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The Right Stuff – Uomini Veri: la recensione della Prima Stagione

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The Right Stuff – Uomini Veri: la recensione della Prima Stagione

The Right Stuff – Recensione Prima Stagione

The Right Stuff-Uomini Veri ha concluso venerdì la sua prima stagione e poiché è di qualche giorno fa la notizia del rinnovo, eccovi la mia recensione.

La serie televisiva di Disney+ usa come fonte primaria il romanzo di Tom Wolfe del 1979 – da qui l’orribile traduzione del titolo italiano – e accompagna a modo suo il telespettatore nel dietro le quinte della Corsa allo Spazio degli anni ’60.

Del romanzo era già stato realizzato un film nell’83 diretto da Philip Kauffman che, pur avendo un cast di tutto rispetto, si rivelò una delusione, tanto da attirare le critiche persino di alcuni dei Mercury Seven ancora in vita.

Sono gli anni a cavallo fra il ’59 e il ’69: nasce la Nasa e i protagonisti della storia diventano sette piloti collaudatori: i Mercury Seven.

Promossa l’attenzione alla fonte letteraria, a sua volta frutto di interviste ai piloti. Malgrado alcune drammatizzazioni dovute al rendere la storia appetibile al pubblico, The Right Stuff ha conservato una sostanziale fedeltà rendendolo quindi più gradevole di un documentario se si vuole saperne di più sull’argomento. I personaggi principali sono stati sviluppati in maniera armonica e graduale e il casting convince. Il ritmo conserva un buon tempo e lo spettatore rimane coinvolto nelle vicende: sia quelle personali dei personaggi che quelle puramente legate alla scienza e alla politica.

In secondo luogo, la caratterizzazione dei due grandi arcinemici: Al Shepherd e John Glenn. In entrambi i casi si assiste con il passare degli episodi a un’attenta presentazione dei loro lati oscuri come di quelli positivi, ottenendo così due personaggi a tutto tondo.

Tuttavia, nonostante l’impegno, è tutto molto freddo. Per quanto ci si lasci coinvolgere, resta difficile provare empatia per i protagonisti della storia e il fatto di poter reperire ovunque su internet informazioni su quanto è accaduto a ognuno di loro elimina il movente della curiosità per proseguire, lasciando tutto nelle mani della narrazione da manuale.

Un grosso problema è, poi, rappresentato dall’aver approfondito solo tre su sette dei Mercury Seven. Non a caso sono loro ad avere il volto di attori noti al pubblico televisivo: Al Shepherd, primo americano in orbita, è interpretato da Jake McDorman (“Shameless”, “Greek”, “Limitless”), John Glenn è Patrick J. Adams (“Suits”) mentre Gordo Cooper è – un irriconoscibile senza barba e uncino – Colin O’Donaghue (“Once Upon a Time”).

Gli altri quattro astronauti coinvolti nella missione Mercury sono a mala pena abbozzati, qualcosa oltre il termine “comparsa” quasi. Pensare che hanno tutti avuto un ruolo importante e Gus Grissom, per lo meno lui, meritava sicuramente più attenzione.

Nonostante ci venga poi ripetuto fino allo stremo che i Mercury Seven furono il primo caso di vite normali date in pasto al pubblico, le rispettive mogli degli astronauti hanno pochissimo spazio. In alcuni casi non hanno nemmeno una faccia. L’unica che viene approfondita è Trudi Cooper, pilota come il marito, che ci viene presentata solo perché la storia con Gordo è materiale per una sceneggiatura.

 

 

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The Right Stuff – Recensione Prima Stagione

Come accennato nei Thumbs Up poco sopra, Al Shepherd e John Glenn.

Shepherd ci viene presentato senza alcun filtro: marito fedifrago dalla vita dissoluta, ottimo pilota devoto al suo lavoro che considera come il suo primo amore. Con il passare degli episodi assume sempre più spessore e la paura nel vederlo andare in orbita – nonostante storicamente si sappia come sia andata a finire – è reale.

Glenn, al contrario, arriva sullo schermo come marito devoto, ottimo pilota, incredibilmente carismatico con la stampa e il pubblico. Con lo svilupparsi della storia, lo spettatore inizia a scorgere dietro la facciata perfetta una serie di lati oscuri legati alla sua ambizione. Poi, facendo un giro su internet, scopri che era nella Massoneria e improvvisamente inizi a guardarlo sotto una luce mooooolto differente.

 

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Il decollo di Shepherd: il ritardo, gli imprevisti, l’oblò che non si apre e quella simpatica rondella che inizia a fluttuare davanti al naso dell’astronauta prima della manovra per tornare sulla Terra. La delusione per non aver visto nulla, la frustrazione per qualcosa che sembrava un sogno e invece ha deluso, tutto è stato inserito nella scena.

 

Ho seguito la serie televisiva perché la Corsa allo Spazio è un periodo che mi ha sempre appassionato molto. Ho persino letto il romanzo – ma lo definirei più una cronaca – di Wolfe nonostante sia tremendamente pesante; inoltre, adoro i documentari sull’argomento.

Nel complesso è stata una serie tv piacevole e sicuramente ne guarderò la seconda stagione che, secondo la mia opinione, sposterà l’attenzione dalla Missione Mercury a quella Apollo, ovvero lo sbarco sulla Luna.

Gli episodi divertono e intrattengono, c’è la giusta dose di suspence e pubblico e privato dei piloti è mescolato sapientemente così da creare un buon ritmo nella narrazione. Le interpretazioni del cast di primo piano, poi, sono ineccepibili. Patrick J Adams riesce a trasmettere appieno l’ambiguità e piacioneria di Glenn mentre McDorman dà al suo Al Shepherd lo sguardo tormentato e l’atteggiamento da dongiovanni, portandoci alla fine persino ad apprezzarlo.

Tuttavia non riesco a promuovere del tutto The Right Stuff per via della scarsa attenzione data agli altri astronauti della Missione Mercury. Ci vengono tutti presentati in maniera piuttosto stereotipata: sempre con un bicchiere alcolico in mano, una battuta machista e sciovinista dopo l’altra, numerose amanti e l’amore per lo spazio. Persino una serata di chiacchiere intorno al fuoco diventa un’occasione sprecata per dare spessore e uscire dallo stereotipo.

Non vi nego che parte della mia delusione è legata all’aver visto lo stesso argomento trattato diversamente. Cinque anni fa infatti la ABC ha realizzato una miniserie dedicata alle mogli dei Mercury Seven: The Astronauts’ Wives Club. Pur ponendo al centro le vicende delle mogli degli astronauti, coloro che hanno vissuto sulla propria pelle l’improvvisa celebrità, Stephanie Savage – la creatrice – è riuscita a dare spessore anche ai personaggi maschili, assemblando una storia corale e con la quale è stato facile empatizzare.

70/100

 

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