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Lucifer | Recensione 1×12 – #TeamLucifer

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Lucifer | Recensione 1×12 – #TeamLucifer

Non so bene come iniziare a commentare l’episodio di questa settimana perché sono qui seduta davanti a una schermata di WordPress e vorrei solo buttarmi sopra alla testa la copertina che sono andata a rubare a Linus e nascondermici sotto fino al season finale di settimana prossima – e anche oltre, molto oltre.

Tom Ellis ci ha dato l’ennesima prova del suo incredibile talento e del fatto che lui è Lucifer, che è un ruolo che gli è stato cucito addosso alla perfezione, quello per il quale è nato e per il quale ha recitato fino al giorno in cui non l’ha trovato. Non so cosa dire, davvero, sono senza parole e non in senso negativo, tutt’altro. Sono piena di ammirazione per quest’uomo e per l’intero team di autori di Lucifer. Da Neil Gaiman e Sam Kieth che hanno concepito il fumetto, a ogni singola persona che ha lavorato a questo adattamento televisivo.
Mi inchino.

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L’episodio si apre con un salto temporale di tre settimane, e scopriamo che in questo lasso di tempo Lucifer si è tenuto ben lontano da Chloe, evitandola come se ne dipendesse la propria vita – e in un certo senso è effettivamente così. Lo vediamo anche intento a porsi tutte quelle domande che ci ponevamo anche noi nella recensione di settimana scorsa, lo vediamo non comprendere e non sapere perché. Perché Chloe lo renda vulnerabile, e se lei sia o meno consapevole dell’effetto che gli fa. Se sia stata mandata da daddy dearest, se sia parte attiva di un piano volto a distruggerlo o se sia solo una pedina inconsapevole e incolpevole ma comunque destinata a portarlo alla distruzione. Lucifer perde (quasi) completamente la sua baldanza di fronte alla detective, smette di essere molesto e invadente e diventa confuso, diffidente ed elusivo. Non vuole salire in macchina con lei, non vuole stare nella stessa stanza in cui c’è anche lei, non vuole lavorare al caso con lei nonostante lei sia andata letteralmente a stanarlo nel suo nido pur di riaverlo come partner. Si ritrova improvvisamente insicuro, incerto sul da farsi, incapace di comprendere la situazione e, perché no? Un po’ spaventato all’idea che la verità su Chloe possa ferirlo più di quanto non potrebbe fare un proiettile sparato dalla di lei pistola. Perché nella remota ipotesi che lei sia parte attiva e consapevole del piano orchestrato da daddy dearest, questo significherebbe che il proprio avvicinamento all’umanità rappresentata da Chloe è stato tutto una farsa, che la sua fiducia è stata riposta nella persona sbagliata, che i suoi sentimenti sono sbagliati e che farebbe davvero meglio a tornarsene all’inferno con la coda fra le gambe per mai più tornare. Magari andando a nascondersi in qualche girone nascosto rubando a me la copertina che a mia volta ho rubato a Linus. 00
Lo vediamo quindi vagliare ogni singola possibilità, compresa quella che Chloe sia un angelo, perché fra angeli ci si può ferire a vicenda. Lo vediamo fare il terzo grado a Trixie, a chiederle se sia stata adottata, se abbia mai notato comportamenti o cicatrici strane sulla madre. Lo vediamo pretendere che lei, Chloe, si tolga la maglia di fronte a lui, che gli dimostri di non avere ali nascoste o cicatrici, because I wanna know if you’re an angel sent to destroy me. Nulla di questo ha senso per Chloe, che però acconsente a dimostrargli di non portare su di sé i segni di queste fantomatiche ali, non credendo letteralmente a ciò che Lucifer le sta dicendo ma credendo e capendo che per lui sia davvero importante sapere e vedere. Collega questa sua richiesta alle cicatrici che aveva visto sulla schiena di lui, e pur non sapendo cosa implichino capisce che sono parte del motivo per il quale Lucifer è così tormentato. E lo capisce anche attraverso il caso della settimana, quando, analizzando il personaggio biblico di Lucifer, inizia a capire come mai lui abbia scelto di immedesimarsi proprio in questo personaggio. E io penso che Chloe in realtà abbia innalzato una barriera mentale che le impedisce di vedere la verità, perché non saprebbe come affrontarla.

A me piace pensare che Lucifer sia vulnerabile vicino a Chloe per via dei suoi sentimenti per lei. E che lo sia stato fin dall’inizio per ciò che erano destinati a diventare. Ma parlando realisticamente, immagino che lei sia davvero solo una pedina inconsapevole, uno strumento usato da daddy dearest solo per prendersi un po’ gioco di questo suo figlio ribelle. Quello che invece non credo assolutamente è che lei sappia di essere parte di questo piano, ammesso ne esista veramente uno. Diciamo che fra tutte le eventualità è quella a cui credo di meno, anche se questo show non ci ha certo risparmiato i colpi di scena finora.

Il caso della settimana, invece, è lo spunto per tirare fuori tutta la rabbia e la frustrazione che Lucifer ha in corpo. Ne abbiamo già avuto assaggi sparsi nel corso degli undici episodi precedenti, ma mai con questo livello di intensità. Non abbiamo mai percepito con così tanta forza la sofferenza di Lucifer, il dolore che prova ad essere etichettato a ogni angolo della strada come la causa sola e unica di ogni singolo male che c’è al mondo. Rivediamo il falso predicatore a cui lui aveva mostrato il suo vero volto episodi fa urlargli contro evil is here, e additarlo come il responsabile degli omicidi a scopo sacrificale che stanno avvenendo all’interno di una setta votata al culto di Lucifero. Vediamo Lucifer, il nostro Lucifer, combattere verbalmente con la sua tipica ironia contro tutti i cliché che accompagnano questo suo culto, dalle immagini di capre, a galline e polli uccisi in sacrificio, a un faccia a faccia tragicomico con gli appartenenti a questo gruppo di fanatici chiamato Children of the Goat. Lo vediamo intervenire a una loro riunione a suon di ‘This is where I draw the line’ e venir accolto con un ‘He’s the best Lucifer we had in years‘, e poi il clima cambia di colpo, quando, dopo il secondo omicidio, è chiaro come la luce emanata dalla stella del mattino che chiunque stia compiendo questi crimini lo sta facendo davvero in nome suo, in nome di lui, Lucifer Morningstar, e non di un Lucifero “qualunque”.

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Ed è qui che scoppia. È qui che la sua rabbia viene fuori con forza, qui che si ritrova a prendersela con chiunque gli capiti a tiro, da Douche a Malcolm, al predicatore per arrivare ad Amenadiel sul quale la sfoga a suon di botte vere. Perché non è giusto che due ragazzi siano stati brutalmente uccisi in suo nome, perché lui non è malvagio ma è piuttosto colui che punisce la malvagità, e lo urla a Malcolm, ‘I’m not evil, I punish evil quando scopre che è stato proprio il poliziotto ad orchestrare tutto in un delirio di onnipotenza dato dal credere di avere in pugno sia Lucifer che Amenadiel, in una campagna votata a compiacere il sovrano degli inferi perché ha deciso che gli conviene di più essere #TeamLucifer piuttosto che dar retta ad Amenadiel. E lo urla anche al predicatore, gli urla ‘STOP BLAMING ME’ a mezzo centimetro dalla faccia, stanco di passare sempre per la causa quando in realtà lui è la conseguenza. Non è lui a creare il male, ma una volta che il male c’è ed è stato perpetrato, allora a lui tocca scendere in campo e agire di conseguenza. È per questo che è scappato dall’inferno, perché non riusciva più a sopportare il peso di un’identità che non gli apparteneva, perché voleva essere lui, voleva appartenere solo a se stesso e poter esercitare quel libero arbitrio di cui gli uomini possono godere ma di cui lui evidentemente no. E soprattutto perché voleva scrollarsi l’etichetta di ‘mostro’ di dosso, perché lui non si sente un mostro, non è un mostro e non lo è mai stato. È a sua volta una vittima, costretto per l’eternità a una mansione che non gli piace e che non sente sua, che non gli procura piacere ma piuttosto sofferenza e che lo fa sentire più dannato delle persone che lui stesso condanna all’eterna tortura.

È qui che Lucifer esce in tutta la sua umanità, perché tutte queste emozioni che prova, tutta la rabbia, tutta la frustrazione, tutta la sofferenza e tutto il dolore… be’ sono sentimenti completamente umani. Ed è qui che dobbiamo inchinarci e fare un applauso scrosciante e infinito a Tom Ellis che ci ha fatto sentire TUTTO. Ogni singola sensazione provata da Lucifer, con ogni singola fibra del nostro corpo. Ed è stato un colpo al cuore, è stato come ritrovarsi stesi da un tir che ci ha centrati in pieno sorpasso senza nemmeno un colpo di clacson come preavviso.

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E poi il finale, il finale dell’episodio. Chloe che trova il corpo del predicatore dietro al bancone del Lux, e che suo malgrado deve fare il proprio dovere e puntare quella dannata pistola contro Lucifer. E anche qui, altro dolore, quello di lei che si ritrova costretta ad accusare di omicidio l’unica persona con la quale si sia lasciata andare da tempo, e il dolore di lui incredulo di fronte a tutto ciò che sta accadendo, di fronte al fatto che Chloe non gli lasci nemmeno spiegare perché apparentemente non c’è nulla da spiegare in una situazione in cui non ci sono né vinti né vincitori, ma solo personaggi che si sentono traditi e presi in giro da un destino crudele e beffardo. Perché tutto questo accade dopo che Chloe gli ha detto apertamente che all I meant that night, is that I can trust you, e dopo che lui ha ammesso candidamente con Linda-la-psicologa di non volersi staccare da Chloe. Ma il loro rapporto aveva iniziato ad incrinarsi già da prima, da quando Chloe lo allontana dalla scena del crimine per proteggerlo e lui le si rivolta contro con un quesito al vetriolo che, di nuovo, provoca soltanto ulteriore dolore. Protect me from the evil, or the world from the evil me?

In ogni caso credo sia abbastanza ovvio che il cadavere sia stato piantato lì da Malcolm che è alla disperata ricerca di una via di fuga dal casino nel quale si è cacciato da solo, ma anche se sappiamo che Lucifer non c’entra nulla e sappiamo anche che presto o tardi Chloe scoprirà la verità, nulla di tutto questo riesce a togliere pathos alla scena.

In tutto questo non ho ben capito l’utilità di Detective Douche, che passa l’episodio a fare allusioni a cosa potrebbe essere Lucifer senza aver idea di cosa stia parlando – sì, gli ho dato troppo credito settimana scorsa, lo so – e YOU KNOW NOTHING.

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Nel mentre altrove, Amenadiel si rende conto di essere un #epicfail vivente: non è riuscito nel suo compito di riportare Lucifer a casa, non è riuscito a farlo uccidere, si è lasciato rigirare come un calzino da Maze e, ciliegina sulla torta, perde miseramente il confronto con il fratello. Eppure mi è dispiaciuto per lui, quando si rende conto che ciò che c’era fra lui e Maze era tutto una finta, l’espressione di dolore dipinta sul suo volto mi ha fatto seriamente male.

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Così come mi ha colpita Maze che si è improvvisamente resa conto di essere stata solo una pedina nei loro bisticci familiari e decide di tirarsene fuori.

In generale ho adorato questo episodio proprio per il dolore e la sofferenza che sono scaturiti da ogni personaggio. Per quanto possa aver fatto male, per quanto possa avermi stesa, è proprio il fatto che mi siano arrivati così forti e chiari e con questa potenza devastante ad avermelo fatto adorare. Ho come l’impressione che non sia finita qui, che il season finale ci lascerà sconvolti a dondolarci su noi stessi nell’angolino di una cella dell’asylum di American Horror Story. Ho anche la sensazione che questa stagione finirà con un cliffhanger di quelli che ci faranno strappare i capelli perché aspettare una settimana è già abbastanza difficile, figuriamoci fino alla prossima primavera. Comunque vadano le cose, so per certo che non ci deluderà, e lo so perché non c’è stata una cosa che abbia deluso finora.

Prima dei saluti, una menzione speciale a Trixie che è sempre la migliore.

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Vi lascio con un enorme abbraccio virtuale e il promo del season finale, “Take Me Back To Hell”.

-Elsa

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Nella sua testa vive nella Londra degli anni cinquanta guadagnandosi da vivere scrivendo romanzi noir, nella realtà è un’addetta alle vendite disperata che si chiede cosa debba farne della sua laurea in comunicazione mentre aspetta pazientemente che il decimo Dottore la venga a salvare dalla monotonia bergamasca sulla sua scintillante Tardis blu. Ama più di ogni altra cosa al mondo l’accento british e scrivere, al punto da usare qualunque cosa per farlo. Il suo primo amore telefilmico è stato Beverly Hills 90210 (insieme a Dylan McKay) e da allora non si è più fermata, arrivando a guardare più serie tv di quelle a cui è possibile stare dietro in una settimana fatta di soli sette giorni (il che ha aiutato la sua insonnia a passare da cronica a senza speranza di salvezza). Le sue maggiori ossessioni negli anni sono state Roswell, Supernatural, Doctor Who, Smallville e i Warblers di Glee.

3 COMMENTS

  1. Ho iniziato Lucifer da neanche 3 settimane e mi sono vista più puntate a settimana e ho letto tutte le tue recensioni. Le ho adorate e mi hanno dato molti spunti su cose che non avevo colto. Ovviamente amo letteralmente Lucifer <3
    Il problema adesso è che sono arrivata a questa puntata e dovrò aspettare anch'io una settimana, e non credo sarà facile! Bloody Hell!
    E spero che non ci sia un finale troppo aperto!

    • Già ….il piu grande dei dubbbi sarà mai la vita stessa un inferno ? Ecco qualè il vero complotto contro il nostro personaggio. Grande serie e grandi rece .

  2. Mia cara, ennesima recensione perfetta la tua. Hai colto in pieno Lucifer. L’hai fotografato nella sua totalità. Nella sua complessità, nella sua disperazione. E, perché no, nella sua fragilità. Perché sì in fondo anche lui è lacerato dentro e tom ellis è stato superbo. Questa serie mi aveva conquistata già dal pilot perché nella sua ilarità, nelle sue battute taglienti tocca temi che sono pesanti come macigni. E lo fa facendoci sprofondare con i suoi protagonisti.
    A questo punto malcom deve morire malissimo.,, e spero ci sia un momento di chiarimento tra amenadiel e maze perché secondo me lei era sinceramente coinvolta..
    Bravissima darling! Alla prossima!

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