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Person of Interest | Recensione 2×22 – God Mode

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Person of Interest | Recensione 2×22 – God Mode

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Avessi dovuto commentare a caldo questo finale di stagione, forse l’avrei fatto con un po’ di disappunto. Dopo un pre-finale strepitoso, erano tante, troppe, le aspettative, e superare l’episodio precedente in termini di pathos era, ammettiamolo, davvero difficile.

Person of Interest termina con una puntata pulita, mettendo un po’ d’ordine, ma inevitabilmente aprendo nuovi scenari e nuovi interrogativi, soprattutto riguardo la Mascìn, in vista della terza stagione. A freddo, una puntata comunque meravigliosa, proprio per la – giusta – scelta di non strafare e rischiare di rovinare una stagione perfetta.

Si fa ordine nel passato di Finch: attraverso i flashback, finalmente scopriamo com’è morto Ingram, deciso a rivelare al mondo l’esistenza della Macchina, e quindi ucciso dal Governo; scopriamo come, con un disperato «Did you know?», Harold scopre che la Mascìn aveva cercato di avvertirli di quello che sarebbe successo, invano, prima che lui stesso interrompesse l’operazione. Scopriamo anche come la paura che il Governo lo trovi, lo spinge a lasciare la sua Grace: subito dopo l’esplosione che ha ucciso Ingram, lei lo cerca tra i feriti e alla fine trova il libro con cui l’uomo le aveva chiesto di sposarla e in lacrime si dispera, tutto sotto gli occhi di Finch, che scappa via, facendole credere che sia morto anche lui.

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La scena forse più emozionante della puntata, come tutte quelle che hanno visto protagonisti i coniugi Emerson.

Veniamo alla Mascìn: la vera protagonista di questo finale è lei e la sensazione è che lo sarà ancor di più nella prossima stagione. Il virus in realtà ne ha innescato un altro, inducendo la Macchina a proteggersi – e spostarsi – da sola. «L’unico modo per proteggerla era insegnarle a proteggersi da sola» dice Finch. ‘Na genialata, insomma! Ora la Macchina è libera e autonoma, nascosta chissà dove. La domanda sorge spontanea: come deciderà di “comportarsi”?  La telefonata sia a Finch&Reese che al Governo (a proposito: chi è la Madam del Governo?) lascia intendere che non cambierà nulla e che questi continueranno ad occuparsi rispettivamente dei casi irrilevanti e rilevanti, ma quella a Root? Che vuol dire? E’ questo il vero colpo di scena del finale, il vero interrogativo con cui ci saluta questa seconda stagione.

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Root è la fan numero 1 della Mascìn, che tratta come Dio, ma anche un’adorabile psicopatica e l’immenso potere che può darle la Macchina non lascia presagire nulla di buono. Prevedevo una fine amara per Ms Groves, ma invece questo finale ci preannuncia che la vedremo, eccome, nella prossima stagione.

Come lei, potrebbe tornare anche Shaw, o meglio ce l’auguriamo. Le scene più esilaranti e divertenti dell’episodio sono proprio quelle con l’agente e il suo degno compare.

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Uno dei ritorni più attesi, almeno dalla sottoscritta, però avviene già in questi ultimi quaranta minuti: Carter, impegnata nella sua crociata contro l’HR, salva Elias, prima che la stessa HR, in combutta con la mafia russa, lo eliminino. Mi verrebbe da dire: e mo so’ ca***. Il personaggio di Carter è forse quello che ha avuto l’evoluzione maggiore in queste due stagioni: da poliziotta impegnata nella caccia del “man in a suit”, è diventata una della squadra, mettendo più volte in dubbio la sua morale da “good cop”, tanto da salvare il più cattivo di tutti, in questo finale. Sono comunque entusiasta del ritorno in scena del bel faccione di Colantoni: con tutto il rispetto per Root, è lui il vero badass di Person of Interest.

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Tra tanti dubbi su quello che accadrà, l’unica certezza sembra essere il rapporto tra John e Harold. Nonostante il primo lavori per il secondo, i due sono ormai amici, e se lo scorso episodio c’aveva fatto venire qualche dubbio sul loro rapporto, le parole di Reese c’hanno tranquillizzato – e fatto scendere qualche lacrimuccia, ripensando alla famosa scena dell’aeroporto.

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E’ stata una stagione fantastica: il gioiellino di J. Nolan ha mantenuto le grossissime aspettative dopo una prima stagione di altissimo livello e si è riconfermato una delle serie TV più interessanti di questi ultimi anni. I suoi punti di forza sono un cast semplicemente eccezionale – Emerson su tutti – e una trama mai banale, anzi davvero notevole, capace di affascinare e tenere incollato allo schermo anche i più scettici verso i procedurali o tematiche informatiche, che mi offre spunto per un’ultima riflessione: we’re being watched.

A chi ha commentato insieme a me, grazie.

A chi passa di qui per caso, guardate Person of Interest.

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