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Telefilm Addicted consiglia… Mr. Robot

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Telefilm Addicted consiglia… Mr. Robot

Mi è sempre riuscito difficile apprezzare quasi tutte le serie appartenenti a quella categoria eletta, idolatrata dalla critica, forse perché mi ispirano un’istintiva diffidenza o perché mal sopporto quel senso di costrizione che cercano di importi alcuni membri (spesso la parte peggiore) del fandom.
Ma sì, ho detto quasi, e una delle felicissime eccezioni alla regola è Mr. Robot. Per una come me, che per motivi di studio ha avuto spesso e volentieri a che fare con la sottocultura degli hacker, questa serie rappresentava contemporaneamente un imperativo e un terrore (vuoi perché veniva presentata come prodotto “di nicchia”, vuoi perché era innegabile il pericolo di ritrovarsi ad assistere all’ennesima pantomima disinformata e grottesca, quasi parodistica, di un mondo che invece ha radici culturali e ideologiche tanto forti quanto troppo spesso ignorate).
E invece.
Nonostante lo scetticismo, nonostante i pregiudizi, sono rimasta assolutamente folgorata. Quasi mi duole dare ragione alla critica e parlare per frasi fatte, ma devo ammettere che Mr. Robot è assolutamente un gioiello, sia dal punto di vista prettamente narrativo che per quanto riguarda l’aspetto tecnico.

Un po’ di trama…

La storia segue le vicende di Elliot Alderson, un brillante ingegnere informatico che di giorno lavora per una ditta di sicurezza informatica, la Allsafe, e di notte si concede di soddisfare l’istinto insopprimibile che lo porta ad hackerare le vite delle persone che entrano in contatto con lui, sull’onda di un cinismo e di una paranoia che non è in grado di arginare.
Nonostante tutti i suoi fantasmi (o forse proprio grazie ad essi), Elliot finisce per attirare l’attenzione del misterioso Mr. Robot, il portavoce del gruppo fsociety, che ha come scopo ultimo quello di liberare la gente comune dai debiti. Per farlo, vuole colpire al cuore e portare al fallimento la multinazionale E Corp (identificata dal protagonista come Evil Corp, anche e soprattutto a causa del ruolo giocato dall’azienda nella morte del padre).
Intendo rimanere volutamente sul generico e non fornire dettagli aggiuntivi, un po’ perché sintetizzare in poche, semplici parole le delicate e complesse relazioni che legano i protagonisti sarebbe impossibile e francamente riduttivo, un po’ perché la serie è un continuo colpo di scena e non voglio correre il rischio di anticiparvene involontariamente qualcuno (si sa, l’addicted medio è veterano di mille battaglie e ormai ha sviluppato capacità investigative degne di Sherlock e doti di preveggenza tali da far invidia a Melisandre).

In sostanza, però, cos’ha questa serie di tanto speciale? Che cosa dovrebbe spingervi a recuperare i dieci episodi della prima stagione? Proviamo a procedere per punti.

Uno: Rami Malek. Punto. Senza se e senza ma.

Prima della trama geniale, prima delle scelte ispirate, prima della qualità tecnica, c’è lui, un ragazzo di trentacinque anni che non si è limitato a interpretare un personaggio, ma è riuscito a renderlo vivo, reale, quasi palpabile.
E intendiamoci, non si trattava di un compito facile. Il ruolo di Elliot, con la sua paranoia, la dipendenza da morfina, le allucinazioni e l’estraniazione totale che creano una frattura incolmabile fra lui e gli altri esseri umani avrebbe messo in seria difficoltà qualunque attore.
Forse altri sarebbero riusciti nell’impresa, ma sono assolutamente convinta che nessuno avrebbe saputo farlo in maniera così perfetta.

Due: la trama. Su questo punto mi sono già soffermata anche troppo, ma non mi stancherò mai di ripeterlo. La storia non è mai banale, nessun aspetto è tirato via e nessun nodo viene lasciato irrisolto o trattato in maniera superficiale.
In Mr. Robot il caso non esiste, anche il più piccolo e all’apparenza insignificante dettaglio può rivelarsi di importanza vitale a diversi episodi di distanza.

Tre: il cast in generale. Non era facile mettere insieme un gruppo di attori che riuscisse nell’ardua impresa di non lasciarsi eclissare dall’interpretazione di Rami Malek, ma USA Network sembra aver superato in maniera brillante la prova.
A un Christian Slater in stato di grazia, si affiancano volti più o meno noti della televisione, fra i quali spicca per la sua performance Martin Wallström, che presta il volto a Tyrell Wellick, vicepresidente della E Corp e controparte oscura di un personaggio già ricco di ombre come quello di Elliot.

Quattro: Le riflessioni/monologhi di Elliot, spesso indirizzate al suo “amico immaginario”.

Elliot: Hello, friend. Hello, friend?
That’s lame.
Maybe I should give you a name.
But that’s a slippery slope. You’re only in my head.
We have to remember that.

Queste riflessioni aprono una finestra illuminante sulla mente allucinata del protagonista, sulle sue pulsioni e sul suo modo di vedere la società. Un esempio perfetto è il flusso di pensieri ispirato da Krista, la terapista, quando chiede a Elliot cosa ci trovi di così deludente nella società. La sua risposta è una sorta di sintesi perfetta delle sue convinzioni.

https://www.youtube.com/watch?v=GYo2wtL9fsY

Krista Gordon: And what is it about society that disappoints you so much?
Elliot: Oh, I don’t know.
Is it that we collectively thought Steve Jobs was a great man even when we knew he made billions off the backs of children?…
Or maybe it’s that it feels like all our heroes are counterfeit.
The world itself’s just one big hoax.
Spamming each other with our burning commentary *bullshit* masquerading as insight.
Our social media faking as intimacy. Or is it that we voted for this.
Not with our rigged elections but with our things, our property, our money.
I’m not saying anything new, we all know we do this, not because “Hunger Games” books make us happy, but because we want to be sedated.
Because it’s painful not to pretend because we’re cowards…
F – – society.

Cinque: la qualità. In questo momento mi sento molto Renè Ferretti, ma va bene lo stesso. Mi sono già trovata di fronte a serie che erano dei piccoli capolavori a livello tecnico (parlo ad esempio di Broadchurch, che a mio parere ha una delle fotografie più belle del panorama telefilmico) e devo dire che Mr. Robot, da questo punto di vista, non teme paragoni. Tutto è perfettamente curato, a partire dalle scenografie urbane fino ad arrivare al coloring e al montaggio.

Sei: le scene di hacking.

https://www.youtube.com/watch?v=7sTpN04x0Og

Quelli che rischiavano di essere i momenti più deboli dello show sono stati gestiti in maniera piacevole e dinamica, trasformandoli in veri e propri punti di forza.
Le trovate di Elliot non sono mai rocambolesche o poco credibili e gli aspetti tecnici, pur trattati con un linguaggio semplice, rimangono il più possibile aderenti alla realtà.

Sette: i personaggi secondari. Elliot ha una personalità decisamente eccentrica, ma i suoi comprimari non sono sicuramente da meno.
Se avevate paura che il protagonista finisse per dominare incontrastato un regno popolato soltanto da insipide figurine bidimensionali, rilassatevi pure. Tutti hanno una loro storia, tutti nascondono complessità inaspettate (ok, tutti tranne Ollie, ma a mia discolpa posso solo citare le parole di Elliot: “Am I crazy not to like this guy? Among some of his facebook likes are George W. Bush’s Decision Points, Transformers 2: Revenge of the Fallen, and the music of Josh Groban. Must I really justify myself any further?”).

Non so se quello che ho detto è bastato a convincervi a recuperare Mr. Robot, o se ha finito soltanto per annoiarvi a morte. Io spero di essere riuscita nell’intento, soprattutto perché si avvicina il 13 luglio, data in cui andrà in onda la premiere della seconda stagione.

https://www.youtube.com/watch?v=YibylhkLwGo

Nella speranza che sia all’altezza della prima, vi lascio con tre splendidi video dedicati alla serie e vi do appuntamento alla settimana prossima con la prima recensione della nuova season.

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