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Veronica Mars | Capitoli 18 & 19

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Veronica Mars | Capitoli 18 & 19

VERONICA-MARS-COVER

CAPITOLO DICIOTTO

Il tema di quella sera era semplice: bikini. Solo per le ragazze, ovviamente: i ragazzi sembravano essere perfettamente felici con polo dal colletto sollevato e jeans larghi. Ma per poter entrare quando si aveva un paio di cromosomi X bisognava mostrare un po’ di pelle.
Veronica si muoveva lentamente tra la folla, con una borsa da spiaggia infilata sottobraccio come un salvagente. In quei giorni non aveva avuto molto tempo per prendere il sole ed era terribilmente consapevole del pallore della sua pancia. Eppure poteva avvertire sguardi che seguivano le linee del suo corpo sotto il suo bikini rosa, indiscreti e bramosi.
Mentre si faceva largo per la casa, manteneva gli occhi attenti ad ogni segno dei dreadlock biondo scuro di Willie Murphy. Il controllo sui suoi precedenti effettuato da Mac aveva messo insieme il ritratto di un criminale minore: pubblica ubriachezza, possesso, schiamazzi e molestie, sconfinamento. Aveva fatto dentro e fuori dalle celle della contea da quando aveva diciassette anni e il periodo più lungo era stato di sei mesi per possesso con lo scopo di vendita. Il suo ultimo indirizzo noto era un sudicio monolocale in fondo alla strada del Camelot, ma era stato sfrattato a gennaio. Da allora non aveva avuto una fissa dimora che fosse nota.
Veronica aveva preso in considerazione di chiamare Lamb, consegnandogli la sua nuova prova, ma poi aveva deciso di non farlo. Lamb non avrebbe voluto fare una retata alla festa. Avrebbe semplicemente fatto uscire la foto di Murphy su tutti i notiziari, dandogli l’occasione di fuggire. No, l’unico modo per ottenere delle risposte era parlargli prima che sapesse di essere ricercato.
Ora doveva solo trovarlo.
La casa era piena di svestiti corpi sudati, volti che lanciavano sguardi lascivi da ogni angolo oscuro in cui passava. La festa di quella sera, semmai, più frenetica di quella a cui era andata la notte prima. Per la maggior parte dei ragazzi era quasi la fine delle vacanze di primavera e sembravano determinati a sopportare la stanchezza, come se stare fermi avesse causato la fine di quel magico mondo fasullo in cui tutto sembrava bello e in cui non si doveva fare nulla che non si volesse. Nuvole di fumo si levavano dalla folla: Veronica intercettò una zaffata di tabacco e il dolciastro odore dell’erba e qualcos’altro, acre e chimico, come l’aria che si respira in un salone di bellezza da quattro soldi. Metanfetamina. Era incappata in quell’odore un’altra volta prima di allora, mentre era sulle tracce di un padre fannullone a Riverside e l’aveva trovato con in mano una pipa in un appartamento pieno di rifiuti.
Si schiacciò tra la folla, con gli occhi attenti. Una mandria di ragazzi muscolosi la sorpassò in corridoio pestando i piedi, cantilenando qualcosa che non riuscì a decifrare. In cucina era in corso una partita a strip poker e un ragazzo dal petto liscio era già rimasto senza maglietta. Una ragazza con addosso un bikini blu elettrico gli sedeva in grembo, con al collo un’incoerente cravatta di seta. Nella sala della musica un ragazzo dai lineamenti delicati sedeva su un tavolino dorato, con un amico che lo aiutava a fissare il pezzo di un tubo attorno al braccio.
Fuori, sul patio, inspirò profondamente aria pulita. Scese le scale fino al piano inferiore, dove la piscina era intorbidita dall’agitazione. Non c’era segno di Willie da nessuna parte, né dei cugini Gutiérrez. Allungò il collo per controllare la piscina e la Jacuzzi e per un momento dimenticò di guardare dove stava andando. Andò dritta contro qualcuno.
“Ow!”
“Oddio, mi dispiace tanto…”
Le parole le morirono sulle labbra. Proprio di fronte a lei, in pantaloncini da bagno e una collana di conchiglie puka, c’era Dick Casablancas.
Ebbe una reazione a scoppio ritardato. “Ehi, Ronnie,” disse lui. “Sai, questo non è proprio il posto in cui mi sarei aspettato di imbattermi in te.”
Il gruppo di ragazze che era con lui osservò Veronica con interesse. Lei rimase immobile sul posto, sperando, anche se sembrava impossibile, che non dicesse nulla di troppo stupido.
Conosceva Dick fin dal liceo; per un periodo, dopo che le sorti di suo padre erano cambiate in peggio, era stato uno di quelli che la tormentavano. Dopo che Veronica aveva iniziato ad uscire con Logan, che era il migliore amico di Dick, si era dato una calmata e, dopo un certo periodo di tempo, avevano stabilito una sorta di pace, anche se non era sicura di poterlo definire un amico. Era ricco e superficiale e aveva la profondità emotiva di un blocco di cemento; gli unici obiettivi che contassero per lui erano fare surf, bere e scopare.
In altre parole, non avrebbe dovuto essere così sorpresa di vederlo ad una festa organizzata dalla prole di signori della droga sulla spiaggia a mezzo miglio da casa sua.
“Ciao!” disse con la sua sincopata, radiosa voce da Amber-la-studentessa. “Questa festa non è fantastica?”.
Le lanciò uno sguardo confuso, vuoto. “Um, già. Ed è per questo che sono praticamente scioccato di vederti qui.” Si voltò verso il suo pubblico di ragazze in bikini. “Andavamo al liceo insieme. Immagino che voi ragazze foste, tipo, in quinta elementare? Pazzesco.”
Veronica lanciò uno sguardo alle ragazze: qualcuna la guardava male, con ostilità territoriale negli occhi.
“Comunque Ronnie è un’investigatrice privata,” disse ad alta voce, gesticolando verso di lei. Si piegò in avanti verso una delle ragazze, ridacchiando e dandole un colpetto con il gomito. “Mentre io non sono poi così privato, se capisci quello che intendo.” Le ragazze fecero una risatina mentre spingeva il bacino verso di loro.
Veronica lo afferrò per il braccio e lo tirò, barcollando, lontano dal gruppetto. Indirizzò un grosso, splendente sorriso alle ragazze da sopra la spalla, poi tornò a voltarsi verso Dick.
“Ehi, ehi, so che Logan è via da settimane, ma non posso venire a letto con te, non importa quanto ti senta sola.” Fece un sorrisetto affabile. “Gli amici vengono prima delle zoccole, capisci? Solo lavori di mano.”
“Taci,” gli ordinò. Manteneva un sorriso stampato in faccia, con gli occhi che guizzavano oltre il patio. “Sono qui per lavoro, Dick.”
Il suo sguardo si mosse sul suo corpo dall’alto al basso. “Bella uniforme.”
Gli diede un pugno sul braccio. Da lontano avrebbe potuto sembrare scherzoso. Dick si strinse il bicipite gemendo.
“Cacchio, che problema hai, Psicopatica al quadrato?”
“Senti, abbassa la voce, okay?” Stavano tornando indietro, camminando lungo il limitare del patio. Alla loro sinistra delle scale conducevano alla spiaggia buia. Oltre di essa l’oceano brillava dolcemente, il suono della marea completamente inghiottito dal fracasso della festa. Veronica rovistò nella sua borsa da spiaggia di paglia ed estrasse il telefono. “Mi serve il tuo aiuto. Hai visto questo ragazzo qui stasera?”
Diede un’occhiata alla foto sullo schermo, accigliandosi. “Quel tipo? Sì, l’ho visto. Gira sempre con Rico ed Eduardo.”
Veronica sbatté gli occhi. “Conosci i cugini Gutiérrez?”
“Sì, più o meno. Ho giocato a squash con Eduardo un paio di volte. È un povero sfigato, quindi ho smesso.” Scrollò le spalle. “Ha un brutto caratteraccio. Ha spaccato una racchetta da duecento dollari l’ultima volta che l’ho battuto. Ma il ragazzo sa come organizzare un party!”
“E Willie Murphy è un suo amico?”
Dick sbuffò. “Amici? No. Penso che sia tipo… un fattorino o qualcosa del genere. Lui raduna le persone per le feste e roba così.”
Lei rimase in piedi per un momento, la sua mente processava le informazioni. E se Willie stesse lavorando per i cugini Gutiérrez? Se si fosse sbarazzato di Hayley e Aurora sotto loro ordine? Poi, pensando di ricavare qualche soldo dal crimine, avrebbe preso la collana di Hayley e l’avrebbe venduta. Non è esattamente un comportamento da criminale astuto… ma d’altra parte non sarebbe il primo a incastrarsi così.
“L’hai visto qui stasera?”
“Sicuro.” Puntò il dito contro la terrazza “È proprio lì.”
Alzò lo sguardo e vide un’ossuta figura in pantaloni patchwork extralarge, i suoi dreadlock biondo scuro gli ciondolavano sulla schiena mentre attraversava le porte d’ingresso della casa.
Lasciò il braccio di Dick. Lui lo sfregò di nuovo, accigliandosi.
“Grazie Dick, devo scappare.” Fece qualche passo in velocità allontanandosi da lui, poi si girò. “Dick?”
“Sì?” chiese lui aggrottando le sopracciglia.
“Se qualcuno fa domande, il mio nome è Amber.”
Lui batté le palpebre poi scrollò le spalle. “Come ti pare, Rons.”
Lei si voltò nuovamente e salì i gradini, tanto veloce quanto glielo permettevano i suoi tacchi – e il bikini pericolosamente arrangiato sulla sua figura. Quando raggiunse le porte lui era già sparito nella casa.
Si guardò intorno nella cucina. Lo strip poker stava peggiorando, il ragazzo che solo poco fa era a petto nudo era rimasto solamente in boxer e un solo calzino bianco. La ragazza con la cravatta aveva un puzzolente sigaro tra i denti. “Avete visto un tizio con i dreadlock passare di qua? Dov’è andato?”
La ragazza indicò il corridoio che portava al fronte della casa con la punta fumante del sigaro.
Veronica si diresse all’ingresso, nel mezzo della folla.
All’entrata c’erano ragazzi che roteavano e urlavano come se il mondo stesse per finire, abbarbicandosi l’uno sull’altro. Non riusciva a vedere nulla data la sua altezza, ma guardando in alto riuscì a scorgere Willie Murphy che si dirigeva al piano superiore.
Una volta arrivata al secondo piano lo vide sparire dietro una doppia porta in fondo al lungo corridoio. Quando finalmente riuscì a farsi strada verso le porte le trovò chiuse a chiave.
Strinse le labbra guardandosi intorno. L’ingresso era pieno di persone e anche se nessuno sembrava essere interessato a lei, non voleva che qualcuno alzasse lo sguardo e la vedesse forzare l’accesso a una stanza bloccata. Specialmente non quei ragazzi, pensò, notando tra la folla un gruppo di ragazzi dal viso cinereo e un rigonfiamento tra le ascelle. Più muscoli, in caso servissero per controllare la folla.
Barcollò per le scale con uno sciocco sorriso da finta ubriaca. Si fermò un secondo sulla scala più bassa, facendo finta di aggrapparsi alla ringhiera in cerca di equilibrio. C’era solo un modo per farcela, ed era abbastanza rischioso. Avrebbe dovuto scegliere con cura il suo bersaglio.
Poi, prima che si togliesse l’idea dalla testa, si buttò a capofitto su un muscoloso ragazzo con una maglia della University Of Washington più forte che poteva.
La differenza fisica tra di loro era massiccia, a dire poco. Veronica gli arrivava a malapena all’ascella ma gettò comunque il suo esile peso nel suo centro di gravità. Lui barcollò in avanti di qualche passo poi si girò a vedere chi l’avesse colpito. Lei avrebbe potuto giurare di aver visto del vapore uscire dalle sue narici.
Veronica era sempre stata capace di fingere un paio di lacrime di coccodrillo. Ora le sue labbra tremavano e puntò il dito contro un altro tizio, un ragazzone con la coda di cavallo e una camicia abbottonata precariamente sul suo grosso petto. “Mi ha spinta lui,” singhiozzò. Gli occhi del giocatore di football si strinsero. L’aiutò a mettersi in piedi poi si diresse verso l’altro tizio e cominciò a urlargli in faccia.
Lei non riusciva a sentire cosa stessero dicendo a causa della musica, ma era facile capire cosa stesse succedendo quando il giocatore di football cominciò a colpire l’altro ragazzo con brusche spinte. Coda di cavallo non cedette. Il suo labbro si contorse in un ghigno selvaggio, poi fece volare un pugno.
Successe molto velocemente, tutti si spostarono verso le pareti della stanza, cercando di togliersi di mezzo e allo stesso tempo assicurarsi un buon posto da dove assistere allo scontro. Altri venuti da altre stanze allungarono il collo per vedere oltre la folla. Johnny Football aveva un bel montante e riusciva a incassare pugni come un professionista – ma a quanto pare coda di cavallo era un esperto di arti marziali. La sua gamba si levò in aria e sferzò un colpo alle ginocchia del giocatore e all’improvviso entrambi si ritrovarono sul pavimento, rotolando in giro in uno groviglio di membra. La musica attenuava il sordo, carnoso suono dei pugni. La folla esultò. Una fuga precipitosa di passi e cinque enormi bodyguard arrivarono correndo dalle scale. Tre di loro si affaticarono per allontanare la folla dalla rissa. Due tentarono di dividere i ragazzi. Veronica non si soffermò a vedere chi l’aveva avuta vinta.
Era proprio quello che aveva sperato – il corridoio al piano di sopra era quasi vuoto. Sentì dei rumori prevedibili provenire dalle camere da letto – gemiti, risate e miagolii – ma le porte che aveva attraversato Willie erano sprovviste di guardia. Accostò l’orecchio poi bussò. Una volta assicuratasi che non ci fosse nessuno dentro tirò fuori la forcina che portava sempre con sé e forzò la serratura. Quelle da interni erano piuttosto facili da sbloccare. Sentì la forcina muoversi fino alla fine della serratura poi la porta si aprì. Si infilò la forcina tra i capelli ed entrò, richiudendosi la porta alle spalle.
Rimase in piedi di fronte a un altro lungo corridoio, le pareti dipinte di un blu pavone e rivestite in legno lucido. Un tavolo sotto quello che sembrava un Picasso datato ed autografato reggeva un vaso di rose bianche e gialle, applique in vetro colorato illuminavano leggermente il corridoio. Da dentro una camera da letto riusciva a sentire l’attutito suono della musica. Si bloccò per un momento, cercando di capire da dove venisse. Non ci riusciva.
Parecchie porte erano aperte. Muovendosi più cautamente possibile cominciò a dare un’occhiata in giro.
La prima porta portava ad un bagno con le piastrelle verde acceso e ardesia scuro. I mobiletti sotto il lavandino erano vuoti, ma nell’armadietto dei medicinali c’erano una molteplice quantità di pillole – Dilaudid, Percocet, Oxy, e altre che non riuscì ad identificare – e un antico portacipria pieno di polvere bianca libera. Rimise attentamente tutto dove lo aveva trovato e chiuse l’armadio.
Un’altra porta si apriva su una piccola suite che sembrava essere uscita direttamente da Playboy Mansion. Un enorme letto rotondo occupava la maggior parte della stanza. Luci al neon rosse e verdi correvano lungo il muro a formare figure astratte, e nell’angolo stava un bar. In una stanza adiacente, una vasca in stile Jacuzzi gorgogliava quieta, già riscaldata.
Un gruppo di porte francesi stava aperto a mostrare la biblioteca che vi si trovava dietro.
Librerie di legno incassate si allineavano lungo le pareti, piene di pesanti tomi rilegati in pelle protetti dai vetri. I libri sembravano veri e propri oggetti da collezione, tenuti con grande cura.
Vide Aristotele, Erasmo, Machiavelli. Qualcuno era un classicista, o aveva i soldi per sembrarlo. Un fuoco scoppiettava in un enorme camino di pietra e i mobili erano lucidi e scuri.
Si mosse velocemente e in silenzio, tenendo in mano le sue scarpe con i tacchi alti in modo da non fare rumore sul parquet. Soltanto quando girò l’angolo nel corridoio capì da dove veniva la musica. Suonava da una porta semi-aperta, un infausto battere elettronico. Il cuore di Veronica martellava nelle sue orecchie, in sincrono con il ritmo della musica.
Trattenne il respiro e strisciò verso la porta aperta.
Conduceva in uno studiolo. Sulle pareti erano appese locandine cinematografiche: Scarface, Il Padrino, Quei Bravi Ragazzi. Dei faretti generavano un bagliore caldo e indiretto. Un largo divano scarlatto era posto di fronte a una TV al plasma montata sul muro. Sul divano sedevano due uomini, entrambi intenti a giocare con un videogioco, con le spalle rivolte al muro. Uno di loro aveva corti e lucenti capelli scuri.
L’altro era un germoglio di selvaggi dreadlock biondo sporco.
La testa mora si chinò per un momento. L’odore di marijuana riempì improvvisamente la stanza. Riuscì a sentire il suono gorgogliante di qualcuno che faceva un tiro profondo e impegnato.
“Non mi sto lamentando, amico,” disse Willie Murphy. Parlava veloce, con un chiacchierio melodioso e insistente, senza mai distogliere gli occhi dallo schermo, dove un soldato robusto sparava una scarica di proiettili su un alieno. “Per me siete come una famiglia, sapete? Voglio dire, qualunque cosa vogliate e qualunque cosa io possa fare, la farò.”
Veronica guardò Rico Gutiérrez Ortega che inclinava la testa all’indietro ed espirava il fumo.
“Ti hanno mai detto che parli troppo?” disse, infine, quando i suoi polmoni si liberarono.
Il sangue pulsava alle tempie di Veronica mentre faceva qualche passo indietro e usciva dalla stanza. Tirò fuori il telefono con dita tremanti e poi, premendo il pollice sull’altoparlante del telefono per silenziarlo, digitò il numero di Lamb.
Suonò sei volte. Richiuse il telefono con le mani ormai esangui, chiedendosi se avesse visto il suo numero e se la stesse ignorando. Non voleva chiamare il 911, non c’era un’emergenza da segnalare e nel tempo che ci avrebbe messo a convincere il centralino che la cosa aveva a che fare con le ragazze scomparse, sarebbe potuto essere troppo tardi.
Proprio quando stava per perdere le speranze, rispose.
“Cosa c’è?” La sua voce era brusca e sprezzante. Chiuse gli occhi, ringraziando qualunque alto potere lo avesse convinto a rispondere.
“Lamb, sono Veronica Mars. Questo pomeriggio ho trovato una pista su un sospetto che era stato ripreso mentre vendeva la collana di Hayley Dewalt due giorni dopo la sua scomparsa. Un ladruncolo di nome William Murphy, Mac può darle i dettagli. Sono nella villa dei Gutiérrez in Manzanita, e lui è qui. È in una delle stanze sul retro che gioca con i videogiochi insieme a Federico.”
Per un istante, dall’altro capo del telefono ci fu silenzio. Dallo studiolo veniva il suono di qualcosa che esplodeva sullo schermo; entrambi i ragazzi grugnirono forte. Veronica attese.
“Quindi vuoi che irrompa in una proprietà privata, senza un mandato, perché qualcuno potrebbe o non potrebbe aver rubato una collana? Ti sei bevuta il cervello, Mars.”
Veronica rafforzò la presa sul telefono. “C’è una festa grandissima al piano di sotto. Ho contato almeno una cinquantina di leggi infrante. Ha più di una plausibile occasione per oltrepassare la porta.”
“Ma cosa ne sai se questo ragazzo ha ottenuto la collana da Hayley? Cosa ne sai…”
“Lamb, è la sua occasione,” sibilò, perdendo la pazienza. “Posso provare che Willie Murphy aveva la collana di una ragazza scomparsa. Vuole lasciarselo sfuggire dalle mani? O vuole essere il dannatissimo grande eroe che mette nel sacco il cattivo? Non so quanto tempo ancora resterà qui, si deve muovere!”
Lui stette in silenzio per un altro secondo.
“Ok. Tienilo d’occhio. Arriviamo.”
Dopodiché attaccò.
Tornò indietro, rigirando l’angolo. Willie stava ancora parlando: “… ci pensi mai che potremmo essere tutti provviste per alieni? Tipo che magari la Terra è solo un’enorme riserva di caccia e gli alieni di tanto in tanto tornano e si assicurano che abbiamo abbastanza di cui vivere e che siamo abbastanza sani per procreare e per prendere un paio di milioni di noi come cibo? Una volta ho visto un programma su Discovery Channel sulle persone che credono di essere state tipo addotte dagli alieni e merdate del genere. Ma forse le sonde anali sono tipo il loro marchio. Ti mettono una vecchia doppia barra su per il culo e quello è il loro modo di marchiarci come loro proprietà.”
Rico rise selvaggiamente. Uno dei soldati sullo schermo esplose in un bagno di sangue, e metà schermo divenne nero, le parole GAME OVER in rosso. Nessuno dei due posò il controller – entrambi pensavano di stare giocando con il personaggio sopravvissuto.
I minuti passavano lentamente. Lei stava alla porta, con la speranza che nel bel mezzo dei loro discorsi a vanvera da strafatti dicessero qualcosa su una delle ragazze. Si aspettava di sentire le sirene, urla attraverso il megafono, il party che veniva invaso. Willie e Rico continuavano a premere i pulsanti sui loro controller, urlando ogni volta che uno di loro moriva.
“Cazzo, amico, ti ho pwnato di brutto,” lo schernì Rico.
“Il controller non funzionava, era tipo inceppato o qualcosa del genere.”
“Certo, certo.” Un colpo di mitragliatrice, poi: “Cavolo, amico, continuo a pensare a quella ragazza portoricana nel bikini rosa.”
“Quella con la frangetta?”
“No, quella con il piercing all’ombelico. Carina, carina, carina.”
Willie rise così tanto che iniziò a tossire. “Amico, ti ha dato del cazzone. Non penso tu le piaccia molto, amico. E poi sta con tipo venti amiche. Non c’è modo di beccarla da sola.”
“No, amico, ascolta – ecco che facciamo. Andiamo al garage a prendere la Ferrari. Poi la guidiamo fino al patio con i bassi che suonano. Verranno a frotte. Alle gallinelle piacciono le Ferrari.” Alzò il controller e schiacciò più volte su uno dei pulsanti. “Poi le carichiamo e le portiamo da Taco Bell.”
“Taco Bell? Amico, giù ci sono robe tipo salmone, e asparagi in olio di tartufo e crudité. Perché diavolo vuoi portarle da Taco Bell?”
Rico fece spallucce. “Mi piacciono i loro chalupas.”
La voce di Willie divenne sognante. “Oh, sì. Quelli sono fantastici.
Rico si alzò a metà, poi crollò di nuovo sul divano, ridendo istericamente.
Oh, merda. I fattoni si stanno spostando. Willie stava aiutando Rico ad alzarsi. Non molto velocemente, né efficacemente… ma sono comunque in movimento. È tempo di uscire.
Fece qualche passo indietro, poi girò sui tacchi e tornò in una delle altre stanze, nascondendosi dietro la porta mentre loro passavano. Svoltò l’angolo e si spinse nella libreria…
… dritta contro Eduardo.

 

CAPITOLO DICIANNOVE

Un breve e acuto urlo le scappò dalle labbra prima che potesse controllarsi. Eduardo la afferrò per il braccio, le dita che premevano sulla sua pelle nuda. La trascinò nella sala della biblioteca.
“Come cazzo hai fatto ad arrivare qui?” sputacchiò. Istintivamente lei cercò di allontanarsi da lui, ma lui la teneva stretta.
Dal corridoio arrivava il rumore di passi. Rico fece irruzione nella stanza, con Willie dietro.
“Cosa succede?” Rico si fermò e li fissò. Dietro di lui Willie impallidì, gli occhi sgranati.
Eduardo la scosse violentemente. I denti di lei sbatterono per l’impatto. Emise un altro piccolo gemito di dolore, il respiro corto e tremolante.
Questa piccola stronza stava ficcando il naso dove non avrebbe dovuto.” Le parole gli uscirono come un fiume, un fuoco rapido dalla sua bocca. Tirò sul col naso rumorosamente. “Che cavolo, Rico? È una delle tue? Non puoi lasciare che la gente se ne vada in giro così.”
Tirò di nuovo su col naso, come se fosse allergico a qualcosa presente nella stanza.
Pupille dilatate, naso che cola, fiumi di parole: qualcuno aveva appena assaggiato il prodotto dei propri traffici. Lo sguardo le finì su di un brutto orologio dorato sopra il camino, nel quale cherubini nudi si indicavano il viso. Erano appena passate le dieci e mezza – ovvero quasi quindici minuti da quando aveva chiamato Lamb.
Rico alzò entrambe le mani. “Non sono stato io. Non l’ho mai vista.” La scrutò attentamente, le palpebre pesanti. “Me la ricorderei.”
“Eduardo, amico, credo che tu le stia facendo male,” disse Willie, la voce che faceva trasparire disagio. “Perché non la lasci andare?”
“Chiudi quella cazzo di bocca, Willie.” Eduardo tirò Veronica più vicina al suo corpo, il proprio viso a pochi centimetri da quello di lei. Le chiacchiere leggere e da flirt della sera prima erano solo un ricordo. Questo Eduardo era teso e aggressivo. I tendini gli si tesero sul collo e nelle braccia, e si poteva vedere il segno delle dita che si era passato fra i capelli. Fra questo e gli occhi sporgenti, sembrava abbastanza fuori di testa.
Le salirono le lacrime agli occhi, ma non tentò di nasconderle. Voleva sembrare il più indifesa e meno minacciosa possibile.
“Non ti ricordi di me? Abbiamo chiacchierato l’altra sera, a bordo piscina. Stavamo per fare una passeggiata sulla spiaggia ma ero qui con il mio ragazzo. Sono tornata stasera per te. Non volevo fare niente di male.”
“Credi che sia una sottospecie di idiota?” esclamò. “Voglio sapere per chi lavori!”
Lei guardò verso Willie e Rico. Non sapeva cosa sperasse di trovare sui loro volti – comprensione magari, o anche esasperazione. Invece Willie aveva sapientemente distolto lo sguardo, i suoi occhi da coniglio che saettavano per tutta la stanza come se stessero cortesemente cercando di non vedere la maniera con la quale Eduardo le stava stringendo il braccio. Rico d’altro canto ridacchiava istericamente. Sembrava quasi che pensasse di star per ricevere un regalo.
“Mi dispiace molto,” sussurrò lei. La vista le si appannò per un momento e una lacrima le scivolò lungo la guancia. Cerco di controllarsi e di rimanere concentrata. “Non volevo fare nulla di male. Per favore, lasciami andare e me ne tornerò giù alla festa. Non ti disturberò più. Me ne andrò del tutto se vorrai, non tornerò più.”
“Hey amico, mi sembra giusto.” Willie spostò il peso da una gamba all’altra. “Non ha fatto del male a nessuno. Riportiamola fuori e lasciamola in pace.”
“Vattene, Willie.” Stavolta fu Rico a parlare, la sua voce bassa e lenta. “Abbiamo bisogno di privacy.”
Willie si passò la lingua sulle labbra. Le arrivò una zaffata di sudore e patchouli mentre si grattava il collo con una mano.
“Certo, Rico. Certo. Volevo solo… torno alla festa, okay?”
Si diresse verso la porta, inizialmente piano, come se non potesse avanzare più in fretta. Poi sparì lungo il corridoio. Veronica sentì una porta in lontananza aprirsi e richiudersi. E poi si ritrovò da sola con i cugini Gutiérrez.
Rico chiuse le doppie porte della biblioteca con un leggero click. Eduardo rimase immobile, gli occhi ancora fissi in quelli di lei, la presa sicura.
“Non capisco cosa abbia fatto di male,” disse Veronica senza convinzione. “La porta era aperta. Sono solo entrata e ho dato un’occhiata in giro.”
“La porta non era aperta, mamì.” Improvvisamente la lasciò andare. Lei si fermò stupita a pochi passi, massaggiandosi il braccio, mentre un sorriso lupesco si faceva strada sul volto di lui. Somigliava molto al sorriso che le aveva rivolto la sera prima, sulla terrazza. Entrambe le volte si era sentita come una preda, ma stavolta poteva sentire i denti.
“La porta non era aperta, lo sappiamo entrambi. Quindi perché non la fai finita?” L’ultima parola gli uscì in un urlo e facendo qualche passo avanti buttò giù un mucchio di libri da uno scaffale, facendoli finire in terra. Rico le girò intorno dall’altro lato, guardandola con un’espressione stupidamente divertita.
Lei fece un passo indietro e sentì uno scaffale premerle contro la schiena. Rico rise, fermandosi a poca distanza da lei. Lei cerco qualcosa, qualunque cosa, che potesse essere usata come arma, ma c’erano solo libri dietro di lei.
“Chi… ti… ha… mandata?” La voce di Eduardo diventò un urlo furioso. Si sporse verso di lei, le labbra piegate in un ghigno. Lei si scostò, inciampando in uno dei libri caduti.
“Non so di cosa tu stia parlando!” strillò. Passò lo sguardo dall’uno all’altro, genuinamente confusa. Sapevano che era un’investigatrice privata? Pensavano che fosse una poliziotta?
“Non ci renderà le cose facili, Eddie,” disse Rico con tono profondo. Sogghignò. “Ma le renderà divertenti.”
Quando lei guardò Eduardo, lui stava cercando di afferrare qualcosa dietro di lei che non riusciva a vedere. Un istante dopo, il cuore le sobbalzò dolorosamente nel petto.
Aveva un coltello.
“Con chi stai? I Sonoras? Gli Zetas?” Eduardo si rigirò fra le mani il coltello, la luce proveniente dal camino che riversava su di essa ombre mutevoli. Era un coltello Bowie, lungo sei pollici, e lo teneva in mano pronto all’uso. “Los Caballeros Templarios?”
Lei lo fissò a bocca aperta, il cervello in fiamme. Pensava che fosse un’assassina? Che provenisse da un cartello rivale? Era assurdo. Senza dubbio assurdo, da manicomio proprio. Ma lui era serio. Una sensazione di panico iniziò a farsi strada nel petto di Veronica, facendo pressione sui suoi polmoni, sul suo cuore.
“Non sto con nessuno,” sussurrò. Prese mentalmente le misure della stanza nella quale si trovava. Rico ed Eduardo la circondavano, a pochi passi di distanza. Dietro di lei c’erano scaffali pieni di libri; di fronte a lei una chaise longue sulla quale si sarebbe potuta buttare. Ma quanto era rapido lui con il coltello? Lo teneva come se l’avesse già usato in precedenza. Non era sicura di riuscire a raggiungere la porta.
“È quello che dicono tutti,” disse Rico. Sogghignò, e lei credette di vedere un lampo malizioso nei suoi occhi. Non pensa che io appartenga a un cartello, comprese. Sta solo supportando Eduardo perché crede sia divertente. Il pensiero non la fece stare meglio.
“Sappiamo che la tua gente è in città da un po’.” Le pupille di Eduardo erano così dilatate che poteva vederci riflessa l’intera stanza. Lui si asciugò il naso velocemente con il palmo della mano sinistra. “Osservando, aspettando un’opportunità. Aspettando l’occasione di mandare un messaggio a El Oso.”
Veronica si chiese se fosse questo ciò che era capitato a Hayley. Ad Aurora. Se invece di aver visto qualcosa che non dovevano, fossero semplicemente state vittima della paranoia di Eduardo e della sete di sangue di Rico. Fece un passo di lato e urtò un piedistallo pesante con sopra un dizionario. “Non so di cosa tu stia parlando.”
“Smettila.Di.Mentire.” La voce di Eduardo si alzò in un urlo rabbioso. Vide le sue gambe tendersi un secondo prima che la attaccasse, e colse la sua unica e disperata possibilità, ovvero lanciarsi sulla chaise longue nella speranza di poterla scavalcare. Ma un pugno si chiuse sui suoi capelli. Venne spinta indietro, contro al petto duro e pesante di qualcuno. Si ritrovò con il coltello puntato alla gola.
“Dimmi chi ti ha mandato.” Il respiro di Eduardo era caldo contro la sua guancia.
“Nessuno!” Il cranio le bruciava. Si dimenava nella sua presa, lottando per liberarsi, ma lui la teneva ferma.
Sentì la punta della lama premere nella sua pelle. Un po’ di sangue colava lungo la gola. “Dimmelo!”
Non rispose. Chiuse gli occhi e aspettò il dolore.
Poi un’esplosione di rumori invase la stanza.
Le porte francesi si aprirono. Un gruppo di ragazze entrarono, ridendo e spingendo. In testa al gruppo c’era Willie Murphy, sembrava che stesse guidando una banda, facendo segno di seguirlo. Per assurdo, in fondo al gruppo c’era Dick Casablancas, un bicchiere di plastica in mano. Il suono della musica nel corridoio entrava nella stanza.
“Da questa parte, signorine – qui dentro c’è più Crystal!” Willie aprì una bottiglia di champagne. Dietro di lui il gruppo esultò. Face segno verso una ragazza dai capelli scuri con un bikini rosa acceso. “Rico, amico, guarda chi ho trovato. Selena è d’accordo con il nostro piano per Taco Bell, fratello!”
La presa di Eduardo si sciolse, il coltello lontano dalla vista della folla. Appena fu libera, Veronica andò da Dick. “Dick, tesoro, dove sei stato? Ti stavo cercando dappertutto.”
Lui tentò di fare un passo indietro istintivamente mentre lei stava avanzando, ma gli mise le braccia al collo portandoselo verso di lei. Gli diede un po’ di baci, e mentre si alzò per dargliene uno sulle labbra, vide i suoi occhi azzurri, spalancati in terrore.
Ma Eduardo non stava nemmeno guardando a Veronica e Dick. Aveva occhi solo per Willie.
Per un momento, vide la faccia di Willie. Era pallido e i suoi occhi erano spalancati e si guardava intorno. Le sue mani tremavano così tanto che non riusciva a versare lo champagne.
Sembrava spaventato quasi quanto si sentiva Veronica.
Qualche bodyguard arrivò tentando – e fallendo – di spostare tutti nel piano principale. Le ragazze salivano sulle sedie antiquate, muovendo i fianchi a ritmo della musica che si sentiva dall’altra stanza. Una palla da spiaggia gonfiabile face la sua comparsa muovendosi nella stanza grazie ai colpi della gente. Rico stava già chiacchierando con un gruppetto di ragazze, distratto facilmente dalla sete di sangue alla prospettiva di conquistarle.
E poi un altro rumore invase la stanza.
“Attenzione. Attenzione. Evacuare la zona immediatamente. È un ordine. Ripeto: questo è un ordine.”
Megafoni. Voci meccaniche.
L’inferno si gelò. In un attimo, gli spring breakers si misero in moto, alcuni correndo verso la porta, altri fermi sul posto terrorizzati. Dick lasciò Veronica, un po’ perplesso. Veronica vide Eduardo fare un passo indietro con le mani alzate e un’espressione rassegnata in volto. Rico grugnì, annoiato, quando il gruppetto di ragazze si disperse.
Willie Murphy, invece, reagì con il panico di un uomo a cui danno la caccia da tutta la vita. Corse verso la porta in cieco terrore. Schivò un ufficiale dallo sguardo bruto, per essere fermato da un altro con un manganello in mano. Tornò indietro, gli occhi si muovevano come un animale in gabbia. Veronica vide il familiare lampo di un taser, e Willie cadde a terra.
All’improvviso arrivò Lamb, megafono in mano. La sua voce si espanse dolorosamente attraverso la stanza. Alcuni dei ragazzi rimanenti si coprirono le orecchie, rannicchiandosi.
“Liberate la stanza. Andate, gente, è l’ultimo avviso o usiamo i lacrimogeni. Andate all’ingresso dove i nostri amici poliziotti vi verranno incontro. Forza.”
Qualche passo più in là, uno dei poliziotti stava mettendo le manette a Willie.
“Willie Murphy, sei in arresto. Hai il diritto di rimanere in silenzio. Tutto quello che dirai potrà essere usato contro di te in tribunale. Hai il diritto di avere un avvocato. Se non puoi permettertelo, te ne daremo uno d’ufficio. Hai capito i tuoi diritti?”
Lamb tolse il megafono dalla bocca, avvicinandosi per parlare con Eduardo che annuì a qualsiasi cosa gli fosse stata detta. Un’ondata di rabbia si impadronì di Veronica. Lamb la guardò male quando la vide.
“Mars. Sempre in mezzo, vedo. Avresti dovuto lasciarci lavorare.”
Puntò il dito vero Eduardo. “Questo stronzo mi ha puntato un coltello alla gola, Lamb. Voglio sporgere denuncia.”
Lamb guardò Eduardo, poi mise una mano sulla schiena di Veronica e la spinse verso la porta. “Forza, Mars, è stata una notte folle per te. Non diciamo nulla di cui potremmo pentirci.”
Veronica se lo tolse di dosso. “Mi prendi in giro? Mi ha aggredito. Mi ha ferito. Fai il tuo cazzo di lavoro e arrestalo!”
Eduardo fece un passo in avanti velocemente, guardando Lamb con uno sguardo confuso. “Sceriffo, ho fatto quello che la ragazza dice. Mars, è il suo nome vero? Ho reagito male. L’ho trovata nelle mie stanze private e ho pensato fosse un’intrusa. Non sapevo fosse una sua amica.”
La bocca di Veronica si spalancò. Ma Lamb sogghignò.
“Ti ho detto di non andare in giro per le case della gente, tesorino. Cavolo, potrei arrestarti per irruzione, lo sai?”
“Non ce n’è bisogno,” disse benevolo Eduardo. “È stato un errore in buona fede.” Face un piccolo inchino a Veronica, un sorrisetto beffardo sulle labbra.
Lei guardò i due uomini, ora in piedi vicini, che parlavano a bassa voce di Willie Murphy. Willie Murphy, il bamboccio che poteva spremere senza l’aiuto della polizia – e senza far arrabbiare il cartello.
Poi deglutì. La rabbia, la paura – andarono giù duramente. Si formò un nodo allo stomaco. Non parlò ma lasciò che il poliziotto la scortasse fuori dalla porta e giù dalla scale, verso l’aria pulita e fresca.

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Nella sua testa vive nella Londra degli anni cinquanta guadagnandosi da vivere scrivendo romanzi noir, nella realtà è un’addetta alle vendite disperata che si chiede cosa debba farne della sua laurea in comunicazione mentre aspetta pazientemente che il decimo Dottore la venga a salvare dalla monotonia bergamasca sulla sua scintillante Tardis blu. Ama più di ogni altra cosa al mondo l’accento british e scrivere, al punto da usare qualunque cosa per farlo. Il suo primo amore telefilmico è stato Beverly Hills 90210 (insieme a Dylan McKay) e da allora non si è più fermata, arrivando a guardare più serie tv di quelle a cui è possibile stare dietro in una settimana fatta di soli sette giorni (il che ha aiutato la sua insonnia a passare da cronica a senza speranza di salvezza). Le sue maggiori ossessioni negli anni sono state Roswell, Supernatural, Doctor Who, Smallville e i Warblers di Glee.

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