Ho appena finito il recupero dell’intera serie di Call the Midwife e, nell’attesa del ritorno previsto per il prossimo anno (troppo, troppo tempo. Sono matti?! *Io, ogni volta che mi metto in pari con un telefilm e affronto l’inesorabile realtà che si spalanca temibile davanti a me), ho pensato che non potevo proprio non parlarvene.
So bene che si tratta di sei stagioni già andate in onda (ma è stata rinnovata per altre tre, yay!!) e che state pensando che almeno potevo consigliarlo quando erano solo due stagioni ed era quindi fattibile un recupero senza doversi murare vivi in casa, considerando che avete/abbiamo dodici milioni di altre serie da iniziare conservate opportunamente per “quando avrò tempo la prossima estate” (in cui stranamente tutti noi pensiamo che il tempo si dilaterà e potremo recuperare tutto il visibile televisivo), ma poiché l’ho amato tanto, avverto proprio un moto interiore che mi spinge a parlarne. Inoltre si tratta di un prodotto inglese mandato in onda da BBC, quindi con un numero di puntate piuttosto contenuto: sei la prima stagione e otto+una tutte le altre.
Secondo il mio soggettivo parere, Call the Midwife è un gioiellino che sarebbe un peccato perdersi, per una serie di ragioni che vi esporrò cercando di non spoilerare nulla, contentendomi a fatica perché sarebbe invece mio desiderio passare le ore ad analizzare vita morte e miracoli di tutti i personaggi, ma soprattutto la mia preferita, cioè Trixie. (Non è meravigliosa?!).
Call the Midwife è un telefilm sostenuto e attraversato da un robusto buonsenso, che è la sua qualità principale. Ispirato da un romanzo con lo stesso titolo, mette in scena, in modo sempre puntualmente nuovo e interessante, la vita lavorativa e comunitaria di un gruppo di ostetriche, sia laiche che religiose, che operano in un quartiere povero londinese, prendendosi cura delle partorienti e in pratica di qualsiasi altra cosa, divenendo il fulcro del circondario. Voi quindi vi chiederete: come fanno a parlare sempre e solo di parti? Visto uno visti tutti e non è nemmeno sempre necessario o desiderabile vederli (vi conforto subito, l’evento è di solito veloce e meno dettagliato di quanto temete). È un’obiezione che mi sono fatta anche io al terzo episodio della prima stagione. In realtà Call the Midwife è molto più di questo.
Parla di solidarietà, del fare del proprio meglio, analizza con grande delicatezza e profondità psicologica le tematiche prese in esame nella singola puntata, che trattano di problemi universali, della natura umana nella sua complessità con le sue aspirazioni e debolezze, di sogni, speranze, delusioni e tragedie, ma anche piccole gioie e grandi traguardi. Ogni personaggio riesce a farsi amare, anche se magari ci vuole del tempo (e sì, amerete anche le suore, soprattutto le suore), perché ci viene mostrato in tutta la sua umanità e fragilità. Non vengono risparmiati temi forti, rilevanti e controversi (anche da pugno nello stomaco, talvolta) perché Call the Midwife è una serie tv ottimamente inserita nel tessuto storico e sociale, che si modifica insieme ai protagonisti. Si parte da una Londra post seconda guerra mondiale e si affrontano i cambiamenti che hanno trasformato i suoi abitanti e la sua fisionomia.
Nonostante possa, all’apparenza, apparire come un telefilm ricoperto da una patina buonista, non lo è affatto. Non cerca la soluzione tarallucci e vino a ogni costo. Mostra la realtà senza sconti. Mostra però, ed è qui il punto di forza, come i personaggi cerchino sempre di fare del loro meglio. Ci fa vedere la bellezza – e la fatica – dell’altruismo, della collaborazione, del porre se stessi al servizio di qualcosa più grande di noi e il continuo confronto con ciò che è diverso, che ci costringe a metterci in discussione.
C’è una discreta alternanza di personaggi, il che può creare un elemento di disturbo se, come me, tendete a legarvi visceralmente ai protagonisti che compaiono all’inizio e vedete ogni addio/nuovo arrivo come un tradimento. In realtà, nonostante non sia sempre stato piacevole salutare qualcuno, è stato un ottimo modo per riuscire a conoscere realmente ognuno di essi, senza che nessuno assuma un ruolo di maggiore rilievo.
In ultimo, se amate le storie d’amore, avrete pane per i vostri denti, perché ce ne sono per tutti i gusti, da quelle meno probabili, a quelle debitamente sofferte, insieme a una per cui sto ancora agitando i forconi. No, non fatemi parlare.
È quindi una serie tv che funziona un po’ come il porto accogliente che ti aspetta ogni sera (io la centellinavo così), e che ti circonda di bei sentimenti, ti fa vivere in un mondo dove l’onestà, la correttezza e la giustizia sono le qualità primarie (finalmente!) e che ci fa tornare nella nostra realtà con un po’ più di fiducia nel genere umano e nella bellezza generale dell’universo.