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La nuova vita di Lucy Hale – Life Sentence

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La nuova vita di Lucy Hale – Life Sentence

È anche più bello di quanto avessi immaginato. Solitamente mi spaventa espormi così tanto per una serie che è appena cominciata, tutto può ancora succedere, le delusioni sono in agguato dietro l’angolo e la CW è una minaccia costante, ammettiamolo, ma questa volta non posso farne a meno, il mio entusiasmo è alle stelle e non posso fermarlo. Ho aspettato l’arrivo di “Life Sentence” e il ritorno di Lucy Hale nella mia vita per ogni singolo giorno a partire dall’annuncio del casting e per quanto le aspettative possano essere armi a doppio taglio, i trailer rilasciati durante la fase promozionale mi avevano resa cautamente ottimista sulla riuscita di questo primo episodio. Ciò che non immaginavo era che l’esordio di “Life Sentence” potesse essere TUTTO ciò che cerco e amo in un episodio pilota.

Dalla trama alle soundtrack, dalla sceneggiatura al montaggio, ogni singolo aspetto di questo pilot è apparso ai miei occhi straordinario, e sulla somma di queste parti si erge con travolgente delicatezza Lucy Hale, al massimo del suo splendore. Specchio dell’episodio inaugurale della serie, Lucy Hale è pura primavera: è luminosa ma non forzata, è frizzante ma non buonista, perfetta nei suoi spazi ma mai esagerata, il giusto mezzo di una vasta gamma di sfumature caratteriali che vengono dipinte rapidamente, ma con precisione, regalandoci quella che è al momento solo una bozza di presentazione, ma già completa di tutto ciò che ci serve per imparare a conoscerla e per sentirla già parte della nostra quotidianità.

L’episodio è un treno in corsa, non c’è un attimo di pausa nella rapida successione degli eventi, lo storytelling è vivace e non scontato, ma ordinato nella sua adorabile “follia” e la voce fuoricampo di Stella sarà magari un po’ old-fashioned ma personalmente l’ho trovata in perfetta sintonia con tutte le parti che compongono questo pilot così abilmente organizzato, ma soprattutto, oltre il fine di condurre la narrazione, la voce fuoricampo è meravigliosamente complementare alla caratterizzazione esplicita di Stella, arricchendola di pensieri lasciati inespressi e commenti adorabilmente spassosi che mi trasmettono una strana sensazione di soddisfacente completezza, come la proverbiale ciliegina sulla torta che appaga il senso estetico di un quadro finalmente compiuto.

La storia di Stella comincia in ciò che lei crede essere in realtà il suo finale. Malata di cancro da otto anni, Stella Abbott ha ormai fatto pace col suo destino, abbracciando con convinzione la filosofia di considerare ogni giorno della sua vita come se fosse l’ultimo, sicura che in fondo quest’ultimo giorno sarebbe arrivato prima del previsto. Il ritratto della sua vita in questi otto anni è paradossalmente quasi idilliaco perché nonostante la sua tragica condizione, Stella vive pienamente, circondata dall’amore e dal sostegno incondizionato di una famiglia assolutamente perfetta, disposta a qualsiasi sacrificio pur di regalarle ogni momento di gioia che il tempo possa ancora concederle, compreso un viaggio in Francia per spingere il destino nella giusta direzione e aiutarla a trovare il vero amore. Inutile dire che anche questa missione viene portata a compimento con straordinario successo e coronata con un matrimonio che, proprio come il giovane sposo Wes, appare quasi ai confini della realtà. Quando ogni aspetto della sua vita quindi sembra aver raggiunto lo zenit della beatitudine, un miracolo inaspettato incornicia l’opera d’arte che la sua esistenza è diventata. E quando succede, quasi per uno scherzo del destino, si spengono le luci sul suo palcoscenico e crolla il sipario della sua perfetta quotidianità, mentre la felicità ormai compiuta sembra porgerle il conto.

Il concept stesso di partenza di questa serie è diverso, profuma di originalità in un tempo in cui il massimo dello sforzo creativo che a quanto sembra si è disposti a fare è riportare in auge gli anni ’90, ha un sapore agrodolce che per quanto insolito possa apparire al gusto, è così fresco che ti spinge a volerci riprovare, a volerne ancora per assaporarne tutte le sfumature.

Lo spettacolo familiare realisticamente umano che si apre improvvisamente davanti agli occhi di Stella è il cuore dramedy di questo show perché è talmente disfunzionale che non fa certamente ridere a crepapelle, ma allo stesso tempo così umanamente assurdo che fa sorridere proprio per quella follia inevitabilmente repressa che adesso quindi esplode come una bomba di vernice, colorando il mondo di Stella con tonalità concrete differenti dal soffice rosa con cui era dipinta la sua bolla. Gli Abbott [ottima scelta del cognome] si mostrano improvvisamente talmente problematici da far apparire i Walker di “Brothers & Sisters” i nuovi Camden, ma tra la segreta identità sessuale della madre e i problemi economici ed emotivi del padre, la frustrazione dovuta alle svariate rinunce della sorella e l’immaturità congenita del fratello, una sola costante unisce l’insospettabile trama di segreti ed è la devozione che tutti loro hanno donato a Stella durante il periodo della sua malattia, una devozione con cui hanno fatto scudo davanti a lei proteggendola anche dalla realtà che la circondava e impedendole però in questo modo di conoscere per davvero ognuno di loro e ciò che erano diventati negli ultimi otto anni. Disfunzionali, segnati, stanchi, i familiari di Stella, così come suo marito Wes, sono persone che in realtà lei adesso non conosce più, non del tutto almeno, perché la sua malattia, per quanto devastante e drammatica fosse, aveva quasi filtrato il suo mondo lasciando che lei vedesse solo il lato migliore di ciò che restava della sua vita.

Ora che le è stata concessa una seconda possibilità, Stella vede per la prima volta la sua famiglia per ciò che è in realtà e così è costretta ad accettarla, tra l’indignazione e il senso di colpa, tra la confusione e la paura di non avere più una base stabile da cui ripartire, solo per realizzare alla fine di dover essere proprio lei adesso il punto di partenza per se stessa e forse per tutti loro.

Il personaggio di Stella però non è in fondo troppo distante da tutte quelle debolezze e quei problemi squisitamente umani che definiscono la sua famiglia ed è solo una delle ragioni per cui ha già fatto facilmente breccia nelle mie preferenze. Lontana dalla perfezione, Stella è un’adorabile maniaca del controllo, in ogni singolo aspetto della sua persona, è inevitabilmente egocentrica perché ormai troppo abituata ad essere al centro dell’attenzione di tutti, è quasi “inadatta” a vivere perché non contava di farlo ancora per molto ed è tenacemente attaccata alla sua bolla che cerca di rimettere insieme anche quando ormai è esplosa. Ma proprio per questi motivi, seguire e conoscere Stella si prospetta come una meravigliosa avventura perché esattamente come la sua famiglia, anche lei dovrà scoprire la vera se stessa, oltre la malattia, oltre la paura di un tempo che sta per scadere, poiché ora avrà tutta la vita davanti per vivere semplicemente come una donna normale, senza filtri, senza scudi, solo lei e il mondo che non fa sconti ma che dovrà imparare ad affrontare con la stessa forza e lo stesso coraggio con cui ha superato quello che sembrava essere tutto ciò che le rimaneva, e che invece era soltanto il suo inizio.

Qualunque sia il percorso futuro della serie, e mi auguro davvero che possa solo migliorare, il pilot di “Life Sentence” è stato il tipo di episodio che mi travolge dolcemente per 42 minuti, che mi fa sorridere senza pretese, che si mostra in tutta la sua semplicità senza ergersi a grande capolavoro della televisione, che trova il suo spazio personale e indipendente in un mondo in cui diventa sempre più difficile avere un’identità. Lucy Hale, come la sua Stella, intraprende nel migliore dei modi il primo giorno della sua nuova vita dopo “Pretty Little Liars” e lo fa con l’unico ruolo ugualmente perfetto per lei ma totalmente diverso da ciò che è avvenuto prima. Il traguardo più importante che questo pilot ha raggiunto, almeno per quanto mi riguarda, è stato quello di trasmettermi quell’unica sensazione che pretendo da ogni inizio, la sensazione di ottimistica speranza, la speranza di aver trovato un nuovo mondo in cui perdermi e un personaggio che mi accompagni per mano a scoprirlo.

 

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Occasionale inquilina del TARDIS e abitante in pianta stabile di un Diner americano che viaggia nel tempo e nello spazio, oscilla con regolarità tra Stati Uniti e Gran Bretagna, eternamente leale alla sua regina Victoria e parte integrante della comunità di Chicago, tra vigili del fuoco (#51), squadre speciali di polizia e staff ospedalieri. Difensore degli eroi nell’ombra e dei personaggi incompresi e detestati dalla maggioranza, appassionata di ship destinate ad affondare e comandante di un esercito di Brotp da proteggere a costo della vita, è pronta a guidare la Resistenza contro i totalitarismi in questo universo e in quelli paralleli (anche se innamorata del nemico …), tra un volo a National City e una missione sullo Zephyr One. Accumulatrice seriale di episodi arretrati, cacciatrice di pilot e archeologa del Whedonverse, scrive sempre e con passione ma meglio quando l’ispirazione colpisce davvero (seppure la sua Musa somigli troppo a Jessica Jones quindi non è facile trovarla di buon umore). Pusher ufficiale di serie tv, stalker innocua all’occorrenza, se la cercate, la trovate quasi certamente al Molly’s mentre cerca di convertire la gente al Colemanismo.

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