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The White Princess | Recensione di Fine Stagione

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The White Princess | Recensione di Fine Stagione

Siamo arrivati al finale di questa miniserie che ha visto narrate le vicende di Elizabeth Tudor, moglie di Henry VII.
Nonostante i massicci cambiamenti apportati alla trama rispetto al romanzo, anche questa seconda metà della miniserie è stata avvincente.
Per il futuro, non ci resta che aspettare un altro adattamento dei romanzi di Philippa Gregory. Nel mentre, eccovi le nostre opinioni sulla parte finale della stagione!

Voglio partire subito dai cambiamenti rispetto al libro, poiché alcuni hanno avuto semplicemente lo scopo di aumentare la drammaticità della storia, ma altri sono stati erronei e hanno danneggiato il percorso dei personaggi.

Uno dei cambiamenti più evidenti riguarda la morte di Jasper Tudor, che nel romanzo non avviene per mano di Lady Margaret, poiché egli non scopre la questione dei fratelli di Elizabeth e muore dunque serenamente, anni dopo, attorniato proprio da Henry e Margaret. Da ciò consegue, come è ovvio immaginare, che non esiste la parte della “penitenza” di Lady Margaret, né il pellegrinaggio di lei e il piccolo Harry, né, tantomeno, il dramma che vediamo svolgersi nell’ultimo episodio tra Henry e la madre, quando lui capisce che è stata lei la mandante dell’assassinio (tentato nel caso di Richard) dei due fratelli minori di Elizabeth.
Tuttavia, questa parte ha un merito: la frase che proprio Lady Margaret dice al nipote, esprimendo il concetto per cui lui dovrebbe rispondere delle sue azioni solo a Dio, crea un collegamento e delle basi per spiegare, in un certo senso, il carattere di quello che da adulto sarà Re Henry VIII, passato alla Storia per la schiera di mogli, la fine tragica di alcune di esse e, soprattutto, lo scisma religioso con la Chiesa di Roma, una decisione che il sovrano portò avanti in sostanza per fare ciò che voleva.
Sappiamo bene che questa miniserie, come il libro del quale è tratto l’adattamento, è molto romanzata, ma con particolari del genere gli autori hanno voluto suggerirci un concetto che ha un fondo di verità, ovvero quello per cui il modo di essere di certi sovrani, in particolare di Henry VIII (ma sicuramente non solo lui), era dovuto a ciò che veniva loro inculcato sin dalla tenera età. 

Altri cambiamenti importanti riguardano Elizabeth e Maggie.
Innanzitutto, Elizabeth non rivela mai al marito dello scambio di uno dei suoi due fratelli, Richard, gli rivela solo la questione della maledizione, poiché tra loro non esiste quel legame che è stato rappresentato nella serie; in secondo luogo, Elizabeth non è mai fredda con Maggie, né trascura la madre, con la quale non ha alcun litigio.
Inoltre, Maggie non viene inviata in Borgogna, non entra a far parte della congiura per abbattere Henry VII e liberare Richard e Teddy dalla Torre di Londra e, pertanto, resta sempre al fianco di Elizabeth, le due giovani donne si fanno forza l’un l’altra durante tutto quel periodo, sino alla fine.
Come si evince, dunque, Elizabeth non è nemmeno fredda e cattiva con “the boy” e con Lady Catherine Gordon, sua moglie. Anzi, al contrario. Appena vede Richard, Elizabeth si rende conto della somiglianza con il padre, capisce, dunque, che quello è effettivamente suo fratello e da tale consapevolezza discende una sorta di trattamento “protettivo” sia nei confronti di lui che di Lady Catherine, nonostante Henry sia sinceramente innamorato di quest’ultima, la corteggi per molto tempo e alla fine lei gli si conceda per salvare Richard, che ama davvero. Elizabeth ritiene responsabile Henry (come effettivamente è… è lui che, in verità, crea l’identità falsa di Perkin Warbeck, poiché è paranoico e invidioso nei confronti di Richard, e tenta in ogni modo di farlo cadere in trappola per ucciderlo… è lui che fa appiccare l’incendio alla stanza del guardaroba, proprio per provocare la morte di Richard facendola passare per un drammatico incidente), non Lady Catherine, e si rende conto che lei sta solo cercando di proteggere e salvare Richard, nonché di essere stata nei suoi panni molti anni prima, quando era l’amante del Re ed era incurante del dolore apportato alla povera Anne, che continuava, invece, a trattarla con gentilezza. Elizabeth si rende anche conto della profonda differenza fra il suo comportamento e quello di Lady Catherine: mentre quest’ultima è obbligata ad accondiscendere al corteggiamento di Henry VII perché è l’unico modo che ha per proteggere suo marito, Elizabeth era semplicemente innamorata del Re e questo la rendeva “egoista” e cieca.
Tutto ciò fa sì che Lady Catherine sia sempre ben accolta da Elizabeth, anche come sua dama di compagnia, e che Elizabeth si senta divisa tra l’amore per i suoi figli, il desiderio di tenerli al sicuro, e l’amore per suo fratello, che non diviene un servitore ma un ospite a Corte ed è spesso ospite degli appartamenti della Regina, unico modo in cui può stare accanto a sua moglie.

Come si può vedere non è una questione irrilevante, poiché i cambiamenti apportati a questa parte della trama sono andati a influire negativamente su Elizabeth e sul suo percorso come personaggio. Proprio come ha suggerito il finale, infatti, la giovane sovrana è stata resa fin troppo simile a sua suocera, potremmo dire quasi identica, con la terribile decisione di far organizzare il complotto per poter condannare e uccidere Richard e Teddy proprio a Elizabeth, quando nel romanzo è Henry che crea e fa eseguire questo piano. Gli autori hanno fatto sì che fosse Elizabeth a uccidere la sua stessa famiglia, il suo stesso fratello minore e il cugino: una scelta assurda che rovina il personaggio della giovane donna e pertanto il suo percorso.
Non solo: tale scelta è una contraddizione narrativa rispetto al fatto che Elizabeth sappia che la maledizione è “vera”, lei stessa ha aiutato sua madre a scagliarla. Prima vediamo Elizabeth rivelare tutto a Henry per evitare la morte di Richard e, dunque, che le conseguenze si abbattano sui loro figli (visto che già Edward è stato ucciso), poi la vediamo rischiare la vita dei suoi stessi figli, porre proprio lei quel pericolo su di loro, prendendo la decisione di uccidere il suo stesso fratello (oltre a suo cugino).

Sembra che gli autori dello show abbiano voluto riabilitare un poco la figura di Henry rispetto al romanzo, poiché in esso il sovrano è debole, rancoroso, non mostra mai il minimo coraggio, è lunatico e a tratti diventa violento anche nei confronti di Elizabeth (arrivando a minacciare lei, le sue sorelle, Maggie, se solo Elizabeth si azzarderà a mostrare una qualunque emozione, per quanto involontaria, dinanzi a “the boy”), dopo averla pesantemente insultata (e con lei le sue sorelle). Nell’ultima parte del romanzo Henry VII diventa, in sostanza, disgustoso e insopportabile.
Nello show, invece, dal quinto episodio vediamo una sua maturazione, una crescita di lui come persona, come sovrano, diventando anche più maturo, vediamo da parte sua un profondo e vero amore verso Elizabeth, per la quale si sente grato e della quale non si sente degno. Il tormento e l’insicurezza tornano alla fine e sono prevalentemente dovuti alla preoccupazione per i suoi figli.
Per quanto apprezzabile da una parte, tale volontà è stata però realizzata andando a inficiare il personaggio di Elizabeth e, nelle scene finali, anche Henry stesso, che sembra arrancare nell’ombra della moglie, nella sala del trono.

I personaggi che, dunque, presentano un profilo apprezzabile, proprio in base a queste scelte degli autori, sono Maggie, che cerca di salvare la sua famiglia, mostrando pietà e partecipazione nei confronti di tutti loro, restando profondamente umana, e Richard e sua moglie Catherine Gordon, vittime che non vogliono piegarsi e fino alla fine mostrano una profonda forza e dignità.

La scena in cui Richard mostra tutto il suo affetto per il cugino, mettendo da parte il suo stesso dolore e la paura, per il fatto che lui per primo sta salendo letteralmente al patibolo, che non sappia dove siano sua moglie e suo figlio, e mostra di avere l’unico intento di aiutare come può il cugino, di volerlo “proteggere” in un certo senso, è molto commovente e da tutto ciò emerge con forza come fosse lui l’unico a meritare di sedere sul trono d’Inghilterra, ben più meritevole della sua stessa sorella, che lui voleva proteggere e che, invece, lo ha mandato al patibolo riducendone la moglie a serva (altra scelta discutibile… Catherine Gordon è pur sempre una nobile scozzese, appartiene alla famiglia reale, e nel romanzo torna in Scozia).

Come dicevamo nell’intro, tuttavia, questa seconda parte della miniserie, nonostante le pecche evidenziate, è stata avvincente e in generale ben realizzata. Alcuni momenti, in particolare, sono stati davvero belli.
Partiamo dal viaggio in Spagna di Elizabeth e Henry, inesistente nel romanzo ma fonte di alcune scene non solo scenografiche (la danza della piccola Caterina D’Aragona), ma soprattutto interessanti. Mi riferisco, naturalmente, al dialogo tra la Regina Isabella ed Elizabeth, discorso che serve a sottolineare come, per quanto costrette dall’ideologia imperante, le donne potevano essere le persone che conducevano “i giochi” da dietro le quinte (o in modo meno velato nel caso delle Regine).
Nel sesto episodio vediamo la bellissima scena di Elizabeth, il suo fantastico monologo ai Lords in fuga, affinché combattano per Henry, un’altra parte inventata dagli autori della miniserie, ma che ancora una volta sottolinea la forza e la grandezza che le donne potevano raggiungere anche in quelle epoche “buie”.
Lo stesso vale per il concetto che la Duchessa di Borgogna esprime proprio nell’ultimo episodio, parlando con Maggie: “Nessuno è senza paura, ma noi donne dobbiamo fare ciò che va fatto. … Gli uomini sono deboli, si fanno offuscare dalla bellezza, noi donne dobbiamo essere più forti.”
Un principio verissimo per i tempi in cui quelle donne vivevano, poiché dalla loro forza dipendeva la loro sopravvivenza.
Infine, nonostante il lavoro discutibile svolto sul suo personaggio in particolare negli ultimi due episodi, un altro momento davvero notevole è il discorso di Elizabeth a Henry sul diritto a regnare, che non viene concesso da Dio, ma si guadagna in battaglia, con guerre e sangue. Un discorso che esprime una verità storica chiaramente emergente dai libri di Storia: tutti i sovrani che in quei secoli hanno combattuto per i diversi e vari troni europei lo hanno fatto invocando un diritto divino loro concesso e garantito, una volontà di Dio in qualche modo manifestatasi a loro favore… la stessa Lady Margaret è personificazione di queste convinzioni, ma la realtà storica è che tutti i troni sono stati conquistati, quantomeno dai capostipiti, con battaglie e sangue, che tale diritto è stato preso con la forza, non concesso da Dio.

Ancora una volta, dunque, nonostante i difetti una miniserie che rappresenta l’adattamento dei libri della Gregory ha il merito indiscusso di mostrare quale forza e quale coraggio avessero le donne di quel periodo storico, di certo non facile e favorevole per il genere femminile.

Sam

 

Inizio dicendo che, personalmente, non ho apprezzato per nulla il salto temporale fra il quarto e il quinto episodio. Ho avuto lo stesso identico feeling di quando in Bones – a causa della gravidanza reale della Deschanel – ci hanno privato completamente del piacere di vedere il rapporto fra Brennan e Booth evolversi appieno. Stessa identica cosa. Abbiamo lasciato Henry e Lizzie che iniziavano a comprendersi, apprezzarsi, amarsi, ma non ci hanno lasciato vedere come passino da questo all’essere una coppia assolutamente felice e in sintonia, con tanto di piccola squadra di calcio in the making.

A parte questo, devo dire di aver apprezzato moltissimo la linea narrativa in sé. Devo confermare ciò che avevo già detto nella recensione di metà stagione, ovvero che preferivo The White Queen – e difatti l’ho preferita come miniserie – ma oggettivamente non ho particolari lamentele da rivolgere al suo seguito. So che si sono discostati parecchio da ciò che racconta la Gregory, ma non avendo letto il libro non sono in grado di giudicare questo aspetto; quello che però posso dire, è che The White Princess ci racconta la storia di una ragazza costretta dagli eventi storici a un matrimonio che non voleva, una vita che non ha scelto, sotto la costrizione di due donne – sua madre e la suocera – che disprezza entrambe, e che poi finisce per diventare uno strano ibrido fra le due. Dalla madre assimila l’attaccamento morboso a un nome, quello dei Tudor, al quale si sente di appartenere molto più che al proprio. Da Margaret invece impara come spianarsi la strada con qualunque mezzo – lecito o illecito che sia – pur di raggiungere i propri scopi, a prescindere dalle perdite.

E qui devo ammetterlo: sono finita col fare il tifo per gli York fino alla fine nella speranza di cambiare la storia, perché anche se io per prima ho odiato Elizabeth Woodville in questo arco narrativo, Richard e Teddy non meritavano una fine così crudele. Mi è piaciuta molto la caratterizzazione di Richard, e non credo che sia un caso se le parti che mi hanno colpita di più siano proprio state quelle in cui abbiamo visto i confronti fra lui ed Henry. Richard, il legittimo erede al trono, che anche dalla posizione di servo riesce ad affascinare ed ammaliare le persone che lo circondano, riesce a farsi amare perché si mostra giusto, fiero, leale e coraggioso. Henry che si sente ogni giorno più inadeguato e più indegno di un ruolo che, se ci pensiamo bene, gli è stato imposto da Malefica Margaret. E mi è piaciuto molto il fatto che alla fine Henry non fosse cattivo. Henry non è mai stato il cattivo della situazione, Henry è arrivato perfino ad arrendersi all’evidenza dei fatti, ovvero che Richard avesse più diritto di lui di stare sul trono e fosse anche più amato dal popolo, confidando nel fatto che in qualità di fratello di Elizabeth, avrebbe risparmiato sia lei che i suoi figli. Henry, in fondo, è un’anima buona. Sarebbe stato facile per lui eliminare fisicamente il problema, il tempo di dare un ordine al suo boia, ma no, decide di non farlo – decide ripetutamente di non farlo – perché non sarebbe giusto. E questo gli rende onore, grande onore. Un po’ meno gliene rende il fatto che alla fine si arrenda ai complotti della moglie, passando quasi dall’essere succube di Malefica Margaret all’esserlo di Lizzie.

Perfino il personaggio di Maggie si è riscattato nel finale, tirando fuori una grinta e una determinazione delle quali non l’avrei creduta capace. Quindi alla fine, l’unico quesito che rimane è: Elizabeth, è davvero migliore di sua madre? O di Malefica Margaret? O di tutti quelli contro a cui aveva fatto voto di attendere con pazienza la fine? La risposta mi sembra abbastanza banale e scontata, no. Ma è comunque interessante questa sua evoluzione, perché ci mostra anche il lato più torbido e brutto dell’essere donna e regina a quei tempi, di come una persona nei suoi panni doveva lottare con le unghie e coi denti per la sicurezza della propria famiglia e per mantenere il proprio posto.

ChelseaH

 

Siamo dunque alla fine di questa seconda miniserie tratta dei romanzi di Philippa Gregory. Speriamo di assistere a una terza!

Grazie mille per averci letto e grazie alle pagine e ai gruppi che hanno condiviso le nostre recensioni.

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Nella sua testa vive nella Londra degli anni cinquanta guadagnandosi da vivere scrivendo romanzi noir, nella realtà è un’addetta alle vendite disperata che si chiede cosa debba farne della sua laurea in comunicazione mentre aspetta pazientemente che il decimo Dottore la venga a salvare dalla monotonia bergamasca sulla sua scintillante Tardis blu. Ama più di ogni altra cosa al mondo l’accento british e scrivere, al punto da usare qualunque cosa per farlo. Il suo primo amore telefilmico è stato Beverly Hills 90210 (insieme a Dylan McKay) e da allora non si è più fermata, arrivando a guardare più serie tv di quelle a cui è possibile stare dietro in una settimana fatta di soli sette giorni (il che ha aiutato la sua insonnia a passare da cronica a senza speranza di salvezza). Le sue maggiori ossessioni negli anni sono state Roswell, Supernatural, Doctor Who, Smallville e i Warblers di Glee.

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