sangue”, e diventa sempre di più l’unica costante di una realtà in perenne evoluzione, l’unico punto fermo nella vita di entrambe. E in quanto tale, così dovrebbe rimanere.

In tutto questo, menzione speciale anche per Lena Luthor che, nonostante il minutaggio scarso concesso, almeno nel suo piccolo, si è dimostrata coerente nella sua individualità e nella sua amicizia con Kara. E proprio in seguito a un consiglio di Lena, che però intendeva solo migliorare la situazione e non complicarla, la vita di Kara subisce professionalmente una battuta d’arresto inevitabile ma destabilizzante.

“When I write, I don’t need the yellow sun, it’s just me. Supergirl is what I can do, Kara is who I am”

Mi sono sempre sentita molto vicina al rapporto che Kara ha creato fin dall’inizio con il mondo del giornalismo ma in particolar modo al significato personale e soprattutto al potere che la ragazza riconosceva alle parole e alla possibilità di influire anche solo in parte sulla sua realtà tramite un pensiero espresso e condiviso con gli altri attraverso la scrittura. E credo che purtroppo sia stato proprio questo ideale che ancora condivido ad averla condotta fuori strada nell’ultimo episodio. Testardamente forse, Kara sperava di poter “sostenere” il suo “super” alter ego anche nella sua vita di tutti i giorni, puntando quindi esclusivamente su quello che cominciava a considerare il superpotere di Kara e non di Supergirl, vale a dire l’utilizzo della parola scritta. Purtroppo però, il desiderio di avvertire gli alieni dell’incombente caccia perpetrata dal CADMUS diventa per lei un pensiero in fondo accecante e il bisogno di scrivere a riguardo la allontana pericolosamente dal distacco giornalistico che Snapper Carr provava a insegnarle fin dal suo primo giorno. Prima di questo momento però, mi sembrava che Kara avesse trovato un suo perfetto equilibrio tra creatività personale e rigore giornalistico, riuscendo a riconoscersi in quello che scriveva ma seguendo al tempo stesso le direttive di Carr. In questo episodio invece, quasi ingenuamente, mi sembra che l’urgenza di denunciare le azioni del CADMUS prenda il sopravvento anche su questo suo equilibrio, spingendola ad intraprendere una strada indipendente che inevitabilmente le costa il lavoro alla CatCo Media. L’aspetto più triste della storia è affrontare la verità e capire quanto Carr abbia purtroppo ragione nelle sue motivazioni ma soprattutto mi ha in qualche modo deluso notare anche la reazione dimessa di Kara che sembra accontentarsi quindi di essere Supergirl e di avere Mon-El nella sua quotidianità, senza neanche provare a lottare per riprendersi un mondo a cui io ancora credo che lei sia destinata. È in momenti come questi che sento ancora di più la mancanza di Cat Grant perché soltanto lei potrebbe ricordare a Kara come ritrovare quell’equilibrio professionale tra soggettivismo e distacco giornalistico di cui ha disperatamente bisogno per riportare nella sua quotidianità quel potere delle parole in cui crede così tanto.

Kara, the in-laws are coming …

Un aspetto irresistibilmente positivo di questo episodio è rappresentato secondo me dalle guest star e soprattutto da quell’ospite che più attendevo con ansia. Dopo Brenda Strong, che in quest’ultimo episodio si è ritrovata a dover definire Dean Cain “l’unico Superman di cui hanno bisogno” [Dean Cain che ha interpretato Superman nella serie “Lois & Clark”], un’altra “casalinga disperata” approda a National City e si tratta di Teri Hatcher [indimenticabile Lois di “Lois & Clark”], accompagnata per l’occasione da Kevin “Hercules” Sorbo. Hatcher & Sorbo si rivelano finalmente come le figure misteriose che abbiamo intravisto nei precedenti episodi e che adesso sembrano aver raggiunto la loro meta, o meglio, il loro obiettivo: Mon-El. Che Kara stia per incontrare i futuri suoceri?

 

Nella speranza che “Supergirl” recuperi, almeno ai miei occhi, quella linearità che ho sempre riconosciuto alla serie, io vi lascio e vi do appuntamento alla prossima settimana.

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Occasionale inquilina del TARDIS e abitante in pianta stabile di un Diner americano che viaggia nel tempo e nello spazio, oscilla con regolarità tra Stati Uniti e Gran Bretagna, eternamente leale alla sua regina Victoria e parte integrante della comunità di Chicago, tra vigili del fuoco (#51), squadre speciali di polizia e staff ospedalieri. Difensore degli eroi nell’ombra e dei personaggi incompresi e detestati dalla maggioranza, appassionata di ship destinate ad affondare e comandante di un esercito di Brotp da proteggere a costo della vita, è pronta a guidare la Resistenza contro i totalitarismi in questo universo e in quelli paralleli (anche se innamorata del nemico …), tra un volo a National City e una missione sullo Zephyr One. Accumulatrice seriale di episodi arretrati, cacciatrice di pilot e archeologa del Whedonverse, scrive sempre e con passione ma meglio quando l’ispirazione colpisce davvero (seppure la sua Musa somigli troppo a Jessica Jones quindi non è facile trovarla di buon umore). Pusher ufficiale di serie tv, stalker innocua all’occorrenza, se la cercate, la trovate quasi certamente al Molly’s mentre cerca di convertire la gente al Colemanismo.

5 COMMENTS

  1. Recensione fantastica! Spero però che mi permetterai un piccolissimo, ma proprio piccolissimo appunto. Non per ergermi al di sopra, tutt’altro, ma come consiglio da affezionato lettore: occhio a non diventare troppo retorica. Così va anche bene, almeno per me, ma non vorrei che ti lasciassi trasportare troppo. Solo questo, perdonami e comunque è solo un’osservazione personale, quindi molto relativa e totalmente priva di connotati assolutistici.
    Per il resto, oltre alla paura del diverso, credo ci sia da aggiungere la sete di potere. Secondo me vanno di pari passo o quasi.

    Nella parte che riguarda la faccenda giornalistica di Kara, hai messo in atto un capolavoro, a dire poco, anzi, pochissimo. Un esempio magistrale di recensione. Complimenti davvero.

    • Ciao! Innanzitutto grazie per il commento ma soprattutto grazie per il tuo appunto, che non è affatto fuori luogo! Riconosco tranquillamente l’abitudine che a volte mi caratterizza nell’essere retorica, me ne rendo conto solo dopo perchè mi capita spesso di scrivere di getto e quindi mi lascio prendere un po’ la mano soprattutto quando ho tanto da dire! E sorprendentemente, questo episodio, anche se non l’ho amato, mi ha fornito tanti spunti di riflessione e discussione! Rileggendomi ora, forse avrei potuto tagliare qualcosa (ma non quando parlo del rapporto tra Kara & Alex, lì non mi contengo e non voglio farlo, dovresti vedere come divento con Doctor Who & Victoria) ma “purtroppo” sono un po’ come Kara in questi casi, usando le sue parole “non riesco a restare neutrale quando scrivo di qualcosa che mi appassiona” xD Ad ogni modo sto valutando per il futuro di intraprendere anche uno stile diverso, meno prolisso ma sempre discorsivo! Grazie mille per le tue parole sulla parte del giornalismo, come hai visto, è una storia che sento molto MIA, per questo mi ha colpito particolarmente!

      • E allora insisto nell’impicciarmi.
        Penso che sarebbe uno sbaglio se tu restassi pressoché neutrale quando scrivi di qualcosa che ti appassiona. Credo che le recensioni migliori siano quelle intrise di sentimento e sensazioni personali e questo non può succedere se metti da parte la passione e il coinvolgimento che una storia ti offre, in favore di un distacco programmato. Se vuoi coinvolgere chi legge, devi essere tu per prima coinvolta, sia in senso positivo che negativo.
        La fredda e distaccata analisi non può aggiungere nulla di più al lettore di quanto egli stesso non abbia già percepito. Perciò, lasciati andare e invita chi ti legge a percorrere con te il sentiero delle tue sensazioni. Il che, ovviamente, non implica necessariamente uno smodato uso della cosiddetta retorica. Semmai quella riguarda solo il modo espressivo, ma non il contenuto, che deve assolutamente rimanere intatto e soprattutto denso.
        Io la penso così.

  2. Ciao mia fellow, effettivamente anch’io che seguo questo telefilm da pochissimo, ho trovato un po’ destabilizzante il fatto che Alex abbia agito, in una missione come quella, da sola quando, e gli eventi successivi l’hanno confermato, solo nel momento in cui lei e sua sorella sono tornate ad essere “insieme” la situazione si è risolta. Proprio perché seguo la serie da poco, probabilmente dirò una stupidaggine, ma credo che quando si tratti di Jeremiah, Alex – a differenza di Kara – scolleghi il cervello proprio perchè questi è suo padre biologico. Non mi fraintendere, non ho dubbio alcuno che tra Kara e Jeremiah ci sia un rapporto padre e figlia di solido e reciproco amore, ma Kara (forse anche perchè veste i panni dell’eroina) riesce ad essere leggermente più distaccata. E lo stesso dicasi per Jeremiah che tende, involontariamente, a proteggere più sua figlia biologica. Ribadisco che parlo da ignorante, ma stando a quanto da lui stesso raccontato, Jeremiah ha ceduto alle pressioni del CADMUS perchè minacciavano la sua famiglia, è così assurdo pensare che, nella sua testa, sia scattato un’istinto di protezione maggiore per la figlia umana e quindi non indistruttibile? Insomma, non voglio dire che Alex sia giustificata al 100%, ma messa in questo contesto ci sta che abbia agito senza tenere presente l’altra sua famiglia del DEO.
    Fermo restando che, per quanto riguarda il resto della tua, sempre bella, recensione, non ho nulla da aggiungere, concludo con alcune considerazioni sparse: – decisamente mi intrigava di più l’ipotesi di un Jeremiah doppiogiochista, dall’interno, contro il CADMUS che un uomo spaventato per le minacce a due figlie di cui una dotata di superpoteri e l’altra che (e questa puntata ne è la prova) saprebbe difendersi a mani nude da un intero esercito! – abbiamo riesumato James Olsen per dare la sua benedizione a Lyra e Winn e indossare il suo costume giusto il secondo necessario per salvare Alex (ps: grazie, by the way)? – dubito che, come affermato, Kara si accontenterà di essere Supergirl e di stare con Mon-El, quindi suppongo che se anche si è arresa, sul fronte lavoro, fin troppo presto in questo episodio, prossimamente le cose cambieranno.
    That’s all. Alla prossima.

    • Ciao Sam!!!!!! Che bello ritrovarti ogni settimana, grazie mille!!! Hai sicuramente ragione sulle scusanti per Alex e le riconosco assolutamente anch’io, lei è legata in maniera totale alla sua famiglia e se qualcuno provasse a ferire quelle persone che ama più della sua stessa vita, lei non ragionerebbe più lucidamente e lo so con certezza perchè L’HA FATTO PER KARA nella S1! La parte che mi lascia perplessa riguarda proprio Kara, perchè conoscendo perfettamente il legame tra le due, mi sembra davvero assurdo che Alex si tuffi a capofitto in questa situazione senza Kara e che Kara dall’altra parte non le sia accanto, è quasi impossibile da accettare per me, proprio perchè non è QUESTO che ci hanno mostrato finora! Kara & Alex hanno un rapporto la cui profondità a volte è quasi difficile da descrivere, loro mettono l’un l’altra al primo posto, SEMPRE! Prima della missione, prima di un fidanzato/a, prima di tutto! Alex non concepisce neanche una vita senza Kara e Kara è terrorizzata dall’idea di perdere anche Alex come ha perso la sua famiglia su Krypton, per questo ENTRAMBI i comportamenti mi sono apparsi un po’ OOC. Per quanto riguarda Jeremiah, effettivamente la sua motivazione è un po’ “debole” e avrei preferito anch’io l’ipotesi doppiogioco ma credo che lui non faccia differenze tra le figlie, nella S1 in fondo mostrano che la sua scelta di unirsi al DEO sia in realtà uno scambio in quanto loro intendevano prendere Kara e lui, pur di difenderla, si offre come collaboratore. Forse il vero “problema” è che Jeremiah è pur sempre un padre e vede le sue figlie come “bambine” da proteggere e non come donne che ora hanno bisogno del suo supporto e non della sua protezione! Io mi auguro davvero che Kara lotti per quel lavoro perchè credo che sia una parte caratterizzante di sè e non dovrebbe lasciarla andare! Grazie ancora honey per il commento! Alla prossima!

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