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The Perfectionists – Pretty Little Liars insegna … forse

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The Perfectionists – Pretty Little Liars insegna … forse

Tra successi, rivelazioni, misteri e polemiche, che piaccia o meno, non si può negare che “Pretty Little Liars” abbia lasciato un’impronta definita e indimenticabile del suo percorso, diventando un termine di paragone inevitabile per chiunque si avventuri nel genere teen drama dalle tinte thriller. A distanza di due anni dalla fine dello show, Marlene King ci riprova, con una serie che ha tutte le carte in regola per affermarsi come erede legittimo dell’originale ma che rischia anche di smarrire la via lungo la strada. Guidati da due colonne portanti di “Pretty Little Liars“, arrivano i “The Perfectionists” e almeno per quanto riguarda il pilot, sembra proprio che tutti loro siano stati attenti quando nel 2010 le Liars hanno aperto la via.

*** ATTENZIONE! Questo articolo contiene SPOILER sul pilot di “The Perfectionists”! ***

Non avete idea di quanto mi sia mancata la sensazione di assistere alla rappresentazione di un autentico caos di cui non si verrà mai davvero a capo ma a cui vale comunque la pena dedicarsi. Lontano anni-luce, almeno per il momento, da ciò che era stato “Famous in love”, con questo pilot torna a mio parere la VERA Marlene King, con la sua equilibrata commistione di misteri, segreti, verità impossibili da ammettere, in cui il passato di ognuno dei protagonisti definisce in maniera irrimediabile il loro presente e preclude definitivamente in alcuni casi il loro futuro.

Il primo aspetto che mi ha colpito maggiormente di questo pilot è l’attenzione dimostrata nel riuscire a riprendere da “Pretty Little Liars” quei caratteri generali che hanno reso la serie unica a modo proprio al suo tempo, senza però ripercorrere troppo i passi della serie madre. “The Perfectionists” si è dimostrato in questo pilot uguale e diverso tanto quanto basta per trasmettere una sensazione di attraente familiarità senza spingerti a sbadigliare pensando “Già visto”.

Il cambio di ambientazione è fondamentale per ampliare il raggio d’azione della storia e per trasmettere un aspetto più adulto e maturo di quanto lo fosse quello della piccola Rosewood nel 2010, ma al tempo stesso al Beacon Heights College si respira la medesima atmosfera di pacata oscurità che avvolgeva la piccola cittadina della Pennsylvania, un’oscurità che avverto quasi morbida e gelida contemporaneamente, come se esista da sempre e sia ormai un’abitudine per quel luogo.

La presentazione della storia, del contesto e dei suoi protagonisti è al momento ordinata ed equilibrata, mostrano ciò che serve a un pilot per soddisfare e rivelarsi compiuto ma lasciano solo intuire tutti quei dettagli e quei segreti che possiedono il magnetismo necessario per convincerti a proseguire la serie. Scenografia, regia e fotografia aiutano molto nel veicolare la sensazione di crescente inquietudine che pervade l’episodio mentre gli easter eggs dedicati alla serie madre arricchiscono innegabilmente il primo atto dello spin-off.

È stato fondamentale, a mio parere, rendere centrale nel pilot il leitmotiv dettato dal romanzo di Agatha Christie “And then there were none” (“Dieci piccoli indiani”) così come al principio di “Pretty Little Liars” c’era stato “To kill a mockingbird” (“Il buio oltre la siepe”), un punto di partenza narrativo che permette di diramare una serie di spunti di riflessione dallo spessore sorprendente.

Esprimendo la sua opinione sul romanzo, Dylan si concentra sul tema dell’isolamento, definendolo “parte della loro punizione”, e non posso fare a meno di credere che in quel momento lui parlasse un po’ di tutti i “perfectionists”, caratterizzati proprio da un’evidente solitudine dettata principalmente dalle aspettative soffocanti che i loro obiettivi pongono sulle rispettive spalle, un isolamento che però mi sembra di riconoscere anche in Alison stessa, nuovamente sola e lontana dalle persone che più contano nella sua vita, come se in parte stesse ancora scontando la sua stessa punizione per le azioni passate.

A tal riguardo mi ha sorpreso la giustificazione della sua presenza al college senza Emily, poiché sembra infatti che le due giovani donne abbiano messo in “stand-by” la loro relazione a causa dell’incapacità di Emily di dimenticare davvero il passato di Ali. Ora, mi sembra chiara l’intenzione di giustificare la lontananza senza chiudere del tutto la porta alla possibilità per la coppia di risolvere nuovamente i loro contrasti ma al tempo stesso mi sorprende scoprire che sia stata proprio Emily a non lasciar andare il passato, lei che ha amato Alison anche quando era la versione peggiore di se stessa. Riflettendoci su, però, non vi dirò che questa scelta narrativa è out of character, anzi, posso solo immaginare che anche per una donna come Emily, così predisposta al perdono, arrivi un momento in cui tutto ciò che ha vissuto torni a chiedere il conto, cambiando così la sua prospettiva anche nei confronti della donna che ama da sempre, spero più che altro (e detto da me è quasi inverosimile) che la relazione tra lei e Alison possa in qualche modo rinascere oltre le ceneri di ciò che è stato, per il bene di entrambe.

Tornando al romanzo però e alla prima lezione di Ali al college, Caitlin offre un secondo spunto di riflessione quando esprime il suo punto di vista sul quesito “Is it okay to murder a murderer?”, un punto di vista piuttosto diretto e anche cinico se vogliamo che ancora una volta riesce a ricongiungersi al cuore di “Pretty Little Liars” e al passato di Ali raccontando al tempo stesso la nuova realtà dei “perfezionisti”. Ciò che mi sembra di notare in questi nuovi protagonisti è una sorta di inevitabile evoluzione rispetto a ciò che erano le Liars al principio, ossia sembra che tutti loro abbiano già raggiunto quel breaking point in cui si ragiona secondo la filosofia di mors tua vita mea, in cui il college non è un’opportunità di crescita collettiva ma una lotta all’ultimo sangue nell’arena in cui dovrebbe rimanerne soltanto uno. I Perfezionisti, per quanto riprendano dalle Liars la trappola immobilizzante dei segreti (“Non so cosa abbia su di voi ma quello che mi riguarda è brutto”, credo sia una frase pronunciata anche da Aria in PLL), sono già oltre la paura, sono direttamente alla fase degli estremi rimedi per mali estremi e il loro male estremo si chiama Nolan Hotchkiss.

L’apporto di Nolan stesso alla lezione espone il terzo spunto di riflessione offerto da questo pilot: “They did terrible things and they got terrible things done to them”, una frase che rappresenta un po’ l’ABC di “Pretty Little Liars”, tra karma, “what goes around comes around” e domino di conseguenze derivanti da un’azione malvagia. La particolarità della scelta di mettere Alison DiLaurentis al centro di queste opinioni espresse da giovani privilegiati che in un certo senso si fanno portatori ai suoi occhi di echi del suo passato rappresenta uno degli aspetti migliori di questo pilot perché Marlene King è riuscita a usare “Pretty Little Liars” come base di appoggio e punto di partenza per una serie che non può e non deve essere come l’originale ma dovrebbe riprenderne le caratteristiche migliori.

I tre perfezionisti principali, come personaggi, hanno margine di crescita e un potenziale drammatico dal facile sviluppo, è interessante per quanto mi riguarda proprio l’idea del “perfezionista”, di un ragazzo chiamato ad eccellere ad ogni costo, anche a discapito della propria moralità e della sua salute fisica e psicologica. È quasi scontato evidenziare quanto Nolan, da bravo “Alison” della situazione, li avesse in scacco tutti e tre tra ricatti e legami sentimentali ma ancora una volta è proprio la personalità più “negativa” della storia a fare da catalizzatore non solo per l’evoluzione della trama ma anche o soprattutto per una potenziale amicizia che potrebbe andare oltre il suo comune denominatore, un legame che, al contrario delle Liars, unite dall’affetto nei confronti di Alison (all’epoca immeritato), sboccia sul terreno comune del crescente odio nei riguardi di Nolan.

La scena del ritrovamento del corpo senza vita del ragazzo (di cui vediamo chiaramente il viso e la causa della morte, tanto per non avere dubbi in futuro) richiama a gran voce quella del pilot di PLL mentre reputo intelligente la scelta di mostrarci subito la rediviva Taylor Hotchkiss, dato che nessuno aveva davvero creduto fosse morta come ci era stato anticipato al principio. Mi auguro solo che l’evidente somiglianza con Alison si riveli una strana coincidenza, perché di DiLaurentis & Drake ce ne sono fin troppo in giro per il mondo.

Le indagini condotte in gran segreto dai due fratelli possono rappresentare un buon filo conduttore della stagione perché sembrano mirare proprio all’istituzione accademica, ritratta in questo pilot quasi come un “Big Brother” orwelliano (“They are watching”).

Il connubio Alison DiLaurentis/Mona Vanderwaal ha ancora dell’incredibile per me. Ci troviamo di fronte a due personaggi che hanno rappresentato a tutti gli effetti la ragione principale per cui tutto è cominciato, due personaggi che hanno sbagliato così tanto da diventare facce di una stessa medaglia, loro che erano convinte di essere così diverse. È geniale inserire proprio Alison e Mona in un contesto così deviato e pericoloso fin dalle radici, perché nessuno più di loro potrebbe davvero sapere come affrontare qualunque tempesta stia per abbattersi sul college. Al tempo stesso però ho paura che quello che dovrebbe rappresentare un nuovo inizio (soprattutto per Ali) si trasformi in una regressione a causa proprio delle cattive influenze del posto.

Ed era proprio ciò che credevo fosse accaduto a Mona nel momento in cui l’ho vista parlare da sola per ben tre volte, anche se il sospetto che non fosse davvero sola mi aveva sfiorato, così come quello che fosse effettivamente regredita al livello Radley. Questo perché da Mona dobbiamo ancora aspettarci di tutto, anche che lavori sotto copertura per una qualsiasi agenzia segreta.

L’unico dubbio preoccupante per quanto riguarda la continuity portata in scena da questo pilot deriva dalle parole di Mona sul suo soggiorno a Parigi, parole che lasciano intuire la fuga di Mary e Alex Drake dalla sua personalissima Dollhouse. Che cosa comporterà questo evento per le Liars se A.D. è effettivamente a piede libero? O forse l’agenzia per cui Mona lavora adesso si è occupata di questo problema e in seguito ha reclutato/costretto la Vanderwaal a lavorare per loro in cambio della libertà? Inoltre, quando parla “allo specchio” per la prima volta, sembra quasi che anche la persona dall’altra parte conosca Alison, che ci sia dunque un volto noto anche nella misteriosa agenzia? Qualsiasi sia la risposta, queste domande dimostrano solo che “Pretty Little Liars” è davvero tornato perché con un solo episodio ricominciano le teorie, i dubbi folli e le misteriose indagini pronte a condurre dappertutto e da nessuna parte. Siamo rientrati nel tunnel, mettiamoci comodi, dubito che ne usciremo presto.

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Occasionale inquilina del TARDIS e abitante in pianta stabile di un Diner americano che viaggia nel tempo e nello spazio, oscilla con regolarità tra Stati Uniti e Gran Bretagna, eternamente leale alla sua regina Victoria e parte integrante della comunità di Chicago, tra vigili del fuoco (#51), squadre speciali di polizia e staff ospedalieri. Difensore degli eroi nell’ombra e dei personaggi incompresi e detestati dalla maggioranza, appassionata di ship destinate ad affondare e comandante di un esercito di Brotp da proteggere a costo della vita, è pronta a guidare la Resistenza contro i totalitarismi in questo universo e in quelli paralleli (anche se innamorata del nemico …), tra un volo a National City e una missione sullo Zephyr One. Accumulatrice seriale di episodi arretrati, cacciatrice di pilot e archeologa del Whedonverse, scrive sempre e con passione ma meglio quando l’ispirazione colpisce davvero (seppure la sua Musa somigli troppo a Jessica Jones quindi non è facile trovarla di buon umore). Pusher ufficiale di serie tv, stalker innocua all’occorrenza, se la cercate, la trovate quasi certamente al Molly’s mentre cerca di convertire la gente al Colemanismo.

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