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Timeless – Il coraggio di essere se stessi

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Timeless – Il coraggio di essere se stessi

Ed eccoci alla fine di questa seconda stagione di “Timeless” e mentre siamo qui in attesa di sapere che sorte attende questo show indubbiamente leggero e creato per intrattenere, ma che realizza pienamente questo scopo, facciamo un bilancio di questa seconda parte di stagione.

 

Questa seconda metà di stagione di “Timeless” ha colmato per me tutte le possibili mancanze che avevo leggermente riscontrato nella prima parte, portando la serie a un livello qualitativo che è andato anche ben oltre le mie aspettative. Ampliando finalmente l’attenzione a tutti i personaggi e riappropriandosi di quell’aspetto sociale ed educativo che la serie intrinsecamente possiede, “Timeless” ha ripreso perfettamente le redini dei suoi obiettivi principali e soprattutto, nonostante non intenda certamente affermarsi come un imperdibile kolossal televisivo, ha dimostrato di avere personalità, un aspetto definito nelle forme e nei contenuti, di sapere come gestire la componente sci-fi dei viaggi nel tempo, senza “scopiazzare” dai modelli più celebri, e come prendersi la propria originalità puntando in maniera frizzante e orgogliosa sulla componente storica con un ritmo veloce e mai superficiale.

Gli episodi dal sei al dieci sono stati testimoni di un susseguirsi di contesti storici e scenari antropologici e sociali variegati ed eterogenei, che hanno così permesso di spaziare non solo nelle linee temporali ma anche e soprattutto nella caratterizzazione di personaggi che già in un quadro collettivo avevano mostrato il loro potenziale ma che, nel momento in cui è stato concesso loro di occupare il centro del palco, si sono dimostrati imprescindibili e fondamentali punti di forza di questa serie, quei personaggi secondari così ben strutturati seppure in maniera semplice e ordinaria da donare originale spessore e personalità all’intera serie.

Uno degli esempi migliori di questa ammirevole qualità della serie è rappresentato dall’ottavo episodio e dal personaggio dell’agente Denise Christopher. La storia, che rispetto alle precedenti si muove maggiormente su due binari paralleli, tra il presente nel bunker e il passato a Washington nel 1981, evidenzia la straordinaria importanza del personaggio della Christopher sia dal punto di vista delle dinamiche più interne alla trama sia per quanto riguarda la risonanza sociale che un personaggio del genere possiede.

Per quanto riguarda la trama infatti, è emozionante notare quanto la Rittenhouse abbia riconosciuto nell’agente Christopher un tale cardine nella loro lotta contro il “Time Team” per il dominio sulla Storia così come la conosciamo da cercare di cambiare la sua linea temporale solo per impedirle di mettere insieme la squadra e questa scelta ha fatto luce proprio sul ruolo fondamentale che Denise occupa nel gruppo non solo in quanto leader, ma soprattutto come baluardo di difesa di ognuno dei componenti, il collante che tiene insieme tutti loro, il punto di partenza da cui tutto è cominciato e a cui tutto ritorna.

Dal punto di vista della valenza sociale invece, “Timeless” ha saputo trattare senza paternalismi e senza eccessi patetici la storia di una giovane donna indiana che non solo lotta quotidianamente per emergere in un mondo di uomini negli anni ’80 cercando la sua strada tra le forze dell’ordine ma è costretta anche a nascondere uno degli aspetti più importanti della sua autentica personalità per il timore di non essere accettata dalla sua famiglia conservatrice e tradizionalista. Denise Christopher diventa così, senza troppi sforzi, un emblema di diversità affrontato in maniera umana ed emozionante, tramite anche uno dei rapporti che più ho amato in questa stagione.

Il legame tra la Christopher e Lucy, come ho espresso nel precedente articolo, si è rivelato lentamente un meraviglioso sostituto di quel rapporto madre-figlia che a Lucy è venuto a mancare in seguito alla rivelazione della reale identità di Carol Preston, e questo aspetto è stato evidenziato maggiormente proprio nell’episodio in questione, in cui Lucy ha impiegato tutta la sua più sentita e affettuosa determinazione per spingere Denise ad accettarsi pienamente nella sua sessualità e nei suoi progetti, tanto da infrangere anche le regole più elementari del loro lavoro e rivelarle la verità sui viaggi nel tempo, solo per concederle quella speranza di cui aveva bisogno per rivelarsi al mondo e alla sua famiglia per ciò che era in realtà, salvando in questo modo non solo il suo futuro ma anche quella nuova famiglia meravigliosa che Denise vive come il suo tesoro più prezioso. Dalla potenza emotiva sorprendente è stato anche il confronto tra Denise & Flynn in cui l’uomo la spinge a godere del tempo con sua moglie e con i suoi figli in ogni singolo istante che le sarà concesso.

Simile a quello di Denise è il percorso compiuto da Connor Mason, protagonista del suo primo, esilarante e commovente viaggio nel tempo nel sesto episodio e parte di un bellissimo rapporto dalle sfumature ampiamente paterne con Rufus & Jiya. L’aspetto che più è emerso di questo personaggio nella seconda stagione è la sua profonda sensibilità, una sensibilità che al principio era stata ben celata da un’apparente sicurezza derivata esclusivamente dal suo potere ma che, nel momento in cui le luci della ribalta si sono spente su di lui, è crollata lasciando ben visibili tutte le sue fragilità e il bisogno di affetti sinceri nella sua vita, per quanto gli facciano paura.

Il finale di stagione ha infatti puntato molto su questo particolare lato di Connor, offrendoci non solo un esplicativo momento di confidenze con Denise ma anche una straziante testimonianza di quanto Mason sia profondamente legato a Rufus e Jiya, distrutto dal dolore per aver perso il primo ma ancora più preoccupato dalla possibilità di perdere anche la seconda. E proprio Jiya si è rivelata secondo me protagonista assoluta di questo season finale, dimostrando il suo incredibile potenziale.

Lucy Preston & Garcia Flynn sono stati invece in questa seconda parte di stagione la mia conferma più bella, sia individualmente come personaggi dalle intense e variegate sfumature di caratterizzazione sia per questo rapporto che li lega che sembra sempre solo all’inizio della sua storia misteriosa. Più viaggiano insieme, più imparano a conoscersi, più questi due personaggi si rivelano, secondo me, estremamente simili e complementari al tempo stesso, per quella stessa ragione che avevo già notato precedentemente, ossia per la capacità di entrambi di vedersi e di accettarsi nei loro lati più oscuri ma anche in quelli più luminosi.

L’istinto di protezione di Flynn nei confronti di Lucy è totale e incondizionato, con lei sembra quasi che abbia finalmente accettato di tornare a vivere e questo ha evidentemente accresciuto i suoi sentimenti nei suoi confronti. Lucy dal suo canto, inevitabilmente sfiduciata nei confronti del prossimo, sembra mantenere sempre una sorta di distanza da lui, soprattutto a causa anche dei suoi sentimenti per Wyatt, non notando in questo modo quanto Flynn sia effettivamente il suo supporto più leale nel bunker ma apprezzando segretamente la sua compagnia.

In conclusione, meritevoli di menzione sono i personaggi di Wyatt, Carol e Emma, per ragioni differenti. Wyatt purtroppo rappresenta per me in questa stagione la delusione maggiore poiché il ritorno di Jessica lo ha trasformato in un cliché anche piuttosto patetico per poi risolversi nel finale con una banale, conveniente e inaccettabile “I love you” per Lucy; Carol Preston si è ricongiunta nel finale al suo inevitabile e triste destino ma ciò che demoralizza maggiormente è notare, proprio come ha evidenziato Lucy, quanto il suo rimpianto maggiore riguardasse ancora una volta il ruolo di sua figlia nella Rittenhouse; infine Emma si è rivelata l’unica vera villain meritevole di questa storia, dimostrandosi spietata e determinata oltre ogni limite.

Il plot twist finale è stato solo la straordinaria “ciliegina” su una torta che, se ne avrà la possibilità, si preannuncia gustosamente ESPLOSIVA!

WalkeRita

Quest’ultima parte di stagione ci ha presentato dinamiche divertenti (Connor Mason, si parla di te!), approfondimenti dei personaggi e dei rapporti, delle tematiche (come quella delle visioni di Jya) e notevoli colpi di scena.

Wyatt quest’anno è stato in qualche modo frenato dal ritorno di Jessica, che lo ha messo in una posizione dove si è sentito costantemente diviso tra lei e Lucy, incapace di comprendere cosa fare.
Eppure questo è oltremodo umano e realistico, il che non guasta all’interno di una storia che parla di viaggi nel tempo… quando hai una storia fantastica, devi creare altri elementi per rendere credibile la storia e questo lo si fa con i personaggi. E nel caso di Wyatt… chi avrebbe saputo cosa fare al suo posto? Nessuno. Non si smette mai di amare le persone perdute e quando queste tornano all’improvviso creano inevitabilmente un momento di confusione, in cui a farla da padrone è la la felicità, accanto al sollievo, all’incredulità di avere una seconda occasione. E tutto ciò acceca.
Jessica era morta, Wyatt l’ha pianta per anni, tormentandosi per i sensi di colpa, lei è tornata (e già questo è sufficiente) ed è anche rimasta incinta, cosa rivelatasi vera. Chiunque avrebbe cercato di proteggerla, Garcia Flynn per primo, al posto di Wyatt. In effetti, Flynn ha ucciso gente, tanta gente, per lo stesso motivo: riavere la sua famiglia, la sua bambina.
Per questo, è bello che proprio sia stata Lucy a farglielo notare, perché è la verità.
Altresì verità è che tutto ciò dipende dal fatto che, come la Rittenhouse ben sa, tutti loro hanno dei punti deboli e li sfrutta per piegarli e distruggerli.

A proposito della Rittenhouse, bisogna dire che il vero spreco della stagione si è rivelato essere il personaggio di Nicholas. Sembrava che dovesse essere l’uomo fondamentale per la società, il genio indispensabile, invece lo abbiamo visto fare ben poco e poi finire ucciso dalla donna che si era portato a letto.
Onestamente, una delusione, per quanto il colpo di scena non sia stato male. Sarebbe stato meglio, però, farlo arrivare alla fine di un percorso del personaggio.

Per contro, il personaggio di Emma ha avuto una bella evoluzione come villain della situazione. Dopo averci sorpreso rivelando di non essere dalla parte di Flynn, dopo aver mostrato la sua convinzione per lo scopo della Rittenhouse (tranne quando la mette direttamente a rischio “sacrificio personale”), dopo aver, per l’appunto, mostrato che tuttavia non è così accecata da fare qualcosa che va contro i propri interessi personali, rischiando di rovinare la sua vita, e per questo è disposta ad andare momentaneamente contro gli scopi della società (tradendola), ci ha sorpreso ancora una volta, liberandosi delle persone apparentemente “fondamentali” per la Rittenhouse, coloro che l’hanno nel sangue, perché limitati da scrupoli personali. E, così facendo, ha deciso di mettere fine alla “dinastia” e alla regola dinastica sulla quale la società segreta si basa, prendendone il comando in quanto persona che detiene il potere (ovvero la navicella madre).
Davvero un’antagonista notevole.

Parallelamente a lei, anche Lucy ha compiuto un’evoluzione, più che altro mossa dalla disperazione e dal profondo senso di ingiustizia: dopo aver perso la sorella all’improvviso, aver scoperto che i suoi genitori sono degli esaltati e che, in particolare, la madre che ha sempre venerato fa parte di quella società segreta e che è stata persino in grado di sacrificare egoisticamente una figlia per essa e per se stessa, dopo aver rischiato la propria vita ancora e ancora, aver visto la storia cambiare e persone innocenti morire senza poterlo evitare, dopo aver visto sua madre e poi Rufus morire, qualcosa in lei ha urlato “Basta!” e Lucy è scattata.
Un altro comportamento incredibilmente umano, che la va ad arricchire come protagonista femminile.

E’ giusto soffermarsi su un episodio in particolare, ovvero il settimo, che non ci ha solo presentato una notevole avventura con una sorpresa, ovvero il voltafaccia di Emma, che per una volta ha dimostrato di non avere intenzione di eseguire gli ordini della Rittenhouse e, anzi, di voler collaborare con il TimeTeam per ostacolarla, ma anche una tematica importante, ovvero la conquista del voto femminile.
Un argomento che è più ampio di quanto sembri, poiché in realtà è il tema della repressione e oppressione delle minoranze. Le donne, infatti, all’epoca erano una minoranza, venivano trattate come tale e come oggetti ornamentali, incapaci di avere idee profonde, di una mente non all’altezza di quella maschile, di un temperamento debole. E, per questo, non meritevoli di avere voce in capitolo nelle questioni del proprio Paese, nelle decisioni importanti.
Le scene che hanno coinvolto le suffragette sono state piuttosto impressionanti, soprattutto per gli abusi subiti dalle donne.
Ed è stato bello vedere la narrazione di questa conquista attraverso un personaggio che, pur non essendo quello “giusto”, ha rappresentato, per l’appunto, la versione femminile di Sherlock Holmes (che nel Canone di Conan Doyle è un misogino), proprio perché ricalcando l’originale letterario è stata resa oltremodo scettica nei confronti dei metodi di protesta delle suffragette, per poi arrivare a capire l’importanza del movimento e diventarne il tassello fondamentale per il successo, diventando l’unione di intelletto e cuore.
Una bella idea.

Inoltre, hanno creato delle belle dinamiche tra Flynn e gli altri personaggi. Lucy a parte, Rufus… e favolosa la scena d’azione Flynn-Wyatt vs la Rittenhouse.


E infine… il cliffhanger! Che cliffhanger! Che season finale! Il TimeTeam ha migliorato la scialuppa e ha anche capito come sia possibile viaggiare lungo la propria linea temporale!
E da dove spuntano quei Wyatt e Lucy stile “Tomb Raider”?!

Per favore dateci una terza stagione conclusiva, ne abbiamo bisogno!

Sam

 

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Sam
Simona, che da bambina voleva diventare una principessa, una ballerina, una cantante, una scrittrice e un Cavaliere Jedi e della quale il padre diceva sempre: “E dove volete che sia? In mezzo ai libri, ovviamente. O al massimo ai cd.” Questo amore incondizionato per la lettura e la musica l'ha portata all'amore per le più diverse culture (forse aiutato dalle origini miste), le lingue (in particolare francese e inglese) e a quello per i viaggi. Vorrebbe tornare a vivere definitivamente a Parigi (per poter anche raggiungere Londra in poco più di due ore di treno). Ora è una giovane legale con, tralasciando la politica, una passione sfrenata per tutto ciò che all'ambito legale non appartiene, in particolare cucina, libri e, ovviamente, telefilm. Quando, di recente, si è chiesta in che momento, di preciso, sia divenuta addicted, si è resa conto, cominciando a elencare i telefilm seguiti durante l'infanzia (i preferiti: Fame e La Famiglia Addams... sì, nel fantasy ci sguazza più che felicemente), di esserci quasi nata. I gusti telefilmici sono i più vari, dal “classico”, allo spionaggio, all'ambito legale, al “glamour”, al comedy, al fantastico in senso lato, al fantascientifico, al “giallo” e via dicendo. Uno dei tanti sogni? Una libreria. Un problema: riuscirebbe a vendere i libri o vorrebbe tenerli per sé?

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