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La Tregua di Natale – Tra Storia, calcio e serie tv

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La Tregua di Natale – Tra Storia, calcio e serie tv

Il mio rapporto col Natale si può definire al momento “complicato”, non mi considero certamente un Grinch ma non sono neanche la legittima erede di Izzie Stevens & Emily Fields, la mia posizione si è evoluta nel tempo fino a raggiungere una condizione filosofica di “vivi e lascia vivere”: non mi infastidiscono gli elfi di Babbo Natale che vomitano decorazioni natalizie dal 1 Settembre ma tengo ben stretta l’ordinanza restrittiva nei loro confronti.

La verità è che del Natale in realtà mi piace ancora l’idea, quella sensazione di apparente serenità che si respira quando cammini per le strade della città immerse in luci e musiche natalizie, l’ordinaria e stranamente rassicurante frenesia dell’acquisto dell’ultimo regalo, gli episodi a tema speciale delle serie tv statunitensi e britanniche, in definitiva il Natale preferisco guardarlo fuori dalla finestra piuttosto che viverlo dentro casa.

Ma c’è una storia che riguarda il Natale che mi ha sempre colpito profondamente e che tutt’ora non solo racchiude esattamente quella proverbiale magia che questa festività dovrebbe possedere ma soprattutto ho notato come negli anni abbia riunito le mie più grandi passioni: il calcio e le serie tv. Sto parlando della celebre “Tregua di Natale“.

I fatti che avvennero a cavallo tra il 24 e il 26 Dicembre del 1914 in diverse zone occidentali di guerra tra i soldati di trincea tedeschi e gli Alleati (inglesi e francesi) appare oggi quasi come una leggenda, una favola che, se non fosse accertata da lettere autografe inviate alle famiglie a casa, diventerebbe solo uno splendido racconto degno di Dickens e di “A Christmas Carol”. Ma le parole sono state scritte, i fatti raccontati e riconosciuti e l’umanità ristorata, almeno in parte, almeno per chi sceglie di non dimenticare. La sera del 24 Dicembre 1914, dopo che il fuoco era ormai cessato da tempo, i soldati inglesi notarono che dall’altra parte del campo di battaglia, i soldati tedeschi in trincea avevano cominciato ad adornare i parapetti con alberi di natale e candele, gridando gli auguri ai nemici alleati e iniziando a intonare canti di Natale.

Alcuni ufficiali di entrambe le fazioni uscirono allo scoperto e si incontrarono a metà strada in una terra di nessuno – esattamente lì dove le guerre finiscono, in un incontro a metà strada – e concordarono una tregua che anziché durare solo poche ore, si prolungò fino alla notte del 26 Dicembre.

Ciò che più mi emoziona di queste testimonianze è la sorpresa, l’incredulità e l’inaspettata gioia che si respirano nelle parole dei soldati, lo stupore nella realizzazione che i demoni che credevano di combattere erano in realtà fin troppo simili a loro, l’entusiasmo di poter raccontare alle famiglie a casa che non erano stati soli a Natale, che anche loro, per una o due notti, erano stati felici, avevano ricevuto e offerto doni, avevano cantato e parlato e nessuno quella notte e su quel preciso campo di battaglia era stato vittima o carnefice.

“Janet, sorella cara, sono le due del mattino e la maggior parte degli uomini dormono nelle loro buche, ma io non posso addormentarmi se prima non ti scrivo dei meravigliosi avvenimenti della vigilia di Natale. In verità, ciò che è avvenuto è quasi una fiaba, e se non l’avessi visto coi miei occhi non ci crederei. Prova a immaginare: mentre tu e la famiglia cantavate gli inni davanti al focolare a Londra, io ho fatto lo stesso con i soldati nemici qui nei campi di battaglia di Francia!”

Lo scambio dei doni fatti a mano, dei bottoni, del tabacco e delle sigarette è uno scenario che va ben oltre una facile retorica sul vero significato del Natale, sui buoni sentimenti e sulla futilità degli interessi moderni, le testimonianze raccontate da queste lettere non sono una favola, non sono in effetti un romanzo dickensiano, ciò che quelle parole hanno descritto e narrato è una gelida, onesta e commovente rappresentazione della natura umana nel suo momento migliore, quando spogliata di ogni sentimento accogliente e di ogni affetto, si riconosce universale, oltre una divisa, oltre la diversità di lingua, cultura, religione e pensiero.

“Ma altre volte scherziamo su di loro
e sentiamo di avere qualcosa in comune.
E ora risulta che loro hanno gli stessi sentimenti.”

Ma la mia parte preferita di questa storia riguarda un dettaglio che per molto tempo è apparso solo come una leggenda e che invece ha trovato veridicità in alcune testimonianze, seppure non sempre dirette. Furono i giornali britannici i primi a raccontare infatti di un’improvvisata amichevole di calcio che tedeschi e inglesi disputarono proprio durante la celebrazione delle festività natalizie. C’era chi diceva che si fosse conclusa 3-2 per i soldati tedeschi, chi si chiedeva invece come fosse stato possibile che la partita avesse avuto luogo considerata l’improbabilità della presenza di un pallone, ma una delle testimonianze più concrete e dirette, quella dell’ex soldato del Sesto reggimento Cheshires Ernie Williams, racconta che la palla arrivò dalla parte tedesca del campo, che alcuni soldati crearono delle porte e che un numero imprecisato di uomini prese parte al gioco. Non ci furono davvero goal segnati, non c’era un arbitro e nessuno portò il conto del punteggio, solo uomini che calciavano una palla con ingombranti stivali tra fango e neve.

Sono innamorata di questa storia perché tante volte si vede il calcio esclusivamente come “uomini superpagati in calzoncini che rincorrono e prendono a calci un pallone” ma il potere che questo sport racchiude raramente viene davvero capito. Il calcio è nelle famiglie e negli amici si riuniscono davanti al televisore in occasione dei Mondiali, il calcio è nel tifo per una squadra che non conosce lingue e differenze culturali, è nei tifosi irlandesi che durante gli Europei del 2016 hanno cantato l’Inno di Mameli prima della partita contro l’Italia, hanno cantato gli Abba con gli Svedesi, hanno “cullato” un bambino con una ninna nanna in coro e hanno raccolto i rifiuti per le strade, il calcio è in Nadia Nadim che si innamora di un pallone e di una ragazza che ci gioca guardandola da lontano, da bambina, nei campi per rifugiati in cui viveva.


Proprio il calcio femminile mi ha ricordato recentemente quale sia lo spirito originale di questo sport, uno spirito a volte affievolito ma mai spento, uno spirito di condivisione, di fratellanza, di uguaglianza. Tobin Heath e Ifeoma Onumonu affrontano così il loro derby, entrano in campo nello stesso modo in cui lo lasciano, col sorriso e con rispetto, vivono la rivalità ma mai da nemiche, solo da avversarie, e mai oltre i novanta minuti di gioco. Non ci sono sconti in campo, non ci sono sentimentalismi, ma mai nessuna di loro ha dimenticato per cosa tutte loro stiano giocando e a volte combattendo, mai nessuna di loro ha dato per scontato il potere e la bellezza del gioco del calcio.

Il calcio ha la capacità di farti sentire parte di qualcosa di più grande, il calcio è rassicurante perché c’è sempre, nel bene e nel male, perché torna ogni Domenica, il calcio abbatte le barriere e raggiunge anche i mondi più lontani, il calcio può fermare una guerra, non iniziarla.

Endless Wonder

Warehouse 13” è stata forse una delle prime voci a raccontarmi della Tregua di Natale, una serie che tutt’oggi non solo considero impeccabile nella sua modestia ma che più mi trasmette quella sensazione di accogliente e rassicurante magia natalizia.

Warehouse 13” era una serie innovativa e profondamente originale nella sua semplicità, con un concept di partenza in grado di riunire un’eclettica gamma di tematiche e di celebrare perfettamente la sua anima scifi. Lo show credeva infatti nel potere delle emozioni umane e nella possibilità che, inserite in un contesto specifico e caricate di una travolgente intensità, esse potessero infondere in un oggetto un potere sovrannaturale i cui effetti avrebbero poi rispecchiato proprio l’emozione di partenza da cui tutto è scaturito.

L’artefatto da cui la storia prende avvio nello speciale natalizio della seconda stagione è innocente, magico e potente come il desiderio di una bambina, semplice e unico come un dono fatto a mano, carico di un passato che non deve essere dimenticato e di universale umanità che solo un evento come la Tregua di Natale può infondere. È Pete a riconoscere per primo l’ornamento natalizio creato con vecchi bossoli risalenti alla Prima Guerra Mondiale, è lui a raccontare l’autentico miracolo di quel Natale del 1914, è lui, in tutta la sua infantile goffaggine e pura sensibilità, a vivere il vero significato del Natale, entusiasmandosi per le piccole cose, credendo anche nell’impossibile e ritrovando “infinite meraviglie” nella famiglia che ha scelto e da cui è stato scelto.

La Tregua di Natale trova in “Warehouse 13” una perfetta cornice umana e morale per tornare in vita, per affermarsi nuovamente in tutto il suo potere senza tempo e per raccontare l’unica favola natalizia che vale la pena ricordare ogni anno.

Twice upon a time

Warehouse 13” non è soltanto una delle serie tv che più ho amato nella mia “carriera” da addicted, è anche l’unica serie statunitense che per me ha raccontato e celebrato il genere scifi attraverso la storia, la scienza, la letteratura e la contemporaneità quasi alla stregua del campione assoluto di questa emozionante commistione, Sua Maestà Eterna “Doctor Who”.

Era quindi solo questione di tempo prima che anche la più umana, caleidoscopica, empatica e impareggiabile delle serie tv riconoscesse la sua anima e la sua missione originale in un evento storico che non sarà mai solo passato e che custodirà sempre una lezione d’umanità per chiunque voglia ascoltare e ricordare.

Mi stupisce ancora notare che un episodio come “Twice Upon A Time” non sia rispettato e apprezzato come merita dalla critica e dal pubblico di “Doctor Who”, uno speciale natalizio e una “swan song” per il Dodicesimo Dottore che forse non si annovera tra i capolavori della serie ma che non solo possiede una celebrazione ciclica della storia eterna di un personaggio iconico e unico nel suo genere ma presenta anche una manifestazione di speranza, ottimismo e sorprendente umana bontà senza tempo e senza confini.

La Tregua di Natale entra nella vita del Dottore alle soglie della sua fine e del suo nuovo inizio, in un momento in cui il Dottore ha paura, profondamente e intimamente, del futuro che lo attende, del passato che ha vissuto e del presente che lo ha definito. Il Primo come il Dodicesimo, il Dottore che si ritrova nel mezzo della Prima Guerra Mondiale nel 1914 è un Dottore che non ha fiducia neanche in se stesso e che è troppo stanco per ricominciare, che ha perso troppo per poter avere ancora la speranza e la forza di ripartire da zero. Ma ancora una volta, la parte migliore dell’umanità guarisce il Dottore dalle sue ferite più profonde e la gelida magia della Tregua di Natale diventa per lui una ragione per rialzarsi nuovamente, per riconoscersi e ritrovarsi nella sua storia e nel suo bisogno di credere in un domani migliore, per fare pace con il suo passato e con il suo futuro e per permettere ai suoi ricordi più belli di accompagnarlo al suo ultimo traguardo.

Nessuna serie potrebbe mai vedere, capire e sposare tutti i significati che la Tregua di Natale custodisce come “Doctor Who”, nessun personaggio potrebbe mai comprendere lo sforzo immane di trovare qualcosa di bello e luminoso anche nei momenti più oscuri e terribili della nostra Storia come il Dottore.

La Tregua di Natale non è una favola a lieto fine, non mise fine alla Guerra e non ne evitò un’altra, è un sogno realizzato seppure breve, è la promessa di un’alba che risorge sempre anche dopo la notte più buia ed è la possibilità di ritrovare un momento di gioia anche nel peggiore dei giorni.

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Occasionale inquilina del TARDIS e abitante in pianta stabile di un Diner americano che viaggia nel tempo e nello spazio, oscilla con regolarità tra Stati Uniti e Gran Bretagna, eternamente leale alla sua regina Victoria e parte integrante della comunità di Chicago, tra vigili del fuoco (#51), squadre speciali di polizia e staff ospedalieri. Difensore degli eroi nell’ombra e dei personaggi incompresi e detestati dalla maggioranza, appassionata di ship destinate ad affondare e comandante di un esercito di Brotp da proteggere a costo della vita, è pronta a guidare la Resistenza contro i totalitarismi in questo universo e in quelli paralleli (anche se innamorata del nemico …), tra un volo a National City e una missione sullo Zephyr One. Accumulatrice seriale di episodi arretrati, cacciatrice di pilot e archeologa del Whedonverse, scrive sempre e con passione ma meglio quando l’ispirazione colpisce davvero (seppure la sua Musa somigli troppo a Jessica Jones quindi non è facile trovarla di buon umore). Pusher ufficiale di serie tv, stalker innocua all’occorrenza, se la cercate, la trovate quasi certamente al Molly’s mentre cerca di convertire la gente al Colemanismo.

2 COMMENTS

  1. Bellissimo articolo, mi hai fatto commuovere! Bello il tema e ovviamente sempre magnifica la tua esposizione. Ora mi toccherà guardare Warehouse 13?

    • Grazie mille di tutto, come sempre!!! Sono innamorata di questa storia da tanto e più passa il tempo, più scopro collegamenti e significati e più la sento mia!! E assolutamente Sì, dovresti davvero guardare Warehouse 13, è una serie senza pretese ma straordinaria in ogni suo dettaglio, magica, inaspettata e unica!

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