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Castle | Recensione 8×15 – Fidelis Ad Mortem

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Castle | Recensione 8×15 – Fidelis Ad Mortem

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Bentornati, fan di Castle!
Avevo grandi speranze per questa puntata Beckett-centrica (sort of) e so che è un errore: sarebbe più giusto avvicinarsi ai quaranta minuti della Castle Bliss settimanale con la mente sgombra e il cuore lieto, senza farsi gravare da aspettative controproducenti, ma chi ci riesce?

Per cominciare, lasciatemi smettere solo per un attimo i panni della recensora neutra e attenta, per mostrare la mia vera reazione dopo la prima visione (a cui è subito seguita un’altra).


A un certo punto, che poi esporrò, i capponi che mi correvano sulla schiena sono impazziti e si sono schiantati giù nel dirupo.
Farei anche notare che è la seconda puntata, dopo la 8×02, in cui sono stata totalmente spoiler free fino alla fine della visione, significando quindi che non sono corsa agli ultimi minuti per vedere di che morte dovevo morire, stante in essere la drammatica questione #NoMoreSecrets aleggiante sulle nostre teste: Rick avrebbe vinto o perso la lotta interiore che avrebbe potuto legare un (altro) mattone al collo del suo matrimonio?

Tenendo conto che l’ultima volta sono stata piantata in asso da Beckett (ok, non io, ma quel poveretto), ho consapevolmente rischiato di prendere una palata in faccia. Ma tutto è bene quello che finisce bene.
I nostri Amatissimi (oggi devo trattenere una certa tendenza all’iperbole) si sono finalmente tolti tutti i pesi di piombo che appesantivano le loro tasche e hanno deciso, dopo 13 (tredici) puntate di tornare a essere una coppia felice e sposata (anche) agli occhi del mondo, liberi da ogni segreto. Per farlo è stato necessario un lungo e periglioso percorso che avrebbe mandato fuori strada chiunque, tranne loro. Ed ecco perché mi sento di definire la loro storia d’amore la best ever. Senza nemmeno pentirmene.

Complimenti a Chad Creasey e Rob Bowman per aver scritto e diretto un episodio che ha saputo mostrare con maestria e attenzione gli aspetti fondanti e peculiari, alcuni evidenti, altri più sottili, di un personaggio poliedrico, complesso e inafferrabile come Katherine Beckett. Quando tocchi una sfumatura di Beckett, ti si colorano altri mille incastri, che devi, con pazienza, analizzare e interpretare, per inserirli nel quadro più ampio che è come l’universo, in continua espansione. Complimenti anche a Stana Katic per amare e interpretare Beckett ancora, sempre, con tanto amore e passione.
Mi piacerebbe molto, dovendo toccare un tasto delicato, che le puntate Castle-centriche mostrassero la stessa volontà di darci un’uguale visione approfondita sul suo personaggio. Qualche volta, con mio grande rammarico, mi sembra che quando si concentrano su Beckett mettano in campo materiale di ottima qualità perché il personaggio possa splendere e crescere (come in questa puntata) mentre, quando si tratta di Castle, gli diano giusto qualcosa da fare in attesa che Beckett torni in puntata. Non è giusto. Io li trovo due personaggi interessanti, grandiosi, e apprezzabili entrambi, con pari complessità e solidità, se pur molto diversi tra loro.  A livello del tutto personale sento che mi manca, da anni, l’occasione di toccare corde meno visibili dell’animo di Riccardo.

Dopo questa necessaria premessa, veniamo alla puntata odierna, che io ho sentito di definire, mentre la guardavo dispiegarsi sotto ai miei occhi, “Il viaggio di Kate Beckett“.

In “Fidelis Ad Mortem” (titolo impegnativo, che rimanda al motto della polizia di New York, protagonista delle vicende di questo episodio, ma soprattutto, a Veritas) è rappresentata, a mio avviso, tutta la narrazione beckettiana, a partire dalle origini, fino ai giorni nostri. Si è andati a pescare nel suo passato, quando era ancora una recluta dell’accademia, per raccontarci la sua storia, fare il punto di come le sue caratteristiche personali, insieme agli eventi occorsi nella sua vita, agli insegnamenti, l’esperienza e un po’ di saggezza, e un partner unico, abbiano definito quella che è stata e quella che sarà (per tanto tempo ancora).

La puntata si apre su una nota fresca e frizzante. Castle è tornato da Los Angeles con ancora tutti i suoi mostri intatti a dargli il tormento, motivo per cui è in piedi presto ad attenderla. Quando l’ho vista arrivare felice e spensierata dalla camera, scalza e pronta a baciarselo, io ho sentito quanto mai vera la frase: “Voglio far con te quello che la primavera fa ai ciliegi” (Neruda). C’è sempre un incanto nella Beckett innamorata dell’amore della sua vita, una bellezza così luminosa, che non riesco a smettere di sorridere guardandola. (Ho rimandato indietro quei primi minuti un numero di volte che non vorrei svelare).


(Baciatevi pure e tenetevi le mani per quanto ne sentite la necessità. È un vostro diritto).

La scena prosegue piantando i semi di quella che sarà la storyline della puntata: Castle dirà a sua moglie cosa ha scoperto a Los Angeles?
Mi sembra chiaro che, a quel punto della vicenda, Castle fosse nel pieno del caos. Se non avesse voluto dire niente, sarebbe rimasto a letto. Non si è però nemmeno fatto un’idea chiara di quanto dirle, e come. Credo non avesse, a quel punto, delineato un piano di azione. Sapeva bene che il rischio di far saltare di nuovo il loro fragile equilibrio era molto alto, sia che parlasse, sia che tacesse. Amo quando i personaggi sono sfidati in modo così intenso, quando il campo di forze entro cui si muovono è ugualmente giusto e sbagliato al tempo stesso.
A interrompere lo stallo arriva Martha, a portare il suo libro “Unsolicited Advice” (che io desidererei comprare), cosa che costringe Beckett a sgattaiolare via, di nuovo, utilizzando una porta segreta che dalla camera da letto dà sull’esterno. A quanto pare il loft è una miniera di stanze segrete e uscite di sicurezza.
Il rimando alla premiere della quinta stagione è ovvio, e altrettanto spiritoso. Ho letto spesso che qualcuno critica questi richiami vedendoli come un’incapacità degli autori di scrivere qualcosa di originale. Dissento da questa visione: amo che lo facciano e lo leggo più come un omaggio a chi c’è stato prima di loro, e un tornare a momenti importanti, o solo allegri, che hanno costruito le fondamenta del telefilm. Lo considero un atto apprezzabile e mi piace vedere i Caskett messi nelle stesse situazioni, con qualche anno in più e un altro tipo di consapevolezza e rapporto.

Beckett viene quindi spedita a farsi un tuffo nel passato, per via del caso della settimana, in quel mondo in cui ha mosso i primi passi, sempre trionfanti. Avevamo qualche dubbio che Katherine Beckett fosse stata una recluta men che super? No. Lei è genio in tutto quello che fa, che si tratti di essere una modella che ancora all’agenzia se la ricordano, fino a essere il detective più giovane ad assumere quel ruolo. Lo dico ovviamente con ironia mista ad affetto. È pur sempre la nostra bambina che ci riempie di orgoglio.
Al suo ingresso nell’accademia segue un tripudio di momenti retorici piuttosto prevedibili, ma non per questo meno gradevoli:
– niente di meno che un’intera vetrinetta a conservare i successi di Baby Beckett, ancora in mostra perché, chi l’avrebbe mai detto, è ancora un genio insuperato.

– l’incontro con il Deputy Commissioner Malone, anche lui pieno di complimenti per la leggenda che gli è entrata in ufficio, ma lei umile a togliersi subito l’attenzione di dosso.

You’re a bit of a legend around these parts.
– Every record falls in the end.

Ricordiamo che Beckett è una donna d’azione, che odia la retorica dei salamelecchi imposti dalle convenienze sociali e politiche. Lei ha da risolvere un omicidio prima di cena, perché poi deve tornare da suo marito. Su, svelti.
– La felicità che le sgorga dal cuore rivedendo il sergente che l’ha formata, il tipico “insegnante duro per il tuo bene” che “tira fuori il meglio di te”. Io ero con l’uomo più anziano e di poche parole, da cui trapelava il grande orgoglio per la sua allieva che ha avuto il successo che lui aveva previsto, visibile nel modo in cui la chiama: “Captain Beckett”, sottolineandole le credenziali e rimirandosela come un genitore fiero. Mi sono sentita così anche io. Sono vittima consenziente di un certo tipo di retorica.

Tutta la parte di Beckett all’Accademia a me è sembrata una puntata di Quantico, devo ammettere. Ne ho amato ogni singolo momento, perché ha permesso alla vera anima di Kate Beckett di uscire. Ha fatto agire la sua autorevolezza, che è parte di lei. È stata dura, ma non prepotente, preparata, inflessibile (con solo un pizzico di autocompiacimento), ma anche molto partecipe e dotata del tratto distintivo del vero insegnante: interessata ai suoi allievi (se pur temporanei e tenendo conto del secondo fine con cui interagiva con loro) e seriamente intenzionata a dar loro i migliori consigli imparati sulla propria pelle. Quei pantaloni cargo poi le stavano divinamente.

Mi sembra anche evidente che l’espediente di metterla a confronto con la giovane recluta indomita, spigolosa e predisposta a reazioni istintive ed emotive, senza nessun controllo, sia stato un modo di mostrarci come era Beckett ai tempi e come invece si è trasformata negli anni. Questo non solo perché glielo hanno ripetuto ennemila volte per tutta la puntata:

She’s ultra-focused, competitive as hell, and walled off from everyone. Kind of like you were.

ma anche per come si sono misurate, confrontate, scontrate per tutto il tempo, fino ad arrivare a un punto di incontro, rispettandosi a vicenda, con la Beckett saggia e matura, a dare consigli al cavallo imbizzarrito, vittima di impulsi di giustizia gravati ancora da una mancanza della necessaria umiltà e autocontrollo (la potenza è nulla, eccetera. Beckett l’ha imparato a proprie spese). Anche Beckett si è trovata di fronte alla possibilità, con Bracken, di farsi giustizia da sola. Anche lei ha quasi premuto il grilletto, ma non l’ha fatto. Ha voluto farlo, è stata tentata, ma si è tirata indietro, proprio come Rachel davanti al padre mafioso (che a me stava simpatico, se posso dirlo). Questo non significa essere inadatti a fare il poliziotto. Beckett le fa capire, guidandola con mano ferma e ricca di umanità e calore, che per fare il poliziotto non serve essere tutta d’un pezzo, essere sempre dalla parte del giusto, non avere pulsioni irrazionali o umane. Significa vincerle. Possiamo avere voglia di sparare un colpo di pistola, ma l’unica cosa che conta è che non averlo fatto. Io qui ho trovato tutto il cambiamento di Beckett, che quando ha incontrato Castle era preda di emozioni travolgenti che non era in grado di incanalare ma che, con il passare degli anni, un grande lavoro personale e la sua vicinanza, è riuscita a domare e a mettere a servizio di se stessa e del prossimo.

I’m unfit to be a cop, Captain. If you hadn’t talked me down back there… I had every intention of pulling that trigger.

But you didn’t. You regained your wits, you made the right decision, and that’s what counts.

Mi è piaciuto molto anche il fatto che abbia menzionato, riconoscendone il valore, gli insegnamenti di Montgomery, in una catena infinita di scambio  di consigli e conoscenze che, dal più esperto e saggio, si incanalano verso il più giovane, ancora bisognoso di guida e di sostegno.

Veniamo alle vicende personali dei Caskett.

Io sono senza parole per la tensione, la forza e la resa scenografica di certe scene. Non me le aspettavo in Castle, a tratti mi è sembrato quasi di vedere un film. Do tutto il credito alla regia di Bowman per avermi lasciato letteralmente senza fiato. Tutta l’ottava stagione, tranne un paio di flessioni, è all’insegna del “non mi aspettavo una cosa del genere”. A mio avviso, un telefilm che mi lascia attonita di fronte a certi avvenimenti, sia per il significato che racchiudono, sia per come ci vengono mostrati, ha ancora molto da dare. Mi assumo la responsabilità di affermarlo.

Per quanto io possa non avere, finora, apprezzato il personaggio di Hayley, sono molto fiera del fatto che abbia spinto Castle a dire la verità a sua moglie. Non mi aspettavo niente di diverso. Per inciso, Hayley paga la colpa di non essere scritta all’interno della storia in modo organico e consequenziale. È stata lanciata sopra a un treno in corsa e si stenta a capire cosa ci faccia dentro lì. Qualche volta sembra solo dover coprire un minutaggio altrimenti vuoto. Ed è questo il motivo di un latente fastidio nei suoi confronti, la mancanza di uno scopo. Ogni parte nel sottile equilibrio che compone l’insieme di una puntata deve avere senso. Di lei spesso non l’ho colto. In questa puntata sì.
Qui serviva qualcuno che fermasse Castle dai suoi “giri immensi che poi ritornano” (cit.). Lui stava prendendo la strada del tormento interiore, ossessionandosi con il video, procedendo verso lo stallo. Non gliene faccio una colpa: ho pensato e ripensato alla vicenda e non c’era un modo “giusto” di gestirla, secondo me. In un modo o nell’altro doveva lanciarsi nell’ignoto e sperare che Kate lo prendesse per mano. Hayley ha detto le cose giuste, nel modo giusto. Quelle che un tempo gli diceva sua madre ma che, in questo caso, non avrebbero, secondo me, funzionato, perché Martha è troppo coinvolta e troppo legata a ciascuno di loro.

Devi dirlo a tua moglie. Devi lasciare che sia quello che deve essere. E lo afferma con urgenza, pressandolo, perché, in fondo, a lui ci tiene. Si sta trasformando dalla donna aggressiva che era, perché sempre sulla difensiva, in una buona amica e confidente. Mi piace vedere un personaggio evolvere e avere un ruolo, almeno abbozzato. E poi… ride!
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Castle va da Kate a dirle la verità. Quanto gli è costato? Tutto il coraggio che aveva e Castle ne ha tanto.
Al vederlo sopraggiungere nel suo ufficio, il soprabito appoggiato sul braccio (come sempre foriero di “Drama Moments”, come nella 8×08,) e la porta chiusa piano alle sue spalle, lei si è vista dall’avvocato a firmare le carte del divorzio. Sicuro. Come è sicuro il mancamento che le è venuto.
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Segue una scena molto semplice, ma di rara efficacia. Poche parole espresse, frasi brevi a segnalare un tumulto interiore e una grande, enorme, verità espressa. Ti ho protetto. Da chi? Da te stessa.
Addio a tutti. Le ha detto quello che non avrebbe mai voluto dirle. E lo ha fatto senza rabbia, solo con grande e immenso amore, deponendo sul tavolo davanti a lei, con un atto eroico, gli strumenti che Kate avrebbe potuto usare contro di lui. Basta segreti. Basta fare gli eroi per proteggere l’altro. Questo è quanto, Kate.
Non si è difeso, non ha spiegato, non ha tentato di abbellire una questione tanto spinosa. Si è messo davanti a lei senza protezioni e chiedendole di fare quello che fanno le coppie sposate: gestire insieme il casino.
La scena ha il sapore di Always. Anche se quattro anni di rapporto dovevano per forza fare la differenza.

Quando lei, scossa e sotto shock, ha chiesto tempo, io sono quasi balzata dentro lo schermo. Cosa significa “tempo”? Stai scherzando? Con tutto quello che lui ha dovuto sopportare, proprio per lo stesso motivo (la protezione), tu ci devi pensare? No, Kate.

Dopo un momento di riflessione ho capito che la sua è stata, secondo me, la giusta reazione agli eventi. A caldo non sarebbe venuto fuori niente di buono. La rivelazione è stata clamorosa e, francamente, un colpo non indifferente da ricevere. Castle si è fatto cancellare la memoria non tanto perché le sue scoperte l’avrebbero resa il prossimo bersaglio di un antagonista molto pericoloso, ma anche perché lui la conosce bene. Pur amandola, sa che c’è una parte oscura di lei che prende il sopravvento quando si trova di fronte a certe dinamiche interiori. Sa che non si ferma, sa che va avanti spinta da una forza irresistibile contro cui non può niente, e che la sprona a fare giustizia. A discapito di se stessa. E di loro due.

Si potrebbe dibattere se Castle avesse o meno il diritto di farlo, di decidere, ancora una volta, al posto suo. Potremmo discuterne a lungo, senza, io credo, vederne mai la fine. Io non sono qui a giudicare né uno né l’altra. Amo però moltissimo quando mi mettono di fronte a due personaggi che mostrano tutta la complessità dell’essere umano, quando finiscono in una situazione così pericolosa, che li sfida all’inverosimile e che mette a nudo le loro vulnerabilità e debolezze.
Con due immagini molto simboliche, di quel simbolismo alla Bowman che io non sempre apprezzo ma in questo caso sì, ho percepito tutto il dramma interiore di Kate, messa di fronte alla verità. Su se stessa.


Il modo con cui giocherella nervosamente con l’anello nuziale è significativo del punto di svolta per una donna per cui, prima, era tutto e solo “It’s my life”. Adesso è sposata e questo non significa solo avere una persona che ti attende a casa di sera, ma condividere la propria vita con qualcun altro. Lasciare che l’altro ti si incunei così in profondità da farti anche del male. Significa soprattutto fare un percorso in cui la tua individualità, qualche volta, deve lasciar spazio a quel “noi” che ci si è impegnati a costruire. Kate poteva tornare a essere quel lupo solitario che è sempre stata. Oppure poteva tracciare una bella riga, e ripartire da zero, insieme a suo marito.

La scena che più mi ha lasciato esterrefatta è proprio quella che segue, non nella puntata, ma nelle vicende Caskett. Kate arriva al loft, silenziosa, inaspettata. Castle si aggira come una fiera in gabbia, non sapendo quale sarà il futuro della loro coppia. Sono uno di fronte all’altro senza nessuna protezione che possa nascondere quelli che sono davvero. Sono amare le parole di Kate, che sottolinea come siano ancora, sempre, allo stesso punto. Hanno mentito per proteggersi, di nuovo, e questo li ha quasi rovinati. Al momento non c’è niente da dire. Bevono. Non parlano. Sono insieme, però. È il primo passo. In quel momento lei non sarebbe riuscita, perché la ragione non aveva ancora chiarito la confusione, a parlare, a spiegarsi, a sentire le motivazioni di lui, a esporre le proprie. L’unica cosa che voleva, l’unica cosa che è riuscita a fare, è stata essere presente. Stare con lui. Condividere in silenzio i medesimi sentimenti. Non è scappata. Non se ne è andata. Per come conosciamo Kate, le è costato molto coraggio. Così come a lui andare da lei, quel pomeriggio. Non sapevano ancora come fare per uscire dal baratro, ma sapevano solo che volevano, e dovevano, farlo insieme.
Non ho mai visto una scena del genere in Castle. È stata molto forte, molto cupa, quasi difficile da guardare, straziante, ma ho apprezzato moltissimo che abbiano scelto di andare oltre i soliti binari e inserirla. Così angosciante, così disperata. Fatico ancora a parlarne per l’effetto sconvolgente che ha avuto su di me, anche adesso a ripensarci, tutte le volte che la guardo.

Ho sentito tutto il suo dolore, l’ansia, la rassegnazione, l’amarezza, conseguenze del colpo che ha ricevuto. L’ho vista ridotta ai minimi termini, senza sapere cosa fare, senza riuscire a reagire. Una donna che si staglia immobile con tutta la sua forza e la sua integrità. Piegata.

A quel punto io non avevo idea di cosa sarebbe successo. Mi sarei aspettata che le cose prendessero una direzione, e anche quella contraria. Sono stata molto felice di scoprire, negli ultimi minuti, che i Caskett abbiano trovato il modo di farcela. Insieme. Beckett è venuta a capo delle forza divergenti che l’hanno dilaniata. Castle ha chiesto di non essere lasciato in panchina, di non essere più protetto. Mi è piaciuto che, in tutta questa storia, non si sia intrufolato nel caso LokSat, come suo solito. Ha promesso di non farlo, e non l’ha fatto. Mi è piaciuto che lei abbia capito che le cose si risolvono insieme. Ho apprezzato il lungo e accidentato percorso che l’ha portata fin lì, anche se per me, per il pubblico, è stato doloroso da guardare.
All’inizio mi è sembrato che il registro della scena finale fosse un po’ troppo leggero. Molto “Castle“, ma poco adatto alla vicenda. Ripensandoci, invece, l’ho trovato giusto. Il tempo dei drammi è finito, e loro sono pur sempre i Caskett, che hanno un loro modo buffo e mai convenzionale di interagire.
– I asked first.
– And I asked second.
– So you should answer first, and I’ll answer second.
– Castle.
– O-Okay.

Ero piegata. Ma come vi viene in mente di stare a battibeccare in questo modo in un Momento Drammatico? In questo scambio c’è tutto il loro mondo, e la ritrovata serenità.

Finale con bacio Caskett, che non si nega a nessuno.

Puntata meravigliosa, che mi lascerà a riflettere e ad approfondire per tanto tempo e sono felice di poterlo fare, che mi diano ancora materiale per farlo. Questa ottava stagione, continuo a dirlo, mi dà molte soddisfazioni. Adesso, se possibile, vorrei vederli finalmente in pace e sereni, per quanto sempre con la spada di Damocle di LokSat a pendere minacciosa sulla loro testa, e, speriamo, a indagare insieme, arrivando magari sulla scena del delitto senza doversi inventare scuse, o farlo di nascosto. I bei vecchi tempi.
Aggiungo che ho apprezzato in particolar modo il fatto che la risoluzione della vicenda sia arrivata dopo due puntate dedicate a uno solo dei due, in uno scambio equo. Ci ho visto il simbolo del loro agire separati dall’altro, fino alla comprensione finale che da soli non vanno da nessuna parte. Loro sono forti insieme. E, quindi, rimettiamoli insieme in puntata!

Varie:
– non ho capito perché quando Castle è arrivato al distretto l’abbiano ragguagliato sul caso. A che titolo? Ma due domande sulla natura del loro rapporto non se le fa nessuno? No, anzi, gli dicono pure dove è andata. Voglio dire, poteva pure essere fuori con l’amante, per quanto ne sapevano loro! (#IroniaModeOn)
– Fantastica Martha sulla dedica del libro. “Non prenderla sul personale”. Come no?!

Constant stumbles?
– Let’s not make this about you.

– BadassBeckett is back e ha dato il meglio di sé!


– Spiegatemi come è possibile che questi killer sentano il bisogno estremo di scambiare convenevoli, raccontando se stessi e i loro misfatti, anche mentre si accingono a far fuori il poliziotto di turno.
– Ottima la trovata di confonderlo con le sagome, una scena davvero ben fatta.
– A me Beckett che alza la pistola subito insospettita contro Ortiz è parsa una scelta troppo precipitosa. Io fossi in lui mi sarei offesa.
– Miglior battuta della puntata: What? Have Beckett’s memory wiped? (#TooSoon?)

Bene. Non pensavo che ce l’avrei mai fatta a dirlo, ma sono arrivata alla fine. Le puntate di un certo spessore portano con sé il reale di rischio di non smettere mai di parlarne. A voi è piaciuta? Fatemi sapere cosa ne pensate!
Purtroppo ci attende ancora uno di quegli irritanti mini hiatus che odio con tutto il cuore, quindi ci rivediamo tra due settimane. Vi lascio il promo e vi invito assolutamente a passare su queste pagine sempre informatissime, se volete rimanere costantemente aggiornati su Castle.

Tutti pazzi per Castle

Castle Italia

Castle and Beckett Italian Fan Page

A presto, Syl!

14 COMMENTS

  1. Che dire? Ti stra-quoto su tutto!
    Dall’entusiasmo per la puntata alla frustrazione per le opportunità mancate nelle puntate Castle-centriche.
    Grazie ancora per mettere al loro posto le nostre sensazioni confuse e ricordarci perché amiamo questa serie, quest’anno, personalmente, ancora di più per aver avuto la capacità di sfidare i personaggi e anche gli spettatori. Always.

  2. Sembra quasi che l’abbiamo vista con gli stessi occhi ma soprattutto sentita con la stessa pelle questa puntata. La tua recensione è quello che ho vissuto e che rivivo come in un loop dalle 3 di stamattina.
    Meravigliosa la puntata, meravigliosi loro, meravigliosa la tua maniera di raccontarli.

  3. Analisi perfetta della puntata e del faticoso percorso che Rick e Kate hanno fatto fin qui.
    Hai reso perfettamente l’inquietudine che ha generato in me la scena del whisky, perfetta, malinconica e allo stesso tempo rassicurante perchè ‘erano insieme’.
    Quanto mi è piaciuta Beckett in questa puntata, quanto è brava Stana ad interpretarla. E, quanto hai ragione nel rammaricarti che non si faccia lo stesso sforzo con Rick che tanto avrebbe da dire.
    Alla prossima (mannaggia al mini-hiutus)

  4. Finalmente Kate ha fatto crollare il muro, questa volta del tutto. Ha finito il suo percorso: ora sa cosa significa la parola coppia e da lì non tornerà indietro. Perché ci ha messo tanto tempo, perché sa quanto ha bisogno di lui.
    Io proteggo te, tu proteggi me, non si finiva più, ma adesso basta. E pure lui ci è arrivato, perché gli mancava ancora un gradino. A lei di più.
    Hanno capito che il pur comprensibile desiderio di proteggersi a vicenda impedisce loro di vivere pienamente come invece promette il loro rapporto unico e meraviglioso.
    Non si tratta di pareggiare i conti fra i due, non è da loro, ma di aver preso coscienza di quanto siano necessari l’uno all’altra e di quanto stanno bene insieme. Non parlo delle indagini, ma di ben altro.
    Però ci vorrà ancora del tempo prima che le rispettive ferite si rimarginino e forse faranno fatica a dimenticare oppure non ci riusciranno mai.
    Non importa, è altro che conta. E’ il loro battibeccare, il comprendersi, lo stare insieme come in un tutt’uno armonico e unico. E’ amarsi per istinto, ragione e consapevolezza.
    Una volta mi hanno chiesto se davvero fossero fatti l’uno per l’altra. Ho risposto di sì e ne sono ancora più convinto.

    Sì però adesso non facciamo scherzi: non è che una volta che sono state sistemate tutte le faccende in sospeso, me la pigliano come scusa e chiudono bottega senza fare la 9a. Vero?
    Ce n’è da dire, eccome se ce n’è. Con quei due lì ce ne sarà sempre. Lo si capisce ancora una volta (anche se io non ne avevo bisogno) in questo episodio, quando sono in scena loro due. E’ tutto un altro mondo, un’altra intensità, un’altra poesia. Io sono sempre pieno di dubbi e desidero aiuto e collaborazione, ma in questo caso nessuno mi convincerà mai del contrario.

    • A me piace che abbiano trattato il discorso “segreti e necessità di protezione” dicendolo in modo esplicito. È sempre stata una costante della loro storia e mi fa piacere che se ne siano resi conto (di amarsi al punto da tenersi nascoste le cose per proteggere l’altro. Parliamo sempre di tanto amore, ma che andava a creare problemi). Non avrei disdegnato nemmeno qualche puntata di “lotta interiore” di Castle, messo nelle stesse condizioni di Kate alla 8×02. Ma credo che il risultato dovesse essere questo, anche se lui doveva pensarsi, o se doveva farlo lei. Sono davvero contenta di come abbiano fatto passi avanti in questa stagione. Io voto sempre per altre, comunque 😉

      • Il risultato non poteva che essere questo. Credo che il loro rapporto ormai sia giunto ad un livello molto più alto e per questo non sono più necessari lunghi logorii interni. Ormai sanno ciò che vogliono, sanno che sono fatti l’uno per l’altra e che “si necessitano” a vicenda. Di conseguenza le decisioni (la cui soluzione in realtà è prevedibile e con una risposta ben chiara e definita in partenza e quindi nemmeno da prendere) richiedono tempi più brevi. Come ha fatto lui, dopo aver appurato il vero motivo della separazione, così ora ha fatto lei. E’ il risultato inevitabile della loro crescita.
        Secondo me in realtà dentro di loro sanno benissimo che non hanno più niente da decidere. Si vogliono, si amano e solo questo conta e supera qualsiasi incomprensione momentanea.
        Hai detto niente.

        P.S.
        Comunque per me Martha ha subdorato qualcosa (quando si volta indietro dopo aver visto 2 tazze…)

  5. Come sempre perfetta!!! Comunque a ripensarci questa cosa che le puntate su Beckett siano molto più approfondite e fatte bene di quelle su Castle, è strano. Sembra veramente che il personaggio a cui tengono di più sia Kate, oh non mi lamento sia chiaro. Stana fantastica come te Syl nell’analizzare la puntata.

  6. bellissima puntata e fantastica la tua recensione/riassunto/analisi.
    Come ha detto anche Val, la serie si chiama Castle, ma è Beckett il personaggio più “interiorizzato / sviscerato”: tutto ruota intorno a lei, Castle compreso.
    Visto come è andata questa puntata, chissà che ora non diventino due “stelle binarie”.
    Alla prossima!!

    PS: Tutta la faccenda di Locksat non mi è ancora chiara, ma fa lo stesso.

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