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Timeless | Recensione Episodi dal 2 all’8

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Timeless | Recensione Episodi dal 2 all’8

Come anticipato nel “Pilot Addicted” (che trovate qui), torniamo a parlare di “Timeless”, nuovo show che parla di viaggi nel Tempo, per quanto in modo molto diverso da “Doctor Who” e anche da “Outlander”.

Lo show, pur non perfetto, è cresciuto, migliorato, e si è confermato come un piacevolissimo prodotto di intrattenimento.

Certo, lo schema “insegui il cattivo nel passato – cerca di fermarlo e rischia la vita per farlo – fallisci – torna nel presente” può risultare ripetitivo, ma nel settimo episodio gli autori hanno mostrato di aver trovato un modo di variare tutto ciò, pur lasciando inalterato lo schema narrativo prescelto. Infatti, per quanto Lucy, Wyatt e Rufus fossero nel XVIII secolo all’inseguimento di Flynn e dei suoi uomini, di lui in verità non c’è stata traccia e tutto ha riguardato il trio di protagonisti, i problemi e i rischi che hanno corso per essere rimasti bloccati nel passato. E, così facendo, gli autori hanno anche dato risposta a un quesito che tutti ci siamo posti sin dal pilot (ovvero, ma che succederebbe se la navicella si guastasse? Come potrebbero ripararla nel passato e poi tornare nel presente? Hanno pensato a questa eventualità?).

In questo modo, inoltre, gli autori hanno mostrato, per l’appunto, di saper variare, di voler dare spazio e profondità ai tre protagonisti e al legame che si sta costruendo tra loro, pur lasciando inalterata l’importanza di una trama orizzontale davvero appassionante.

La storia, poi, è a puzzle, schema che è il migliore, perché permette allo spettatore di appassionarsi e divertirsi, spingendolo anche a porsi domande e riflettere, soprattutto quando c’è di mezzo la Storia… e anche il viaggio nel Tempo.

Dicevamo, non perfetto: con l’ottavo episodio gli autori, all’interno della narrazione, hanno  potenzialmente creato un paradosso temporale per l’omicidio dell’ingegnere aerospaziale della NASA, in quanto uccidendolo nel passato si è cancellato tutto ciò che lui ha originariamente vissuto fino al presente, dunque il Tempo è stato riscritto, e quindi Flynn e Anthony non potrebbero essere a casa sua proprio nel presente, fingendosi giornalisti, per avere informazioni da lui e riuscire a entrare alla base il giorno dell’allunaggio del 1969. Certo, potrebbero sempre spiegare che il Tempo impiega un po’ a riscriversi e che, tenuto conto del fatto che l’azione si svolge in meno di ventiquattro ore, il paradosso non abbia modo di palesarsi, ma per ora la cosa è lasciata in sospeso.

I misteri si sono susseguiti (e continuerà così, molto probabilmente) e sono divenuti anche più fitti: la Rittenhouse è davvero così terribile, quasi tirannica? Quando è nata e qual è il suo scopo? Chi l’ha fondata e perché l’appartenenza è ereditaria? Lucy è veramente figlia dell’unico, vero esponente di essa che conosciamo? E che legame ha con Garcia Flynn? Lui dove ha preso il diario che lei scriverà? E’ possibile che lo abbia preso Anthony quando, da solo, ha compiuto il viaggio inaugurale della macchina del Tempo? E se non è stato lui, allora come, quando, visto che abbiamo scoperto che Garcia Flynn è nato negli anni ’70 del XX secolo? Oppure, potrebbe essere stata Lucy a consegnarlo, tornando indietro nel Tempo dal futuro, proprio grazie alla navicella?

I protagonisti sono stati approfonditi in modo molto semplice e naturale, con battute o dialoghi intimi. Ad esempio, Wyatt, negli episodi 1×04, “Party At Castle Varlar”, e 1×05, “The Alamo”, nella Germania nazista e all’epoca della battaglia di Alamo, è stato non solo reso più profondo grazie al bagaglio di esperienze che lo hanno segnato, ma, altresì, ha evitato il rischio di essere inserito nella categoria “belloccio senza cervello” con la semplice rivelazione secondo cui parla ben quattro lingue straniere (tra le quali, abbiamo appurato, non c’è il Francese).

E il cambiamento di Rufus è stato posto al centro di quest’ottava puntata, con l’uccisione del sicario di Flynn e il suo dialogo finale con Lucy (“Chi sto diventando?”)

Lo stesso discorso vale per Garcia Flynn, non il villain monocromatico, ma un uomo che è stato reso tale da una grande ingiustizia. Un uomo che, in realtà, sembra agire per una sorta di Bene Superiore, per contrastare coloro che dovrebbero essere il vero male, sebbene utilizzi mezzi del tutto esecrabili.

Tutto questo, però, lo rende interessante.

Grazie a ciò che Lucy e Rufus nascondevano, si è anche creata la giusta dimensione per dare spessore e conferire realismo e credibilità al legame tra Lucy, Wyatt e Rufus, dando dunque vita a un legame che si costruisce pian piano, come è naturale che sia tra persone adulte, e che non si riduce a un andare d’accordo per il fatto di essere sulla stessa barca (praticamente in senso letterale) e di aver bisogno gli uni degli altri per sopravvivere.

Ed è interessante che a essere ferito sia stato Wyatt, il “burbero” soldato, quello che sembrava dover essere fonte di problemi o delusioni altrui e che invece è stato l’unico davvero sincero.

Infine, l’umorismo rimane una costante dello show ed è sempre apprezzabile (inutile dire che i nostri riferimenti preferiti sono stati quelli a “Star Wars”).

E dal promo della prossima puntata sembra che anche il tocco di romanticismo stia per prendere vita.

Il mio episodio preferito sinora è il quarto, “Party At Castle Varlar”, di cui ho amato ogni parte: l’ambientazione, particolare che per primo, dal trailer, mi ha spinto a guardare il pilot, la dimensione  umana data al tutto (il terrore di Lucy, più che comprensibile visto che quella era la Germania nazista, e lo stesso dicasi per Rufus, che sinora è stato il più sfortunato, finendo la maggior parte delle volte in epoche in cui lui per il solo fatto di esistere rischiava la vita; il sangue freddo di Wyatt, che di certo non era contento di essere in quel periodo, ma per il quale la situazione era ciò per cui lui si è addestrato, preparato e in cui ha lavorato per anni, cosa che gli ha anche permesso di capire a aiutare Lucy; il leggerissimo fastidio di Wyatt per l’interessamento di Fleming a Lucy, che lo ha reso combattuto tra l’ammirazione e la voglia di tenere lei lontana), la presenza di Ian Fleming, che è stata anche fonte di divertimento (per la nerditudine di Wyatt e le battute che ne sono scaturite), la generale tensione data dalla situazione.

E voi, avete un preferito, al momento?

– Sam

Carissimi, ci siamo trovati con il pilot e ora siamo già all’ottava puntata e io, ve lo dico, sono davvero soddisfatta di questa serie. “Timeless” riesce a essere leggero e al tempo stesso riflessivo, riesce a farti ridere di gusto per una battuta azzeccata o per un’espressione facciale demenziale (spesso di Rufus!) e dopo un secondo ti fa emozionare. E quando questo succede sai che la serie sta facendo bene, che gli autori hanno combinato il giusto mix di elementi. Certo non stiamo parlando del prodotto migliore in circolazione (non è per esempio ai livelli di Lucifer!) ma è comunque una serie piacevole.

Siamo partiti credendo che Garcia Flynn fosse il bad guy della situazione: non so voi, ma io non ci ho mai creduto seriamente; suvvia, il dott. Kovach non avrebbe potuto essere davvero cattivo. No way, impossibile. E, infatti, anche Flynn ha una sua storia da raccontare, anzi, la sua è LA storia, perché tutto quello che il trio delle meraviglie sta vivendo lo deve al fatto che Flynn si sta in qualche modo ribellando al “regime”, o meglio a quella entità che è Rittenhouse: un’organizzazione, una figura, qualcosa che ancora non abbiamo (non ci hanno) ben delineato, ma che sappiamo essere radicata politico-socialmente ormai da decenni (se non secoli). Sono partita da Flynn perché in generale mi viene da storcere il naso quando un cattivo non è davvero cattivo, ma in realtà credo che in una serie sia più importante avere un ottimo (ok, forse basta solo che sia “buon”) antagonista che tenga testa all’eroe (o come in questo caso agli eroi) con il suo carisma e con la sua storia: e Flynn è davvero un buon antagonista. In più dobbiamo considerare che il vero cattivo della storia ancora non l’abbiamo “conosciuto”, l’abbiamo visto, è vero, ma ancora non ne conosciamo il potenziale.

Devo dire che è bello vedere, in ogni puntata, come la storia si focalizzi su di un membro a turno del trio e, così facendo, gli autori riescono a farci conoscere questi protagonisti e, nello stesso tempo, a far sì che si conoscano l’un l’altro. Le dinamiche tra di loro sono davvero ben costruite, ognuno ha il suo posto nel team e pian piano sono diventati davvero una squadra: certo non sono mancati i problemi, di fiducia soprattutto, ma è anche normale perché in fondo ognuno di loro è arrivato fino a qui con il proprio bagaglio personale, con le proprie esperienze e, cosa più importante, con la proprio VITA fatta di amici e familiari. Tutto questo non scompare in un attimo e, anche quando succede, come per Lucy, ti rendi conto che questa loro missione li tocca da vicino e che può davvero impattare sul loro presente. In che modo, purtroppo, nessuno lo sa.

Un’altra cosa che sto apprezzando finora è la gestione della storia in sé: è come se avessimo dinnanzi a noi un puzzle di 5.000 pezzi e lo stessimo costruendo puntata dopo puntata. Ebbene, dopo 8 episodi siamo riusciti a completarne la cornice, mettendo sì dei punti fermi, delle guide diciamo, ma con ancora tutto il più grosso da fare, se non per alcuni pezzi che, attaccandosi alla cornice, ci permettono di spiare in quello che sarà anche se, purtroppo, sono ancora pezzi singoli che non ci danno un quadro generale degli eventi. E devo dire che questa gestione della trama e dei dettagli mi piace parecchio perché nonostante ogni puntata sia un po’ un procedural, durante il quale i nostri eroi devono risolvere il “caso” del giorno/mese/anno, il tutto è strutturato per fornire (pochi, lo so) dettagli sulla trama orizzontale e quindi ogni puntata è un crescendo verso l’epilogo finale (più o meno considerando, comunque, che spero che questa serie abbia una seconda stagione!).

In mezzo a tutto questo sto adorando il fatto che in ogni puntata si venga catapultati in un periodo storico diverso e che ogni volta il tutto sia trattato comunque con una certa dovizia di particolari sia negli abiti che nel portamento che nelle abitudini e, in mezzo a tutto questo, come Lucy, Waytt e Rufus si adattino al contesto in cui si vengono a trovare (chi più, chi meno!).

Vogliamo parlare poi del personaggio di Waytt? Un belloccio che però ne ha passate talmente tante nella vita da avere una personalità che complessa è dire poco e che convive con non uno, ma ben due sensi di colpa: il primo per aver (obbligato) abbandonato a morire i suoi commilitoni perché lui doveva salvare dei preziosi documenti, il secondo (forse peggiore) per il crudele destino della sua amatissima moglie. E tutto questo l’ha segnato, lo ha reso la persona riflessiva e ponderata che è e così si è ritagliato un posto di fiducia nella sua nuova squadra, una squadra in cui è davvero strabiliante vedere come non ci sia un vero e proprio leader, ma semplicemente ci sono tre diverse personalità e competenze che si complementano e diventano un tutt’uno. Detto questo, vi dico che non vedo l’ora che Waytt e Lucy capiscano di essere anime affini, di essere compatibili e di poter avere un futuro, insieme. Li adoro.

Parlando di Lucyè un personaggio di cui ancora sappiamo poco: abbiamo visto il suo amore per la Storia, e il suo forte legame con la madre eppure di lei in fondo non sappiamo nulla se non che gioca un ruolo fondamentale nella Storia (la Storia quella con la S), perché lei si trova lì per un motivo particolare e non può essere un caso se Flynn sta utilizzando proprio un suo diario scritto nel futuro… in più abbiamo da poco scoperto che l’uomo “Rittenhouse” è suo padre quindi il mistero è sempre più fitto… e se fosse tutto un piano per far fermare qualcosa che anche suo padre vuole che non si avveri? Non so… è davvero tutto molto ingarbugliato!

Tutti e tre questi “moschettieri” sono molto cambiati da quando li abbiamo visti la prima volta ma, forse, quello che è cambiato di più è stato Rufus: lentamente, puntata dopo puntata, ha preso consapevolezza di sé e ha tirato fuori la grinta. Dietro alla sua aria scanzonata e timida ha dimostrato di avere le unghie e un gran carattere, davvero incredibile.

Tre caratteri diversi che adesso si stanno plasmando tra di loro.

Infine, concludo dicendo che questa serie sta confermando l’impressione che mi aveva dato con il pilot ovvero una serie piacevole e scorrevole ma con alcuni spunti di riflessione non irrilevanti: cosa faremmo se avessimo la possibilità di tornare indietro nel Tempo? Cambieremmo alcuni dettagli o solo rimarremmo come umili spettatori?

Alla prossima!

– Gnappies_mari

 

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Sam
Simona, che da bambina voleva diventare una principessa, una ballerina, una cantante, una scrittrice e un Cavaliere Jedi e della quale il padre diceva sempre: “E dove volete che sia? In mezzo ai libri, ovviamente. O al massimo ai cd.” Questo amore incondizionato per la lettura e la musica l'ha portata all'amore per le più diverse culture (forse aiutato dalle origini miste), le lingue (in particolare francese e inglese) e a quello per i viaggi. Vorrebbe tornare a vivere definitivamente a Parigi (per poter anche raggiungere Londra in poco più di due ore di treno). Ora è una giovane legale con, tralasciando la politica, una passione sfrenata per tutto ciò che all'ambito legale non appartiene, in particolare cucina, libri e, ovviamente, telefilm. Quando, di recente, si è chiesta in che momento, di preciso, sia divenuta addicted, si è resa conto, cominciando a elencare i telefilm seguiti durante l'infanzia (i preferiti: Fame e La Famiglia Addams... sì, nel fantasy ci sguazza più che felicemente), di esserci quasi nata. I gusti telefilmici sono i più vari, dal “classico”, allo spionaggio, all'ambito legale, al “glamour”, al comedy, al fantastico in senso lato, al fantascientifico, al “giallo” e via dicendo. Uno dei tanti sogni? Una libreria. Un problema: riuscirebbe a vendere i libri o vorrebbe tenerli per sé?

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