Home Netflix Tribes of Europa – Recensione stagione 1: un cocktail shakerato male

Tribes of Europa – Recensione stagione 1: un cocktail shakerato male

0
Tribes of Europa – Recensione stagione 1: un cocktail shakerato male

Tribes of Europa – Recensione stagione 1: un cocktail shakerato male

Nel 2029, in quello che viene ricordato come “dicembre nero”, c’è stato un blackout a livello globale che ha fatto precipitare l’Europa nel caos. Nel 2074 la popolazione europea è divisa in tribù, ognuna delle quali vive secondo il proprio codice e distante dalle altre. La vita scorre normalmente, per quanto possa essere normale in uno scenario post apocalittico, fino a quando una navicella atlantidea non si schianta nel territorio della tribù degli Origini, dando inizio alla caccia alla tecnologia in essa contenuta da parte di tutte le altre tribù. Queste, in breve, le premesse a Tribes of Europa, che segue le avventure di Liv, Elja e Kiano – tre fratelli della tribù degli Origini – dopo che il loro villaggio viene attaccato dalla tribù dei Corvi che è alla ricerca del manufatto atlantideo.

 

✔ La Berlino post apocalittica, costruita benissimo. Possiamo riconoscere facilmente ogni angolo di Brahtok pur nella devastazione e nell’abbandono.
✔ I costumi. Dal punto di vista scenico le tribù sono caratterizzate in maniera ottima.
✔ La colonna sonora, super azzeccata.

✘ I dialoghi sono di una banalità che ti fa quasi credere che il target generale della serie sia moooolto basso a livello di età, tipo undici anni, massimo. Eppure non è così, sono semplicemente scritti male.
✘ Introducono un sacco di spunti narrativi e non ne sviluppano mezzo, e questa è una cosa che tendenzialmente mi fa esplodere.

Tribes of Europa – Recensione stagione 1: personaggi e scene deboli

Moses e Elja – Sono gli unici due ad avere un senso, e il loro rapporto è l’unico a reggersi in piedi, narrativamente parlando. Anche se Moses è uno stereotipo ambulante e su Elja si poteva lavorare di più.
David – A me ricorda il Billy Russo di The Punisher, solo un po’ meno psicopatico (forse). Se non altro, in mezzo a un insieme di personaggi che si muovono a casaccio, lui ha ben in mente i propri obiettivi e sa fin dove è disposto a spingersi pur di raggiungerli.

✔ Vorrei potervi fare un piccolo elenco di scene non dico memorabili, ma almeno degne di rimanere impresse nella memoria, ma non ci riesco. Il vuoto.

Tribes of Europa – Recensione stagione 1: un cocktail shakerato male

Prendiamo Hunger Games, poi Divergent, poi un po’ di mitologia a caso, qualche elemento chiave del filone fantascientifico. Buttiamo tutto in uno shaker e agitiamo. Agitiamo molto e soprattutto male. Ecco a voi, Tribes of Europa. Liv è una Katniss Everdeen wannabe, con la sua balestra, la sua volontà di scendere in guerra (ma solo e soltanto finché c’è bisogno di proteggere la propria famiglia), e il suo ripudiare il Gale di turno perché è un guerrafondaio. Gli Origini sono gli Abneganti di Divergent, con tanto di colpo di scena che vede i figli del capo tribù andare a legarsi a fazioni differenti una volta lasciato il nido – compreso di fratello che sceglie, suo malgrado, quella peggiore di tutti. Atlantide è un mito divenuto realtà e che è destinato a salvare l’Europa da una non meglio specificata minaccia incombente dall’oriente.

Tribes of Europa – Recensione stagione 1: le potenzialità sprecate

Io da uno come Philip Koch, sinceramente mi aspettavo di più. Non dico che avessi chissà che aspettative, la trama di per sé non aveva nulla di originale, però speravo in una scrittura nettamente migliore. E invece è tutto buttato lì un po’ a casaccio. Come dicevo prima, tantissimi spunti interessanti ma zero sviluppo. Ve ne elenco giusto alcuni:

  • gli Origini ripudiano la tecnologia, e questo poteva portare a possibilità dal potenziale elevatissimo per Elja che si ritrova destinato a custodire e proteggere il cubo degli atlantidei. E invece il ragazzo sembra aver vissuto tutta la sua vita all’interno della Nasa invece che in una foresta, visto che non fa una piega (credibile) di fronte a nulla.
  • Kiano viene fatto prigioniero, schiavo, stuprato, vede morire il padre a causa sua, passa sostanzialmente da una vita tranquilla e pacifica all’esistenza peggiore che uno possa immaginare e non so, ha questa espressione da pesce lesso sempre stampata in volto. Fa quello che deve fare per sopravvivere – e ci sta, non dico che non ci stia – ma a parte questo il vuoto cosmico: sembra non avere un piano, si lascia trasportare dagli eventi, sembra una marionetta.
  • La società è basata sul sistema delle tribù e si continua a a ripetere che ognuna di queste ha i propri valori, ma dopo sei episodi continuiamo a non sapere quali essi siano: ci vengono snocciolati in tono enciclopedico quelli degli Origini all’iniziazione di Elja, poi stop. Dei Corvi, nonostante abbiano una parte rilevantissima nella trama, si sa solo che sono dei pazzi e che non mentono – e qua ridiamo tantissimo perché hey, sono dei bastardi sanguinari e psicopatici ma almeno sono sinceri! I Crimson non si capisce da che parte stiano, sono a tutti gli effetti dei soldati ma poi il loro generale è un pacifista negoziatore. Le Femen sono le amazzoni, e l’avevamo capito anche senza il bisogno di introdurle nel finale a salvare Liv, anche lì, completamente a caso.
  • Grieta a cosa ci serve? A farci vedere un po’ di sisterhood insieme a Liv? A farci la lezioncina su come i Corvi almeno abbiano la sincerità dalla loro parte, anche se lei sembra l’unica Corvo a vivere secondo questo principio? A mostrarci come una guerriera fiera e potente si lasci intortare come niente da una ragazzina senza arte né parte?
  • Infine c’è il famoso cubo atlantideo, che tutti vogliono ma nessuno sa a cosa serva. Esattamente come tutti parlano del dicembre nero, ma nessuno sa cosa sia accaduto realmente, e come tutti temono la non meglio specificata minaccia proveniente dall’oriente – il Covid magari? Tanto, nonsense per nonsense per tre virgola quattordici magari fa l’area di qualcosa di sensato.

Nonostante questo, c’è stato anche del buono. Hanno tentato di salvare la baracca con Robert Finster che gioca a fare Billy Russo, ed è stato apprezzabile. Il rapporto che si crea tra Moses ed Elja è bellissimo – Oliver Masucci, tra l’altro, in forma smagliante. E nonostante tutto, la serie si fa guardare ed è scorrevole e dinamica. 

 

60/100

Sono abbastanza delusa perché le serie tedesche raramente sono di bassa qualità narrativamente parlando, però se cercate qualcosa di poco impegnativo e facilmente dimenticabile – insomma, da guardare mentre fate altro senza avere troppi rimpianti per il tempo perduto – vi dico che in fondo c’è di peggio al mondo (e su Netflix). Magari la seconda stagione, se ci sarà, verrà curata di più – e lo spero, perché il potenziale in realtà c’è.

Previous article To All The Boys – 15 curiosità che (forse) non sapevi
Next article 7 serie post apocalittiche da guardare se vi è piaciuto Tribes of Europa
Avatar photo
Nella sua testa vive nella Londra degli anni cinquanta guadagnandosi da vivere scrivendo romanzi noir, nella realtà è un’addetta alle vendite disperata che si chiede cosa debba farne della sua laurea in comunicazione mentre aspetta pazientemente che il decimo Dottore la venga a salvare dalla monotonia bergamasca sulla sua scintillante Tardis blu. Ama più di ogni altra cosa al mondo l’accento british e scrivere, al punto da usare qualunque cosa per farlo. Il suo primo amore telefilmico è stato Beverly Hills 90210 (insieme a Dylan McKay) e da allora non si è più fermata, arrivando a guardare più serie tv di quelle a cui è possibile stare dietro in una settimana fatta di soli sette giorni (il che ha aiutato la sua insonnia a passare da cronica a senza speranza di salvezza). Le sue maggiori ossessioni negli anni sono state Roswell, Supernatural, Doctor Who, Smallville e i Warblers di Glee.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here