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The Gilded Age – Recensione di metà stagione

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The Gilded Age – Recensione di metà stagione

Ben trovati spettatori di “The Gilded Age”!

Siamo arrivati a metà stagione e sono successe molte cose mentre altre ancora più succose stanno preparandosi per il futuro.

Questi primi 5 episodi hanno confermato l’ottima opinione che mi ero fatta del pilot (qui l’articolo) e hanno aggiunto nuove qualità a quelle già intraviste nella prima puntata.

Ma prima di lanciarmi in un’analisi più dettagliata, ecco i punti salienti.

  • La sigla
  • Le nuove tematiche introdotte: benché per il momento abbozzate, promettono riflessioni interessanti nel futuro;
  • I personaggi iniziano a delinearsi un po’ tutti e ad ognuno, con lo stile preciso ed efficace di Fellowes, è data la giusta quantità di spazio per solleticare lo spettatore e lasciarlo affamato di saperne qualcosa di più;
  • I costumi: che meraviglia! Non si tratta più solo di estrema cura per il dettaglio ma anche di gusto per l’abito come opera d’arte. Osservate Bertha Russell e ne avrete la perfetta testimonianza.
  • Il solito bilanciamento dei toni drama che rendono i prodotti di Fellowes coinvolgenti ma senza sfondare il muro della soap opera.

  • La recitazione di Louisa Jacobson è ancora un po’ debole: data la giovane età e la poca esperienza (nonché il sangue di Meryl Streep che le scorre nelle vene), non ho dubbi che la vedremo migliorare man mano che continueranno gli episodi. Senza contare che sta recitando con alcune delle stelle più brillanti di Broadway per cui il confronto non può che essere impietoso.
  • Larry Russell al momento è molto evanescente ma siamo ai primi episodi per cui non me ne stupisco. Sono però curiosa di conoscerlo meglio e magari apprezzarne di più il carattere.

 

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  • George Russell – pausa per cercare una parola non volgare – liquida poco cerimoniosamente Turner che gli si era infilata nuda nel letto: che momento meraviglioso! Aspettavo di vedere Turner rimanere con un palmo di naso dalla prima puntata.
  • Il pranzo dai Fane con Ward McAllister: tra ambiziosi ci si riconosce e Ward intravede subito in Bertha un’anima affine alla sua. Nathan Lane – una delle tante eccellenze del cast – è la perfezione.
  • Marian arriva a Brooklyn, nella casa degli Scott: la dimostrazione che anche i migliori bianchi della società americana erano profondamente ignoranti e pieni di pregiudizi. Marian si aspettava che Peggy vivesse in una baracca – e pensare che era stata la ragazza a pagarle il biglietto del treno nel pilot! – e invece si trova davanti una residenza signorile paragonabile a quella delle zie. La scena era stata preceduta nell’episodio da un parallelo rovesciato in cui era Peggy ad essere l’elemento fuori luogo da Bloomingdale e anche in quel caso Marian non era stata in grado di rendersi conto degli sguardi che l’amica attirava.
  • I vari momenti in cui brillano i dialoghi fra i personaggi nonché le numerose sferzate che alcuni danno alle loro controparti in scena (e a noi a casa). Qualche esempio: Marian Brook parlando nel comitato di beneficenza commenta l’avversione delle altre donne a includere Bertha Russell con un «Abbiamo bisogno dei suoi soldi ma prima preferiamo insultarla»; Peggy Scott nella redazione del giornale commenta il coinvolgimento politico dicendo: «Perché dovrei scegliere un partito quando non ho nemmeno diritto di voto?»; o la mitica – perché ormai si candida a erede di Lady Violet – zia Agnes van Rhijn che risponde ai timori per il futuro della sorella con un «Non preoccuparti, ho intenzione di sopravviverti».

  • George Russell: la dicotomia che lo contraddistingue è ciò che lo rende il più interessante fra i personaggi proposti in queste puntate. Laddove negli affari Mr Russell è spietato e senza scrupoli (quello che propone al gruppo Alderman è insider trading!), nel privato non solo è un marito fedele ma è anche affettuoso nei confronti della moglie e dei due figli. Un po’ una rarità per l’epoca. Si intravedono in lui molte possibili storyline future nonché, a livello di interazioni coi personaggi, numerose occasioni di confronto a più livelli e intensità.
  • Agnes van Rhijn: per quanto ricordi in più di un aspetto la nostra adorata Lady Violet Crawley, sto apprezzando molto la costruzione del suo personaggio perché rappresenta perfettamente la condizione di molte donne dell’epoca. Il matrimonio con van Rhijn frutto di pura necessità – il fratello, padre di Marian, aveva dilapidato il patrimonio – non le ha portato una vita serena: il marito trapela essere stato un uomo sgradevole e, sospetto, anche violento, se non fisicamente perlomeno verbalmente. Il fatto che già da nubile si sia trovata a capo della famiglia (lo testimonia il suo intervento già in gioventù per salvare la sorella Ada da un cacciatore di dote) l’ha resa una donna dura ma anche profondamente saggia e in grado di cogliere sfumature di carattere nelle persone che ad altri sfuggirebbero. Nonostante la sua severità, gode dell’affetto e rispetto di coloro che la circondano: il suo personale, sua sorella e persino suo figlio col quale si relaziona attraverso schermaglie verbali che divertono noi spettatori. Ci sono molte cose che potrebbero essere raccontate su di lei e molta potenzialità per il futuro per cui la promuovo.
  • Tom Raikes: lo inserisco qui solo perché se si rivelasse un avventuriero come Agnes predica da un po’ e io sospetto per via dei troppi atteggiamenti ambigui (dalla sparizione delle azioni delle ferrovie alla proposta di matrimonio arrivata troppo velocemente al tentativo di compromettere Marian) sarebbe veramente un bellissimo colpo di scena. Mai come questa volta – nonostante, ripeto, i miei sospetti – mi ritrovo a cercare e trovare altre spiegazioni logiche al suo comportamento.

 

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Arrivata al quinto episodio mi sono accorta che le cose da dire, puntata per puntata, sono veramente moltissime: non solo a livello tematico ma anche attenendomi ai singoli eventi.

Tuttavia mi dovrò sforzare di essere il più coincisa possibile cosicché questa recensione non finisca per uscire a fascicoli settimanali insieme ai modellini delle macchine d’epoca o dei velieri quattrocenteschi. Onde evitare di perdermi, quindi, dividerò l’analisi in piccole sezioni.

L’ELEMENTO STORICO

È innegabile che il buon Fellowes abbia preso spunto dalla realtà storica: in alcuni casi portando sullo schermo personaggi realmente esistiti con i loro veri nomi (Mrs Astor, Ward McAllister, Mamie Fish, Clara Barton), in altri casi rivestendo i personaggi inventati di peculiarità e vicende biografiche vissute da personaggi reali. È il caso di Bertha Russell, i cui punti di contatto con Ava Vanderbilt si sprecano (dall’ascesa sociale e le origini nel Sud, al tipo di matrimonio, la casa in 5th Avenue che inaugura un nuovo stile architettonico, ad alcuni tratti del carattere), o di suo marito George Russell che sembra portare sullo schermo la spietatezza negli affari e il caldo affetto in famiglia di Jay Gould, o, infine, Peggy Scott modellata su alcune donne simbolo della storia afroamericana: Ida B. Wells (scrittrice e attivista), Julia Collins (prima scrittrice afroamericana ad essere pubblicata) e Susan McKinney Steward (prima afroamericana a praticare la professione di medico a NY).

Lo sguardo attento alla realtà storica dell’epoca è rispecchiato anche dalla cura per i dettagli architettonici degli edifici, per l’arredamento delle case, i costumi e le acconciature, dall’inserimento di piccole cose qua e là che ci dicono esattamente quando le vicende siano state ambientate: la mano della Statua della Libertà bloccata a Central Park per via della mancanza dei fondi per costruire il basamento e assemblarla, gli architetti Stanford White e Louise Blanchard Bethune (primo architetto donna degli Stati Uniti), Bloomingdale, la nascita della Croce Rossa, i nomi delle famiglie parvenu snocciolati con altezzosità dall’aristocrazia newyorchese, i primi passi di quello che diventerà il cinema, tra gli altri.

LA CONDIZIONE FEMMINILE 

In una serie tv in cui i personaggi femminili rappresentano più della metà del cast, è inevitabile che al centro della storia ci siano le difficoltà che le attendevano all’epoca (alcune delle quali purtroppo presenti ancora oggi).

Partiamo dai lati positivi: il loro ruolo nella società. Laddove gli uomini trascorrevano le loro giornate in ufficio, le donne avevano il compito gravoso di amministrare una casa e una famiglia.

La condizione di povertà della famiglia di Armstrong (la governante dei van Rhijn) costringe la donna a usare i guadagni e il tempo libero per prendersi cura dell’anziana madre nei bassifondi della città. La condizione di estrema povertà, umana ed economica, ci rivela nuovi lati del personaggio duro di Armstrong e la pone sotto una nuova luce.

È nella povertà che si verificavano anche situazioni come quella della giovane Bridget, abusata in famiglia, o della cuoca Mrs Bauer, indebitata, insolvente e disperata.

Nelle famiglie agiate, invece, la donna non aveva la conduzione della casa di per sé (che era demandata alla governante) ma era suo compito precipuo quello di coltivare le condizioni per rendere la vita e il lavoro del marito proficui. Erano le Mrs Russell, Mrs Fane, Mrs Morris e, ovviamente, Mrs Astor dell’epoca a organizzare le occasioni di incontro che avrebbero portato agli ottimi affari dei mariti, a occuparsi del mercato matrimoniale (dove l’uso del termine “mercato” non è casuale) sorvegliando sul futuro dei propri figli, ad usare strumenti quali la beneficenza non solo meramente per fare del bene ma anche per tessere relazioni sociali potenzialmente fruttuose, mantenere decoro e prominenza in società.

Erano le donne a condurre e governare la società dell’epoca. Ma, paradossalmente, rimanevano le più esposte ai rovesci della vita.

Mrs Morris si ritrova in condizioni disperate per via delle azioni imprudenti del marito suicida; Mrs Chamberlain (per quanto ne sappiamo al momento) e Turner hanno usato e usano mezzi scaltri per potersi assicurare un futuro diverso da quello deciso per loro alla nascita; Agnes van Rhijn ha dovuto concludere un matrimonio infelice con un uomo che disprezzava per poter salvare la famiglia dalla sconsideratezza del fratello.

In una scena che trovo molto indicativa abbiamo una Marian che confessa a Peggy di invidiare la sua indipendenza e autonomia quando tutto ciò che ci si aspetta da lei è fare la brava moglie in società. Un confronto ancora più interessante se consideriamo che avviene tra una donna bianca (che quindi non sarebbe stata oggetto di discriminazione razziale) e una nera.

Ed infine, parte delle ragioni per cui i genitori di Peggy Scott si ossessionano per la scelta della figlia di restare a servizio come segretaria presso i van Rhijn è legato ai pericoli che una donna nera correva in una casa bianca, in un ruolo per di più subalterno.

 

 

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OSCAR VAN RHIJN È DA CONDANNARE IN TOTO?

Una delle prime cose che scopriamo sull’unico figlio di Agnes è che è gay. La seconda è che sta cercando di fare un matrimonio ricco che accresca il suo patrimonio, con una ragazza abbastanza giovane e ingenua da non insospettirsi e permettergli di vivere la sua vita parallela con più o meno spensieratezza.

Davanti ai suoi tentativi di conquistare Gladys Russell, una parte di me si è profondamente indignata. Gladys è una giovane donna, una brava ragazza, e merita di sposarsi per amore con un uomo che la ami. Sposare Oscar la condannerebbe a un matrimonio potenzialmente senza amore e senza passione, per quanto lui la possa amare e rispettare come amica e compagna.

Ma allo stesso tempo, quali alternative ha Oscar? Di certo non può vivere alla luce del Sole il suo sentimento per un altro uomo e, se così fosse, in quanto unico figlio, alla sua morte, la proprietà e il cognome non potrebbero essere trasmessi a nessun altro.

Bisogna anche considerare che, a parte la premessa disonesta, Oscar sembra più che ben disposto a fare il possibile per assicurare a se stesso e alla sua futura moglie un avvenire sereno.

Per quanto io condanni una premessa così disonesta ad un’unione del genere, non me la sento di giudicare Oscar con estrema severità.

L’EMANCIPAZIONE AFROAMERICANA

Con la fine della schiavitù, gli uomini e le donne nere degli USA avrebbero finalmente avuto l’opportunità di vivere secondo i propri desideri e non i comandi di un padrone.

Ma fu effettivamente così? Come purtroppo sappiamo, no.

“The Gilded Age” è ambientato negli anni a cavallo fra l’emancipazione e la ratificazione della segregazione razziale del 1892. Ma il 1883 è l’anno in cui il Civil Rights Act del 1875 – che aveva stabilito la parità di trattamento nei luoghi pubblici per tutti i cittadini a prescindere dal colore della pelle – venne dichiarato incostituzionale e applicabile solo laddove fossero state leggi statali a stabilire una disparità e non i singoli individui. Come vedete le premesse per una segregazione prima che questa diventasse legge ci sono tutte.

Peggy Scott diventa il nostro vettore per conoscere al meglio possibile questo periodo: gli sguardi di sospetto, l’atteggiamento di ripulsa, le richieste indegne del giornale, i pregiudizi di Marian, tutto contribuisce a mostrarci la faccia non violenta del razzismo, ma non per questo meno grave ed esecrabile.

Nelle sapienti mani di Salli Richardson-Whitfield, la regia degli episodi 4 e 5 ci guida nella dimensione parallela afroamericana della storia e ci mostra senza pietà la realtà dei fatti.

Scopriamo così che la famiglia Scott è agiata perché il padre è un farmacista: non esistevano medici e farmacisti per uomini e donne nere, all’epoca, quindi conosciamo anche un uomo che è stato un pioniere nella sua comunità.

Veniamo a sapere che esistevano scuole specificatamente create per donne afroamericane in cui queste potessero essere istruite: qualcosa di rivoluzionario per l’epoca! E che parallelamente ai giornali bianchi, ai quartieri bianchi, agli intellettuali bianchi, tutti studiati sui banchi di scuola, c’era tutto un mondo parallelo che non è stato raccontato. E che ci fa comprendere (dove il “ci” siamo noi europei) perché il Black History Month appena concluso sia così importante.

Ed infine scopriamo anche che Peggy custodisce un segreto più grande di una semplice voglia di indipendenza dall’ombra paterna. La domanda che più mi pongo dal pilot e alla quale non abbiamo ancora avuto una vera risposta è: cosa ci faceva Peggy in Pennsylvania? Tra le opzioni c’è una banale fuga d’amore col garzone del padre, alla ben più foriera di conseguenze gravidanza.

DOWNSTAIRS

Come “Downton Abbey”, anche “The Gilded Age” narra le vicende delle persone a servizio delle famiglie ricche protagoniste e questi quattro episodi hanno iniziato a raccontarcene alcune delle storie.

Ciò che salta all’occhio è innanzitutto l’enorme disparità di numero e situazioni che sussiste fra le due case: dove i Russell hanno molti servitori, un cuoco francese, un’enorme cucina e livree lucide per tutti; i van Rhijn hanno poco personale, sicuramente con loro da molti anni e un po’ tutti fanno tutto.

In secondo luogo, le somiglianze con Downton sono numerose: i caratteri di alcuni personaggi, la relazione materna che intercorre fra Bauer e Bridget, l’arrivismo crudele della Turner…

Per ora li conosciamo molto poco e, eccezion fatta per l’incursione di Barrister dai Russell (durante la quale fa venire i dubbi a Church su qualunque cosa scatenando la mia ilarità), non si sono resi partecipi di scene particolarmente memorabili. Confido che li conosceremo sempre meglio andando più avanti con la storia.

 

 

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 IL MERCATO MATRIMONIALE

Per parafrasare la meravigliosa Amy March nell’ultima versione di Piccole Donne, il matrimonio all’epoca era una questione economica.

Le famiglie avevano tre strade per salire la china della società: accumulare ricchezze da usare come leva, essere presenti in quante più possibili iniziative benefiche e i matrimoni.

Gli anni della fine dell’800 sono quelli delle dollar princesses: giovani donne americane provenienti da famiglie estremamente ricche, date in spose a esponenti delle famiglie nobili o aristocratiche inglesi (e destinate a salvarne i patrimoni).

Noi ne abbiamo conosciuta una: Lady Cora Crawley era una dollar princess.

È naturale, dunque, che il mercato matrimoniale della Gilded Age sia uno dei temi al centro della storia. Abbiamo due giovani donne – Marian Brook e Gladys Russell – i cui destini matrimoniali sono di fondamentale importanza.

Entrambe devono essere tenute alla larga da avventurieri senza scrupoli che puntano unicamente al patrimonio familiare, entrambe potrebbero dover rinunciare alla felicità nel matrimonio in nome di una scalata sociale per la famiglia di origine o per se stesse.

Marian Brook al momento ha 30 dollari a suo nome ma resta parte della famiglia van Rhijn: è una preda piccola per i grandi predatori della società ma potrebbe essere molto interessante per qualcuno che in quella società vorrebbe entrare. Il dubbio sulla reale consistenza delle azioni delle ferrovie di Brook padre resta. E il sospetto che Tom abbia mire poco onorevoli, pure.

Se per Marian, però, si tratta in realtà di mantenere lo status quo, Gladys ci è stata presentata nel quinto episodio come vera e propria carne da macello.

Il giovane Archibald, pur provenendo da una ricca famiglia dell’antica aristocrazia e pur avendo davanti a sé un futuro promettente, non sarebbe stato sufficiente a esaudire le ambizioni sociali di Bertha. E quindi George lo pone davanti a una scelta impossibile: se avesse accettato di lasciare andare Gladys avrebbe ottenuto un avanzo di carriera…ma avrebbe perso Gladys. Se avesse sposato Gladys non avrebbe mai potuto renderla felice e serena dal punto di vista economico perché George avrebbe fatto qualunque cosa per impedirgli di fare carriera nella finanza.

Noi spettatori rimaniamo sconvolti nel vedere la spietatezza dei Russell nell’uccidere una possibilità di felicità coniugale per la figlia in nome dell’ambizione sociale. Ma allo stesso tempo riusciamo a intravedere forte e chiaro che le motivazioni di Bertha sono motivazioni legate al suo amore di madre, al desiderio, secondo me, di evitare alla figlia le sofferenze e l’ostracismo sociale che invece combatte lei ogni giorno, di sposare la figlia a qualcuno che fosse così al di sopra della gerarchia sociale newyorchese che il suo status non sarebbe mai più stato messo in discussione.

D’altro canto, però mi chiedo se Bertha dia per scontato il sentimento nel matrimonio: lei che ha avuto la fortuna di sposare, amare e essere amata da George, forse dimentica quanto questo contribuisca alla sua felicità e quanto le permetta di concentrarsi sulla sua ambizione.

Scorrendo le cronache dell’epoca, poi, mi ricollego al tema di apertura della mia analisi: esistono interessanti paralleli fra le premesse della storia di Gladys e le vicende della vita di Consuelo Vanderbilt. Non ci resta che scoprire quanto le due storie finiranno per assomigliarsi.

90/100

Vi saluto con il trailer della puntata che andrà in onda domani sera e vi invito a risentirci in occasione del finale di stagione.

 

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Ha un passato da ladra insieme alle sorelle Occhi di gatto, ha difeso la Terra nel team delle guerriere Sailor e fatto magie con Terry e Maggie. Ha fornito i sigari sottobanco ad Hannibal e il suo A-Team, indagato con gli Angeli di Charlie Townsend, ha riso con la tata Francesca ed è cresciuta con i 6 Friends di NY. Ha imparato ad amare San Francisco difendendo gli innocenti con le Streghe, è stata un pivello insieme a Jd-Turk-Elliott, ha risolto crimini efferati con praticamente il 90% di poliziotti e avvocati del piccolo schermo e amato la provincia americana con Lorelai e Rory Gilmore. Avrebbe voluto che il Fabbricatorte non chiudesse mai e non ha mai smesso di immaginare Chuck e Sarah che «sedano rivoluzioni con una forchetta». Lettrice appassionata, Janeites per fede, amante delle storie sotto ogni forma fin da piccola. Segue serie poliziesche, comedy e sit-com soprattutto, uniche allergie riconosciute sono quelle allo sci-fi e all'horror.

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