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Victoria | Recensione 2×08 – The Luxury of Conscience [Season Finale]

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Victoria | Recensione 2×08 – The Luxury of Conscience [Season Finale]

Sappiamo bene cosa si dice di tutte “le cose belle”, sono destinate a finire, presto o tardi. Credo sia necessario tenere bene a mente questa inevitabile verità universale, mentre ci si accosta al finale di stagione di “Victoria”, un episodio che racchiude tutto ciò che questa serie ha sempre voluto rappresentare, rispettandone fedelmente ogni componente, dall’accuratezza storica alla creatività originale di chi si appresta al racconto di questa storia con individuale personalità drammaturgica. Ma allo stesso tempo, esiste, almeno per me, un’altra verità incrollabile nel mio sistema di pensiero, poiché nonostante quella sensazione di vuoto che ogni fine puntualmente lascia in chi investe una parte di sé durante il viaggio, il traguardo, dolce o amaro che sia, mi ricorda sempre che “ogni canzone finisce ma non è questo un buon motivo per smettere di ascoltare la musica”. Questo finale di stagione è stato elegantemente estenuante, ha fatto più male di quanto avessi già messo in conto, e soprattutto mi ha trasmesso una sensazione di cambiamento quasi radicale, che personalmente mi spinge a discutere e formarmi un’opinione critica a riguardo, ma oltre tutte le emozioni impiegate soggettivamente in questo ultimo capitolo, non posso in tutta onestà non riconoscere uno straordinario equilibrio nelle scelte narrative che nel complesso, a mio parere, rendono la storia raccontata semplicemente GIUSTA in ogni sua evoluzione, anche in quelle che più mi hanno colpito e più avrei evitato anche a costo di cambiare la realtà dei fatti.

“For many years you were eveything to me…”

Ogni finale di stagione è per me tempo di bilanci, cerco ogni volta infatti di fare un passo indietro, distaccarmi per quanto mi sia possibile dal legame emotivo che creo con quelle storie che più diventano parte di me, asciugarmi le lacrime e osservare con relativa razionalità il percorso appena terminato e ciò che vedo chiaramente adesso, in tutte le tappe di questo secondo viaggio, è una donna, una giovane donna che stringe tra le sue mani un potere che appare illimitato, ma che in realtà si rivela spesso quasi imbrigliato da continui compromessi, a volte necessari a volte talmente asfissianti da trasformarsi in costanti battaglie che non sempre proclamano un vincitore. E questo è esattamente uno degli aspetti che più mi trasmettono a posteriori una sensazione di intensa malinconia, poiché ci ritroviamo di fronte a un cambiamento inevitabile, a una fase di transizione probabilmente necessaria ma che, col senno di poi, spezza un po’ il sorriso perché rende tremendamente evidente quanto anche la donna che dovrebbe possedere tutto ciò che desidera, è in realtà il frutto di continue rinunce, di sacrifici che spengono un po’ per volta la luce della sua innocenza di partenza e che, a lungo andare, la renderanno proprio quella persona distante e gelida che ci hanno mostrato finora.

Il bilancio del personaggio di Victoria in questa stagione è esattamente tutto ciò che ho appena descritto, ed è proprio quello che più mi colpisce emotivamente in questo momento perché mi rendo conto di quanto lei abbia perso progressivamente tutto ciò che di più bello e sereno c’era nel suo passato. In questa stessa stagione Albert ha ammesso davanti a Victoria che “tutto cambia, tranne noi” e, per quanto intensa e romantica possa essere questa verità, mi appare adesso anche un po’ tristemente profetica, perché mi sembra davvero che Albert sia ora tutto ciò che “resta” a Victoria.

Per quanto Victoria abbia lottato quotidianamente, a mio parere, in questa fase della sua vita, per mantenere vivi l’entusiasmo e la meraviglia che riempivano i suoi occhi, abbracciando ogni esperienza ed ogni possibilità e soprattutto rialzandosi dopo ogni caduta e ogni “processo” che inevitabilmente conseguiva alle sue azioni, credo che assistere quasi inerme alla perdita di tutti i ricordi più felici del suo passato rappresenti per lei una ferita costretta in qualche modo a rimarginarsi in fretta, ma che lascia le prime cicatrici che tempreranno nel tempo la donna che è destinata a diventare.

Con la morte di Dash, Victoria aveva perso il suo migliore amico, quello con cui era cresciuta sola a Kensington, quello che non l’aveva mai giudicata, quello che rimaneva al suo fianco anche quando tutto intorno le sembrava avverso, in definitiva con Dash Victoria aveva perso la sua via di fuga da una realtà a volte impossibile da sopportare. E nello stesso momento, Victoria si era ritrovata a dire addio a un’altra componente fondamentale della sua vita, colui che c’era stato e che l’aveva protetta quando tutti gli altri erano pronti come avvoltoi a planare su di lei, desiderosi di vederla cadere per prenderne il posto, quel posto per cui non credevano fosse all’altezza. Lord Melbourne è stato il primo uomo a credere in lei senza volere nulla in cambio, il primo a vedere la donna e la regina oltre la ragazza appena diciottenne e ancora un po’ immatura, l’unico a riconoscere quel potenziale innato che l’avrebbe resa il sovrano che lui vedeva in lei. Dire addio a Lord M ha significato lasciar andare il ricordo dei primi anni del suo regno, perdere chi era rimasto al suo fianco accettando qualunque ruolo lei volesse concedergli, ma soprattutto credo che in un certo senso Lord M sia stato in questo contesto la sua prima rinuncia, la prima testimonianza di quanto il suo ruolo e il suo potere non significassero affatto la totale libertà che da ragazzina sognava. E infine è arrivato anche il momento di Lehzen, il cui allontanamento ha definitivamente chiuso un capitolo della sua vita, lasciando alle spalle l’innocenza di un periodo formato da sogni, aspettative, prime volte ed emozioni sconosciute che la travolgevano e diventavano giorno dopo giorno passioni inarrestabili.

“I never wanted you to fall”

“I never did”

Il personaggio della Baronessa Lehzen è stato fin dall’inizio uno di quelli che più hanno fatto breccia nelle mie preferenze, non ho mai negato l’evidenza, e lo è stato perché in lei ho sempre visto quell’amore incondizionato e assoluto che solitamente si dovrebbe ritrovare negli occhi di una madre, ma che Victoria purtroppo non aveva mai provato nel contrastante rapporto con la Duchessa del Kent. Lehzen guardava e amava Victoria come se fosse una parte di sé, in qualche modo erano diventate l’una la famiglia mancante dell’altra, e avevano colmato col tempo tutti quei vuoti affettivi che vivevano quotidianamente, instaurando un rapporto di totale fiducia reciproca e soprattutto di puro amore familiare. Lehzen diventava per me, proprio per queste ragioni, il punto di partenza di Victoria, l’unica che l’avrebbe sempre capita e accettata anche quando il mondo intero sembrava non riuscirci, l’unica da cui Victoria sarebbe sempre tornata anche solo per sentirsi un’ultima volta semplicemente Alexandrina, non una moglie, una madre o una regina, ma soltanto una figlia alla ricerca di un abbraccio senza condizioni e senza regole. Le gravidanze, le paure, gli amori e gli sbagli, ogni sua emozione, ogni suo pensiero poteva essere libero nell’intimità del suo legame con Lehzen, quasi come se lo stesse confidando a se stessa, a chi non avrebbe mai smesso di guardarla con immenso affetto anche di fronte ai suoi errori più gravi e ai suoi lati più cupi.

In quello che senza dubbio è stato finora uno dei momenti più difficili da affrontare per Victoria in quanto donna, ciò che mi ha colpito maggiormente è stato notare quanto da un giorno all’altro lei si sia ritrovata a dover scegliere tra il suo ruolo di madre e moglie da una parte e quello di figlia dall’altra, una scelta a mio parere umanamente ingiusta soprattutto per chi aveva vissuto per troppo tempo priva di quell’affetto che a volte sembra quasi scontato. La malattia della piccola Vicky si carica in questo frangente di una valenza catartica, diventando il punto di rottura di un rapporto che non è mai decollato e di un ulteriore compromesso che Victoria si ritrova quasi “costretta” ad accettare per la salvaguardia di un amore che rappresenta ora la sua unica priorità. Nel perenne conflitto tra Lehzen e Albert dunque, Victoria occupa la scomoda posizione intermedia tra due caratteri forti che non hanno mai trovato il necessario punto d’incontro per convivere pacificamente e accettare i rispettivi posti nella vita dell’unica persona che li conduceva uno sulla strada dell’altra. Per quanto il ruolo di Lehzen nella quotidianità di Victoria possa apparire tanto “ingombrante” da indurla in uno sbaglio dettato più da un’ingenua ignoranza che da un’incompetenza in malafede, credo che paradossalmente forse il “limite” raggiunto dalla Baronessa riguardi in realtà proprio la sua estrema lealtà nei confronti di Victoria, una lealtà talmente assoluta da spingerla a volerla proteggere anche dall’uomo che ama ma che ai suoi occhi però appare intenzionato a controllarla per gestire in questo modo il suo potere, lo stesso tipo di “minaccia” dunque dalla quale Lehzen aveva cercato di proteggerla nel suo percorso di crescita a Kensington.

L’astio tra Albert e Lehzen mi sembra quasi “moderno” nella sua caratterizzazione, riscontrabile in una qualsiasi relazione in cui inevitabilmente la presenza della madre del marito o della moglie diventa genuinamente asfissiante nelle dinamiche matrimoniali e familiari, ma ciò che personalmente mi appare quasi inaccettabile è l’obbligo della scelta, è l’ultimatum concesso a una donna che già in ambito politico è spesso ostacolata e costretta ad accettare necessari compromessi senza che si ritrovi a dover vivere questa condizione anche nell’ambito più privato e intimo della sua quotidianità. E la verità di questa decisione impossibile gliela si legge negli occhi nel momento in cui accetta questa scelta per ciò che è in realtà: un sacrificio per il bene del suo matrimonio. Credo che lasciar andare Lehzen abbia rappresentato la rinuncia più straziante che Victoria abbia dovuto affrontare finora, lo si nota nel suo inutile tentativo di giustificarla con parole in fondo vuote, lo si vede chiaramente nello sguardo di chi ricorda ogni singolo giorno trascorso esclusivamente al suo fianco, ogni singolo momento in cui si era sentita al sicuro perché Lehzen era con lei pronta a sostenerla e a fare scudo davanti ad ogni pericolo. E ciò che si rivela più avvilente di questo ultimo confronto è testimoniare quanto Lehzen in realtà non abbia più davvero una famiglia da cui tornare perché la sua Alexandrina era ormai tutto ciò che aveva e l’unica famiglia per cui voleva esserci, la stessa a cui aveva dedicato gli anni migliori della sua vita.

Mentre guarda Lehzen che esce definitivamente dal suo mondo, credo che Victoria si renda conto di aver detto addio anche a una parte di sé perché in quel momento ha inesorabilmente perso tutti coloro che erano custodi di un promemoria costante della persona che era e di quella bambina che sognava la libertà nella solitudine di Kensington. Lehzen lascia Buckingham con accettazione, rimpiangendo anche il rapporto più conflittuale che aveva vissuto durante i suoi anni al servizio di Victoria, ma che proprio per questa longevità era diventato comunque parte della sua vita, ma nonostante tutto, nulla cambia nel suo sguardo e nel suo modo di amare senza riserve la giovane donna che era diventata la sua famiglia.

Inevitabilmente conflittuale è il mio punto di vista su Albert in questo frangente. Sebbene infatti legittima sarebbe stata la sua richiesta di un ridimensionamento della presenza di Lehzen negli affari più intimamente familiari, ciò che più mi ha lasciato perplessa è stata la natura del suo ultimatum, una decisione che onestamente mi è apparsa in realtà dettata e influenzata da una serie di eventi che avevano evidentemente turbato la sua quiete e che avevano raggiunto quindi il punto di rottura con la malattia di Vicky. La passione di solito accuratamente controllata di Albert ribolle con il ritorno di Leopold a Buckingham e più gli sembra che Victoria lo estrometta dalle questioni riguardanti l’educazione dei loro figli, più Albert rincara la dose della sua innata ribellione, nel tentativo di affermare la sua posizione nel matrimonio e nel regno, andando così inevitabilmente incontro a un errore politico guidato da una cieca irrazionalità causata dal suo bisogno di sfuggire a quello che gli appare come un tentativo di essere controllato da Victoria. In realtà però, credo che in questa situazione sia proprio Albert a risultare in un certo senso “vincitore” di questo confronto, ritrovando e accettando nuovamente nella sua vita la figura paterna di Leopold proprio nel momento in cui Victoria perde l’unica figura materna che aveva mai conosciuto.

E affrontiamo ora la seconda storyline [o forse la prima in ordine di feedback ricevuto] più intensa, devastante e per queste ragioni inevitabilmente complicata di questo finale. Personalmente credo che ci sia stato un problema di fondo nel modo in cui questa storia è stata accolta fin dal principio, causando un tale “attaccamento” alla rappresentazione di questo amore impossibile da far perdere forse di vista il quadro generale della situazione nel momento in cui la storia ha raggiunto il suo inevitabile epilogo. Per quanto mi riguarda però, così come ho già anticipato nella precedente recensione, credo che la storia tra Drummond e Alfred sia stata gestita proprio dal punto di vista creativo e drammaturgico in maniera esemplare. Innanzitutto infatti, compiendo sempre quel passo indietro per osservare il percorso della stagione in prospettiva, credo che individualmente i due personaggi abbiano ottenuto una rappresentazione impeccabile, usufruendo di uno spazio a loro dedicato ben definito e soprattutto di una caratterizzazione dettagliata e approfondita che ha permesso a entrambi di distaccarsi da un anonimo sfondo e costruire il loro ruolo in una sotto-trama che ha trovato il tempo di esprimersi anche in quegli episodi in cui forse poteva anche non rientrare [come nel caso del sesto episodio]. Per la prima volta infatti rispetto alla stagione d’esordio della serie, Lord Alfred ha avuto modo di mostrarsi in doti e aspetti che non avrei mai potuto riscontrare in lui se non fosse stato per la scelta di renderlo protagonista di questa svolta narrativa. Il suo provenire da una famiglia numerosa e sempre ben inserita nell’aristocrazia inglese, la conoscenza di vecchia data con Harriet, la sua sicurezza nei modi, il fascino di cui era prettamente consapevole, l’acume del suo sguardo rivolto in maniera a volte anche disillusa a una realtà che non sarebbe mai stata “adatta” per i suoi desideri più nascosti, sono tutti dettagli fondamentali nella caratterizzazione di un personaggio secondario che non si limita solo ad accompagnare la storia ma ne diventa relativamente protagonista, grazie proprio all’attenzione che gli viene riservata dallo scrittore.

Allo stesso modo, anche il personaggio di Drummond, nonostante sia stato introdotto per la prima volta in questa seconda stagione, è riuscito a mostrarsi con tridimensionale spessore, non soltanto dal punto di vista professionale, nel suo ruolo di Segretario Personale del Primo Ministro Robert Peel, ma anche nella sua più profonda umanità, apparendo inizialmente più introverso e chiuso rispetto alla sua controparte, ma rivelandosi nel percorso più incline ad abbracciare le sue passioni, ad accettarle totalmente anche a costo della sua carriera politica. L’aspetto che più mi ha affascinato del legame tra Alfred e Drummond stava proprio nelle loro differenze, nel loro modo di affrontare i reciproci sentimenti con tempi diversi ma anche con prospettive sulle rispettive realtà che sembravano collimare ma solo perché entrambi avevano ormai raggiunto una fase del loro rapporto in cui erano diventati l’uno la priorità dell’altro.


La rappresentazione dell’amore impossibile tra Alfred e Drummond, per quanto destinata fin dal principio ad andare incontro a un epilogo drammatico, sia per la reale dipartita prematura di Drummond, sia per la natura di una relazione che non sarebbe stata mai riconosciuta o accettata nel periodo storico e soprattutto nella società vissuta dai due giovani, è stata a mio parere non soltanto estremamente coraggiosa per un period drama [in Downton Abbey la sessualità di Thomas è stata rappresentata nella sua realistica e drammatica condizione di repressione] ma anche geniale per aver saputo convogliare in una storia unica la figura realmente esistita ma fondamentalmente sconosciuta di Drummond e l’evoluzione di due personaggi che hanno dato vita, individualmente e insieme, a un capitolo originale, inaspettato ma straordinario nella sua breve durata di questa serie.

E strettamente collegati a entrambi i personaggi e al tragico destino che li ha uniti sono le figure di Robert Peel e della Duchessa di Buccleuch.

Anche su Peel mi sono espressa nella mia precedente recensione, notando quanto mi abbia sorpreso non solo la sua caratterizzazione ma anche il mio modo di rapportarmi ad essa, un’evoluzione forse simile a quella vissuta da Victoria nei suoi confronti. Ma ciò che mi ha colpito particolarmente in questo finale di stagione è stata una consapevolezza che ho raggiunto solo di fronte alla conclusione del suo mandato da Primo Ministro. Ricordo bene infatti di non aver mai davvero apprezzato totalmente lo stretto legame di stima e amicizia che Peel e Albert condividevano, credendo erroneamente che per il Primo Ministro questo rappresentasse la leva giusta per sminuire l’autorità di Victoria con cui era perennemente in disaccordo e trovare invece il sostegno di cui aveva bisogno nel principe consorte, più simile e vicino a lui nelle idee sulla gestione del regno. Ciò che questo episodio mi ha chiaramente dimostrato invece è non soltanto la profonda stima che Peel e Victoria avevano imparato a nutrire l’uno nei confronti dell’altra, ma anche quanto in realtà il loro rapporto, soprattutto dopo la questione irlandese, abbia influenzato l’operato politico di Peel. L’umanità dimostrata dal personaggio in questo contesto mi ha spiazzato, lasciandomi estremamente sorpresa ma anche soddisfatta da un percorso che non credevo avrei potuto apprezzare tanto. L’impatto che la morte di Drummond ha avuto sulla vita privata e politica di Peel ha completato il ritratto di un uomo che aveva soltanto cercato di equilibrare nel migliore dei modi la sua coscienza e i suoi doveri nei confronti del partito, evidenziandone infine l’incredibile coraggio nel fare un passo indietro nel momento in cui si rende conto di non poter più subordinare la sua moralità a favore del posto di leader di un partito di cui in fondo forse non riconosceva più le linee guida.

Per quanto riguarda invece la Duchessa di Buccleuch, già in seguito alla seconda gravidanza di Victoria era diventato evidente quanto il personaggio fosse portatore di una saggezza che all’inizio sembrava solo accennata e che in seguito si è rivelata nella sua travolgente potenza, quando meno ce la saremmo aspettato. La scelta narrativa di lasciare a lei il compito di informare Alfred di quella notizia che lo avrebbe annientato è stata assolutamente straordinaria, perché solo la Duchessa ha avuto la forza di guardare e riconoscere il suo dolore per quello che era in realtà, un cuore spezzato, concedendogli un solo momento di controllata sofferenza straziante per poi ricordargli purtroppo il suo ruolo in quella storia e in una perdita che non può neanche vivere e affrontare come meriterebbe, da protagonista che ha appena perso l’uomo che amava.

Un destino avverso sembra abbattersi anche su un altro amore, un amore che sembrava finalmente pronto a mostrarsi al mondo in piena libertà e che invece subisce l’ennesima battuta d’arresto. Era onestamente elettrizzante e rinvigorente come una ventata d’aria fresca assistere alla rinascita dei personaggi di Harriet e Ernest, entrambi nuovamente vicini e presenti nella vita e nelle difficoltà rispettivamente di Victoria ed Albert [vederli tutti al capezzale della piccola Vicky pregando per la sua guarigione è stato forse uno dei momenti più belli dell’intero episodio] ma soprattutto finalmente liberi di vivere il loro amore senza restrizioni, un idillio però che quasi paradossalmente portava con sé già i sentori di una tragedia incombente. Il ritorno della malattia di Ernest infatti distrugge quello che appariva sempre di più come un sogno, gli porta via nuovamente il sorriso contagioso, l’entusiasmo per la vita e per la musica, la speranza di poter avere per una volta ciò che anche Albert aveva, un matrimonio fondato sull’amore. Per quanto forse avevamo visto arrivare anche questa tempesta, è stato svilente affrontare l’effettiva realtà della storia e testimoniare ancora una volta il fato avverso che ha allontanato nuovamente due personaggi che sembrano quasi destinati a pagare la bontà e la generosità che li caratterizzano.

E infine gli unici che riescono a trovare finalmente una parvenza di meritata serenità sono Skerrett e Francatelli, i personaggi che in questo finale si fanno portatori di luce e di quella positività che purtroppo è venuta meno a tutte le altre storie. Ciò che più amo sinceramente di questa coppia è l’innocenza, un’innocenza che non avrei mai creduto possibile riscontrare in loro all’inizio della serie, quando in un certo senso tendevo a vedere l’oscurità in tutto e tutti ma è questo ciò che mi fa perdere la testa di questo show, è la speranza che ancora mi trasmette, anche quando io per prima mi aspetto il peggio dai personaggi. Non solo Francatelli e Skerrett mi hanno dimostrato il contrario diventando quasi due adolescenti alle prime armi con le questioni d’amore, ma anche la giovane Wilhelmina mi ha sorpreso fino alla fine, perché mentre tutti noi ci aspettavamo una reazione negativa alla sua scoperta, lei si rivela degna nipote della Duchessa di Buccleauch, restando in silenzio accanto ad Alfred solo per lenire in parte il suo dolore.

 

È questo il motivo per cui su 16 episodi e 16 recensioni, non avete mai trovato una vera critica a questa serie da parte mia, perché “Victoria” ci mostra la parte migliore non solo della storia realmente accaduta ma anche dell’umanità stessa, anche quando deve smussare angoli di accuratezza per farlo. C’è chi mi ha rubato l’anima, c’è chi mi ha sorpreso, c’è chi… non rientra proprio tra i miei preferiti e c’è chi ha dato inizio a tutto questo, ma nel complesso “Victoria” è al momento uno dei pochi show in cui tutto mi appare tremendamente giusto e questo finale, ai miei occhi, non fa eccezione.

Con Victoria ci rivediamo a Natale con il primo episodio speciale della serie e non dimenticate di passare da questa splendida pagina Facebook dedicata a Jenna Coleman e da questa “piccolina” appena creata per la serie:

» take care of Jenna Louise Coleman. 

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Occasionale inquilina del TARDIS e abitante in pianta stabile di un Diner americano che viaggia nel tempo e nello spazio, oscilla con regolarità tra Stati Uniti e Gran Bretagna, eternamente leale alla sua regina Victoria e parte integrante della comunità di Chicago, tra vigili del fuoco (#51), squadre speciali di polizia e staff ospedalieri. Difensore degli eroi nell’ombra e dei personaggi incompresi e detestati dalla maggioranza, appassionata di ship destinate ad affondare e comandante di un esercito di Brotp da proteggere a costo della vita, è pronta a guidare la Resistenza contro i totalitarismi in questo universo e in quelli paralleli (anche se innamorata del nemico …), tra un volo a National City e una missione sullo Zephyr One. Accumulatrice seriale di episodi arretrati, cacciatrice di pilot e archeologa del Whedonverse, scrive sempre e con passione ma meglio quando l’ispirazione colpisce davvero (seppure la sua Musa somigli troppo a Jessica Jones quindi non è facile trovarla di buon umore). Pusher ufficiale di serie tv, stalker innocua all’occorrenza, se la cercate, la trovate quasi certamente al Molly’s mentre cerca di convertire la gente al Colemanismo.

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