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Tell me a Story – Quando la sigla ti entusiasma più di tutto il resto

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Tell me a Story – Quando la sigla ti entusiasma più di tutto il resto

La cosa più convincente di #Tellmeastory, serie TV che vede il ritorno di Kevin Williamson come creatore e produttore, ve lo confesso subito (del resto il titolo parla da solo), è la SIGLA.

Vedi questi schizzi muoversi e ripercorrere le classiche storie della prima infanzia e il tutto, dai colori alla musica, ti accompagna verso un epilogo che non è assolutamente quel “e vissero tutti felice e contenti” che ti aspetteresti. ANZI. Le atmosfere sono da subito cupe, la pioggia che scende copiosa rende il tutto freddo e triste: anche la presentazione dei personaggi e della storia ti fa capire senza ombra di dubbio che di fairytale non ci sarà molto in questa serie.

Ci sono parecchi spoiler da qui in poi, se continuate lo fate a vostro rischio e pericolo.

Confesso che la sigla mi ha creato grosse aspettative, possibile che abbiano investito così tanto in essa dimenticandosi del resto? Io spero di no, per il futuro, perché questo pilot mi ha lasciata non troppo convinta di aver trovato una serie che valga la pena continuare. Motivazione? La totale mancanza di originalità della storia.

(lei è Cappuccetto Rosso… o il lupo?)

C’è la studentessa che, attraversando il post-morte di sua madre, si butta su alcol, droga e “una botta e via”, e che casualmente se la fa (proprio la prima primissima volta che esce nella nuova città!) con colui che sarà per un po’ il suo prof… UN CLASSICO. Tra l’altro suddetto prof. aveva anche l’aria un  po’ da psico-stalker… così, giusto per non farsi mancare niente di banale.

C’è la coppia di amici gay che si ritrova in un non tanto voluto ménage à trois col morto… CHI L’AVREBBE MAI DETTO.

C’è anche la coppia perfetta, peccato che lei sia così ossessionata dalla crudeltà e dalla violenza del mondo da mettere in stand by la sua stessa vita. E, quando si rende conto che non può lasciarsi influenzare così, chiede all’uomo che ama di sposarla (come lui vorrebbe – e sono anche bellissimi, eh!) ed ecco che di lì a due minuti si ritrovano nel bel mezzo di una rapina proprio nella gioielleria in cui vogliono comprare le fedi. CHE LEI NE USCISSE FERITA ERA CHIARO DA QUANDO CE LI HANNO MOSTRATI DAVANTI ALLA VETRINA. SE MUORE SIAMO ALLA FIERA DELL’OVVIO.

(Tra l’altro, li sorpassano… e poi arrivano comunque in gioielleria dopo di loro… cosa avranno mai fatto in tutto quel tempo?!?)

E poi c’è Paul Wesley che si vede in due scene, di cui una in mutande bianche anni ’80 che te prego anche no (pur apprezzandone il contenuto, ovviamente, ma con i jeans quasi era più eccitante), e che nonostante la barbetta incolta ha sempre l’espressione da cane bastonato di Stefan Salvatore. Nella seconda scena aveva la maschera da porcellino. GRAZIE. Peraltro, se tanto mi dà tanto, autore del casino in gioielleria sarà stato proprio il suo personaggio visto che gli era stato chiesto “di non fare casini”. Le ultime parole famose.

Sono 50 minuti che trascorrono comunque in modo piacevole perché le storie ci sono, non sono una novità ma forse è troppo presto per essere del tutto negativi e, in fondo, non posso dire che la narrazione non coinvolga, anche se non così tanto da volere subito la prossima puntata. In effetti, potrei anche farne a meno.

Insomma, sono partita con entusiasmo per il poter ritrovare un prodotto di Williamson, per la curiosità di vedere come se la sarebbe cavata Wesley in un ruolo più reale e cupo, e mi ritrovo molto soddisfatta e stupita della performance di Danielle, a mio avviso cresciuta moltissimo, molto espressiva e credibile. Mettiamoci pure che in mezza scena si vede anche Neal/Baelfire (di ONCE), che evidentemente fuori dalle Storie non ci sa stare ma che comunque recita molto bene e, seppur si veda poco, mi è piaciuto, e il minestrone è servito. Vediamo se mi portano il formaggio nella prossima puntata perché così non sa di molto.

E ora… VOTIAMO!

STORIA: 5

Per ora niente di nuovo, solo il ritmo godibile la salva da un 4

INTERPRETAZIONI: 7

Niente di eccezionale, ma è comunque ben recitata

AMBIENTAZIONI: 6,5

Siamo nell’America di Trump, giorni nostri, tutto è reale e concreto

VOTO COMPLESSIVO: 6

E voi che l’avete vista, cosa ne pensate? Sono stata troppo cattiva?

 

 

 

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Nata negli anni 80, grazie al suo papà clone di Magnum P.I., cresce a pane e “Genitori in blue jeans” (dove si innamora di Leonardo di Caprio che troverà poi in quei film tanto amati come "What's Eating Gilbert Grape" o “Total eclipse”), l’uomo da 6 milioni di dollari, l’A-Team, Supercar e SuperVicky. L’adolescenza l’ha trascorsa tra Beverly Hills 90210, Santa Monica e Melrose Place..il suo cuore era sul pianeta di Mork e alle Hawaii..anche se fisicamente (ahimè) era sempre e solo nella provincia bergamasca. Lettrice compulsiva fin dal giorno in cui in prima elementare le hanno regalato Labirinth è appassionata di fantasy (Tolkien è il suo re, Ann Rice e Zimmer Bradley le sue regine) e di manga (Video Girl AI in primis per arrivare a Paradise Kiss e Nana), anche se ultimamente è più orientata a letture propedeutiche pediatriche! Ama studiare (tra laurea, dottorato e master ha cominciato a lavorare a 28 anni!!) ed imparare, ma non fatela arrabbiare altrimenti non ce ne è per nessuno!

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