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L’Altra Grace – Il magnetismo che ti rende impossibile smettere di guardarlo

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L’Altra Grace  – Il magnetismo che ti rende impossibile smettere di guardarlo


L’Altra Grace (Alias Grace) è quel telefilm che inizi a guardare perché leggi la trama e commenti un po’ distratto: “Oh, deve essere interessante, fammi vedere” e sei ore dopo (sempre sia lodato Netflix per il binge watching) stai finendo l’ultima puntata con gli occhi spalancati fissi sullo schermo, chiedendoti se la tua capacità di giudizio è ancora integra e, soprattutto, se riuscirai serenamente a dormire di nuovo in un letto condiviso [No Spoiler!].

Il telefilm è tratto dal romanzo di Margaret Atwood dallo stesso titolo (sì, l’autrice di Handmaid’s Tale, è il suo anno glorioso) , che si basa a sua volta su una storia realmente accaduta: una giovane donna, immigrata irlandese in Canada, dove lavora come cameriera, viene accusata, insieme a un altro domestico, di aver ucciso il loro datore di lavoro e la sua amante/governante (insopportabile). L’uomo viene impiccato dopo averla accusata di complicità, mentre Grace ottiene “solo” una condanna da trascorrere in carcere.

Il nodo principale della vicenda, e il punto di origine della narrazione è Grace stessa, la cui personalità indefinibile non rende facile decidere, nemmeno a posteriori, quale sia realmente stato il suo contributo nella vicenda: vittima trascinata dagli eventi o scaltra macchinatrice? In questa divisione piuttosto semplicistica (gli esseri umani sono più complessi di quanto ci piacerebbe classificarli) abbiamo quello che, a un livello più profondo, è il senso dello show: i modi diversi e tutti stereotipati in cui una donna viene giudicata, o angelo del focolare bisognoso, o strega ammaliatrice, ma sempre di fatto colpevole e, in ultimo, impotente di fronte al potere maschile, che di fatto gestisce la sua vita, sottoponenendo l’elemento femminile a soprusi, giudicandolo, decidendo delle sue sorti, della sua libertà o prigionia. La donna non ha vita autonoma, vive attraverso lo sguardo di una società maschile, che le lascia un margine di azione molto ristretto e quasi intollerabile.

Perché si tratta di una storia soprattutto femminile, che ci mostra le condizioni  misere – non solo in senso materiale, ma soprattutto emotivo e psicologico – in cui una donna si trovava a vivere, in questo caso specifico nel secolo scorso, ma con ovvie ripercussioni anche ai giorni nostri, ed è il motivo per cui questa trasposizione è ancora tanto moderna e soprattutto adatta al periodo attuale, con gli scandali che si stanno susseguendo. Non solo Grace ci svela quali sono le limitate risorse a cui una donna può accedere, quali le minime opzioni tra cui destreggiarsi, ma lo fanno tutti i personaggi femminili, costretti a ogni livello a scendere a compromessi e accettare anche l’inaccettabile senza svolte a proprio favore.

Grace racconta al dottor Simon Jordan (che si invaghisce di lei, arrivando a ossessionarsi) la sua storia.

La posta in gioco è molto alta, perché si tratta dello spartiacque tra una vita libera o una da reclusa – e magari di nuovo il temibile manicomio dove è già stata sottoposta a terribili torture. In questo senso Grace è una novella Sherazade (come sostiene uno dei personaggi) che, in una situazione di pericolo, deve garantirsi la salvezza attraverso le parole. Il tema dell’arte della narazione in grado di salvarci, su più livelli. E lei sa utilizzarla con grande maestria.
Attraverso dei lunghi flashback vediamo svolgersi le vicissitudini subite fin da piccola, gli ostacoli messi sulla sua strada sempre per mano della controparte maschile (cominciando dal padre) e veniamo immediatamente coinvolti dal suo punto di vista, sperando per la sua salvezza.
Ma all’empatia innata non può fare a meno di inserirsi il dubbio, anche nel più devoto spettatore, per via della sua personalità enigmatica e per alcuni atteggiamenti contrastanti che non la rendono facilmente interpretabile: ci sta raccontando la verità? Ci sta manipolando? È in grado di sostenere un raffinato gioco psicologico, è pazza o, banalmente, è una ragazza semplice di pochi mezzi che ci mette davanti alla verità? Quale verità? Di chi?

Sarah Gadon, che interpreta Grace (oltre a essere autrice della serie), fa un magnifico lavoro interpretativo, presentandoci un volto di assoluta bellezza e perfezione, ma altrettanto impenetrabile, su cui noi, come chi interagisce con lei, proiettiamo di volta in volta quello che pensiamo di lei, perché non esprime nulla, è solo una superficie riflettente. Aggiugiamo a questo il fatto che sembra offrire, in differenti occasioni, quello che crede il suo interlocutore voglia sentirle affermare, mandandoci in confusione. Ed è lei stessa a dirlo e a rendersene conto.

Il racconto, che dovrebbe rappresentare una lunga seduta psicologica, è in realtà condotto dalla stessa Grace, che sa perfettamente come sfuggire agli interrogativi diretti del medico, sa come preservare una parte di sé più profonda che non sale mai in superficie e sa come rendere lo spettatore insicuro su come valutare l’intera faccenda, perché la testimone è un rompicapo di difficile risoluzione, che ci mette in discussione.

Da un punto di vista della rappresentazione della società, se da un lato l’ambientazione è perfetta per chi ama i period-drama dell’Ottocento, dall’altro il realismo con cui ci vengono mostrate le condizioni di una donna collocata all’ultimo posto della scala sociale (perché oltre che donna, è anche povera e immigrata) è lodevole e senza attenuanti: le donne non possono decidere della loro vita, devono adeguarsi al volere maschile, devono cercare di sopravvivere in condizioni di quasi totale mancanza di libertà e autodeterminazione – perché chi si ribella viene frettolosamente emarginato – e ingoiare molti rospi per mantenere lo status quo. E per farlo, spesso, sono costrette a coprire o giustificare uomini che, d’altro canto, ci vengono pressoché sempre presentati sotto una luce variamente negativa, anche quando tentano di aiutare Grace o ci sembrano brave persone. Finiscono sempre a fare qualcosa che le danneggia, tranne nel caso di Jeremiah (Zachary Levi). Mary, Nancy, perfino la signora McDermott devono sottostare a leggi ingiuste che le mortificano.

L’altra Grace è un prodotto di grande qualità che vale la pena di guardare non solo per le tematiche moderne e corpose, ma anche per l’ottima fotografia, l’impeccabile recitazione di tutti gli attori, l’equilibrio nella gestione dei flashback, il ritmo coinvolgente e quel vago aleggiare dell’elemento sovrannaturale che lo rende misterioso quanto basta per trascorrere qualche ora immersi in un’atsmosfera inquietante e a tratti grottesca e, in ultimo, impenetrabile.

– Syl

2 COMMENTS

  1. Al contrario del libro la serie l’ho trovata piuttosto soporifera.

    Tutto un altro livello The Handmaid’s Tale realizzata splendidamente.

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