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Orange is the New Black Stagione 7 – Addio Leitchfield [STAGIONE FINALE]

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Orange is the New Black Stagione 7 – Addio Leitchfield [STAGIONE FINALE]

Orange is the New Black ha avuto la sua stagione finale: abbiamo salutato Leitchfield, le sue detenute, il piccolo universo femminile (ma non solo) che ci ha fatto compagnia per sette lunghi anni e che mi vede ancora una volta al timone della recensione. Sono felice di averla vista, di come l’abbiano conclusa, restando fedeli a se stessi e al proprio principio di realismo.

Se volete avere un’idea del mio stato mentale al termine della visione dell’ultimo episodio, vi è sufficiente rivedere la scena post credit in cui Natasha Lyonne non riesce a concludere la sua battuta per via delle lacrime: anche io ho singhiozzato a non finire nella 7×13. Beh, ho singhiozzato a non finire durante parecchie puntate: quest’anno alcuni temi mi hanno colpita più violentemente di un cazzotto.

Orange is the New Black Finale

Questa stagione finale di Orange is the New Black è stata una lunga lettera d’amore ai suoi personaggi e come da tradizione, ha usato molto bene la narrativa per raccontare quelle storie che si leggono solo sui giornali, almeno per parte di noi.

Come ha detto Danielle Brooks (Taystee) in un’intervista, il lieto fine è volato dalla finestra parecchio tempo fa e saremmo stati degli illusi a credere che tutte le nostre detenute avrebbero potuto avere un finale positivo: il realismo prima di tutto. Eppure non posso che dichiararmi soddisfatta per come si è concluso e se devo trovare un difetto, è unicamente quello per cui avrei voluto più tempo con le detenute che abbiamo ritrovato in Ohio.

Orange is the New Black, la stagione finale: “ICE, ice Baby”

La scelta di dedicare una grossa parte della storyline della stagione ai centri per il rimpatrio statunitensi è stata un’ottima idea (l’avevo subodorata in occasione del finale della scorsa stagione). Per una serie tv che si è fatta bandiera del raccontare la dura realtà delle ingiustizie sociali d’America (ma non solo), sarebbe stato da codardi non parlare delle centinaia di persone che ogni giorno subiscono quel tipo di persecuzioni e ingiustizie.

Il problema dell’immigrazione clandestina e della caccia all’irregolare è qualcosa che esiste da decenni negli USA, ma l’ultima amministrazione ha tolto il velo dell’ipocrisia a una realtà già esistente e ha introdotto procedure che di umano hanno ben poco.

Non è stato facile guardare le storie raccontate da OITNB e in più di un’occasione la serie tv è riuscita nell’intento di arrivare dritta al mio cuore e al mio sdegno. Certo c’è sempre il sospetto che alcune cose siano state enfatizzate ma la cosa più preoccupante è che devo ricordarmelo, non è difficile credere che sia tutto frutto di storie vere.

Ci guidano attraverso l’esperienza due volti noti: Maritza (tornata dopo una stagione d’assenza) e Blanca. Nel primo caso, avevo nostalgia dei suoi siparietti con Flaca ed è stato comunque orribile scoprire con lei le bugie di sua madre. Nel secondo, sono stata immensamente felice per il lieto fine, soprattutto perché la ragione per cui Blanca era in carcere era legata a una buona azione (nei confronti di qualcuno che la trattava decisamente male). La sua storia con Diablo mi ha deliziato per sette anni e il suo personaggio è diventato uno dei miei preferiti ormai da qualche stagione.

L’introduzione di Chaj, Karla e Shani è stata più che efficace: OITNB ha confermato la propria grande capacità di creare velocemente empatia nei confronti dei personaggi nuovi, tanto che ciascuna delle sorti delle donne è arrivata al cuore dello spettatore.

In particolare il personaggio di Karla Cordova è spiccato nel mucchio: istruita, assistente legale, prova a difendersi da sola ma infruttuosamente e diventa simbolo della prepotenza dell’ICE e del rifiuto dei diritti umani, insieme a quei bambini che, in una scena che ancora mi strazia, vengono processati senza che un solo adulto li accompagni. Impossibile non concordare con Figueroa:

Ps. E dell’enorme parallelo con la storia delle galline, ne vogliamo parlare? Un gruppo di galline vive felice nell’aia, arriva una gallina nuova, diversa, e poco dopo una gallina muore. La gallina nuova è accusata d’aver ucciso l’altra gallina e viene chiusa in gabbia. Non funziona? Tutte sono chiuse in gabbia. Ma alla fine, forse, è solo stando all’aperto che le galline possono vivere bene.

Orange is the New Black, la Stagione Finale: Prigioniere di sé

Mentre al centro per il rimpatrio le prigioniere (perché non c’è altro modo per definirle) attendono di conoscere la loro sorte, nel penitenziario di Leitchfield, le detenute di nostra conoscenza sono alle prese con le conseguenze delle proprie scelte passate (o di chi ha deciso per loro) e si avviano verso la resa dei conti definitiva, insegnandoci che alla fine la fortuna – nel senso di sorte – per chi sta scontando la pena, è decisa da circostanze esterne ma anche dalla propria volontà.

Attraverso le loro storie che si sono concluse in questa ultima stagione di Orange is the New Black, abbiamo osservato come le vicende della vita e ciò che è accaduto nel penitenziario hanno cambiato profondamente ciascuna delle detenute. Se ripensiamo a come fossero quando le abbiamo conosciute, non possiamo che applaudire al magnifico lavoro che gli autori hanno fatto su di loro.

Scegliere di analizzare ogni singolo personaggio allungherebbe in maniera eccessiva questo articolo (che non uscirà in fascicoli settimanali), per cui dovrò tralasciare alcuni dettagli per amore di brevità.

Le parabole più interessanti sono sicuramente quelle che hanno coinvolto Cindy e Tiffany. Entrambe sono state introdotte come egoiste, pericolose e irresponsabili e nell’arco di sei anni si sono trasformate. Se Cindy riesce a non arrendersi e a dare una svolta alla propria vita, Tiffany cade vittima del disinteresse della società nei confronti delle detenute. Accanto a guardie attente e empatiche come Tamika (grandiosa nel ruolo di direttrice), ci sono personaggi come Lutschek, egoista e menefreghista. La fine di Tiffany, assurda e imprevedibile (almeno per me), è una condanna per quelle storie destinate a finire male: l’ennesimo tradimento da parte di qualcuno che avrebbe dovuto proteggerla, conduce Tiffany alla tomba.

In direzione opposta si è conclusa la storia di Daya, corrotta fino in fondo da una madre non in grado di guidarla visto che a sua volta è stata completamente abbandonata dalla propria. E’ una parabola molto triste quella delle Diaz: l’una mostro frankeinsteniano dell’altra, condannate a farsi ripetutamente del male.

Suzanne e Nicky si confermano due personaggi da amare: l’una è cresciuta e si è dimostrata molto più adulta delle sue coetanee, l’altra, per quanto spesso circoscritta a comic relief, si è trovata a dover prendersi cura delle due persone che si prendevano cura di lei: Red e Morello. Se la fine di Lorna me l’aspettavo, quella di Red per nulla. La leonessa che abbiamo conosciuto nelle prime stagioni è scomparsa ed è stato straziante vederla trasformarsi nel fantasma di se stessa.

Testimonianza di quanto sia importante assumersi le proprie responsabilità, è Maria. Ha subito diverse trasformazioni nel corso delle stagioni (Gloria non ha tutti i torti a chiamarla “Barbie Maria-Una per ogni stagione”) ma la migliore resta l’ultima: l’importanza di porre rimedio al dolore causato a persone che la amano è la spinta con cui la lasciamo. Insieme al segno di una lieve riconciliazione con Gloria attraverso il libro per bambini.

Ci sono le Vauseman, Piper e Alex: una alle prese con la vita fuori dal carcere, l’altra con le difficoltà all’interno senza la sua più valida alleata. Non le ho mai amate, non lo nascondo, e resto convinta che nel corso degli anni si siano solo fatte del male, ma forse era il finale che si meritavano. Entrambe kamikaze, entrambe convinte di saperne più degli altri, non sono cambiate se non nella consapevolezza dei propri problemi e forse il lieto fine è più per gli altri: in fondo si meritano.

E infine, Tasha “Taystee” Jefferson. Un persona(-ggio) eccezionale: amarla è stato facilissimo e il suo bellissimo carattere è ciò che la rende perfetto esempio dell’ingiustizia sociale. Quando qualche stagione fa, pur avendo eccelso nella giornata delle carriere, la vittoria le venne soffiata perché detenuta di colore, era scritto il suo destino. Non è importato il contenuto veritiero del racconto di Suzanne, Taystee è rimasta in carcere… pensare che nel flashback scopriamo che si è autosabotata per tornarci, in carcere! La perdita di uno scopo, la consapevolezza dell’essere vittima di un’ingiustizia hanno fatto temere il peggio ed invece no: Taystee ancora una volta ha tirato fuori la sua energia e il suo finale, quel finale che molti speravano sarebbe uscito da un film documentario sull’eroismo della giustizia, è stato il più realistico. Taystee non riesce a riabilitare il suo nome ma dedica la sua vita alle detenute insegnando loro a sopravvivere fuori dal carcere. E cosa più importante, riesce a creare la Poussey Washington Foundation (che esiste realmente, qui il video), dedicata alla grande vittima innocente di Orange is the New Black: Poussey Washington.

Ovviamente i nomi da ricordare sono tanti, motivo per cui di molte rivediamo i visi di sfuggita in una lunga carrellata nell’ultimo episodio: Janae Watson (che io adoravo), Yoga Jones, Norma, Gina, Big Boo, SoSo, Alison, Angie, LeeAnne, le naziste della rivolta, aggiungete voi i nomi che mancano. E poi Gloria Mendoza, donna tosta che si è fatta da sé e ha rinunciato a molto, Marisol La Flaca che dopo la partenza di Maritza dedica la sua vita ad aiutare sottobanco le prigioniere dell’ICE, Frieda Berlin e le sue mille risorse etc etc.

Guardie o ladri?

Le forze dell’ordine non hanno mai fatto una gran figura: violenti, prepotenti, spesso più pericolosi delle detenute stesse (anche se hanno provato a venderci il Pornobaffo come amabile paparino sul finale) e quando non fisicamente pericolosi, lo sono a livello caratteriale: la McCullough – per la quale abbiamo provato pena nella scorsa stagione – si rivela vendicativa e manipolatrice e Luscheck, mai realmente crudele, solo egoista e menefreghista, ha alternato negli anni momenti in cui era l’unico decente ad altri in cui ti faceva ricordare perché non avresti dovuto fidarti di lui.

I personaggi meglio scritti tra le non detenute sono sempre stati Caputo e Figueroa. Il primo ha saputo negli anni conquistare la nostra fiducia – tanto che faticavo a ricordare che la guardia che lo ha denunciato per molestie lo avesse fatto a ragion veduta – la seconda ha goduto di un approfondimento che ci ha fatto vedere oltre la facciata alla Elsa di Arendel e, soprattutto nelle ultime due stagioni, si è conquistata tutta la mia simpatia. In questa stagione li abbiamo visti alle prese con la speranza di avere un figlio e la dura realtà che li circonda: Natalie arriva a fingere di volere un aborto per poter aiutare una prigioniera mentre Joe deve assumersi la responsabilità di un comportamento sbagliato e dell’isolamento che, giustamente, ne deriva.

Il finale dolceamaro, evidenzia come, nonostante la buona volontà di alcuni, altrettanti si impegnino perseguendo altri obbiettivi, più egoistici. Tamika, assunta solo per avere degli incentivi fiscali, ha lottato per tutta la stagione contro un sistema – la Polycom – per poi venire licenziata rendendo così vani tutti i suoi progetti per le detenute e passare il testimone ad Hellman (nomen omen), la guardia che picchiava e spacciava tra le carcerate.

Come in passato, Orange is the New Black ha dimostrato anche in questa ultima stagione di saper usare bene gli strumenti della narrazione televisiva per rappresentare un universo di emozioni, storie e problemi senza giudicare nessuno, solo presentando la realtà dei fatti. Supportati da un ottimo cast, gli autori di OITNB hanno potuto portare sullo schermo un mondo problematico, temi importanti e la profonda umanità anche del peggiore dei criminali, dando a ognuna di queste cose il volto, il sorriso, la fisicità di una persona.

TOP:

  • L’umorismo di Nicky: sue le battute più divertenti.

(Beh, tecnicamente l’ha detta anche Alex ma Nicky mi ha divertito di più)

  • La carrellata finale sulle detenute in Ohio: visi familiari dei quali sentivo la mancanza.
  • Sophia Burset. Ho detto tutto.
  • Il terribile processo ai bambini: una scena durissima da guardare e decisamente efficace.
  • Il confronto fra Dixon e Maria.
  • Il lieto fine di Blanca e Diablo.
  • Taystee che ritrova la forza di andare avanti guardando i diplomi delle sue “studentesse” e il ricordo di Poussey.
  • Il discorso di Suzanne sull’importanza di accettare ciò che non possiamo controllare.

OITNB è stato il mio appuntamento annuale da 7 anni a questa parte e anche se le ho salutate meno di 24 ore fa, già non vedo l’ora di rivederle.

 

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