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Home Anne with an E

Telefilm Addicted consiglia… Anne with an “E” (Chiamatemi Anna)

Syl by Syl
24 Maggio 2017
in Anne with an E, Rubriche & Esclusive, Telefilm Addicted consiglia...
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Ho letto il romanzo di “Anna dai capelli rossi” (Anne of Green Gables – 1908, Lucy Maud Montgomery ) soltanto da adulta e non ho ricordi precisi del cartone animato, anche se, stranamente, il ritornello che fa più o meno “Non ha una mamma né un papà” se ne sta piazzato saldamente nella mia mente da decenni, credo soprattutto perché l’infanzia di certe generazioni, tra cui la mia, è stata inevitabilmente segnata da storie di bambini/animali orfani a cui capitavano le peggiori nefandezze nella completa assenza/indifferenza da parte di adulti ancora darwinianamente convinti che la vita fosse una lotta alla sopravvivenza a cui dedicarsi sin dalla più tenera età. Per cui, bambini, arrangiatevi.

Non sono quindi particolarmente legata alla storia e non potrei fare paragoni dettagliati tra il romanzo e la serie tv che ne è un nuovo riadattamento in sette puntate, disponibile su Netflix. Quello che posso affermare con cognizione di causa è che questo telefilm si divora in una serata, perché sin dai primi minuti non si può che fare altro che legarsi tenacemente alle sorti di questa povera ragazzina che ci fa una tenerezza dell’altro mondo, pur essendo, a tratti, (molto) insopportabile. [Mi assumo la responsabilità di questo ultimo commento].
Anna è estremamente sensibile, creativa, generosa e ha una tumultuosa vita interiore e immaginativa che non sa ben gestire, come è naturale che succeda vista la sua età, ma che talvolta dà un po’ sui nervi. È una spanna sopra chiunque altro al villaggio, in quanto a intelligenza e autoconsapevolezza – tranne il giovane Gilbert che, a sfortune famigliari, levati anche tu, Anna -, ma ha delle reazioni emotive che passano istantaneamente dalla gioia assoluta al peggiore degli scoramenti, sia perché è un’adolescente a tutti gli effetti, sia perché non ha avuto, fino al momento in cui è stata accolta dai Cuthbert, una mano amorevole e sicura che la sostenesse nel suo percorso di crescita.

La serie di Netflix pone l’accento su qualcosa che il libro non fa, cioè sulla durezza delle condizioni di vita di Anna prima che questa venisse stravolta in meglio da una circostanza del tutto casuale, dal momento che la premessa della narrazione è che Marilla e Matthew Cuthbert, i suoi futuri adottanti, volevano in realtà un ragazzo che potesse aiutarli nella conduzione della loro fattoria. Si trovano invece con una ragazzina piena di brio e di brama di essere amata di cui in sostanza non sanno che farsene, al punto da volerla rimandare indietro.
Quello che Anna ha passato, le brutture e lo sfruttamento a cui è stata sottoposta – prassi comune per tutti gli orfani che non avevano la fortuna di trovare una famiglia che li prendesse con sé -, fanno inestricabilmente parte della sua identità e vengono messi chiaramente in mostra attraverso dei flashback che ci fanno stringere il cuore, soprattutto per l’assoluta mancanza di misericordia da parte di adulti che vedevano in un ragazzino senza risorse soltanto della manodopera a bassissimo costo.
Ho letto che ci sono state delle critiche per questo aspetto della serie, da parte di chi aveva apprezzato l’ottimismo e la positività del personaggio di Anna descritto nel libro, e che non voleva “contaminarlo” con delle “brutture”, come se al mondo non ci fosse già abbastanza sofferenza, di questi tempi, da doverla infilare per forza in una storia per l’infanzia, che dovrebbe invece essere una sorta di fuga magica in un universo fittizio pieno di calore.
È innegabile che assistere a certe scene sia un pugno nello stomaco (anche perché non ci viene risparmiata una certa crudezza), e la stessa affermazione di Anna “Preferisco immaginare che ricordare” va a suggellare, se ci fossero ancora dubbi, la traumaticità delle esperienze vissute nelle famiglie affidatarie e ci fa venire voglia di correre ad abbracciarla e tenerla al sicuro per sempre. Anna usa l’immaginazione per sfuggire a un mondo troppo crudele. Le storie che inventa o legge sono le braccia che non l’hanno mai cullata e confortata.

Io, in realtà, mi trovo d’accordo con la scelta degli autori, non solo perché la trovo più realistica e anche, da un certo punto di vista, più consona proprio a quei “tempi” che stiamo vivendo, ma anche perché è in grado di conferire molta più complessità psicologica alla stessa protagonista – non più ridotta a baluardo di un ottimismo mantenuto a qualsiasi costo -, e di aggiungere sfumature molto più interessanti agli altri personaggi con i quali Anna si interfaccia.

Il problema della letteratura per l’infanzia è che situa al centro il protagonista-innocente, che vaga sperduto nel mondo, che si impegna a insegnargli con una certa gioia maligna, o forse solo crudele indifferenza, il concetto di “resilienza” con le maniere forti. Il bambino si ritrova a essere circondato da adulti-orchi bidimensionali nella dicotomia “Buoni-Cattivi” che, se si può vedere come una semplificazione necessaria per dei giovani lettori, tende ad appiattire la trama, privandola di risvolti psicologici che la rendono godibile anche per un pubblico adulto.
Grazie a questo meccasnismo, esce così un ritratto di Marilla, per esempio, con la quale è molto più facile relazionarsi ed empatizzare, senza immediatamente catalogarla alla voce “Cattiva”, perché non lo è, nel modo più assoluto.

Marilla è una donna che fatica a relazionarsi con Anna, perché abituata a una vita di rigorosa repressione delle emozioni, e perché, ammettiamolo, non è facile avere a che fare di punto in bianco con un ciclone che viene a spazzare anni di abitudini e di tran tran rigidamente impostati, soprattutto se nemmeno lo volevi. È anche molto dura con lei, nella convinzione che i bambini siano da “raddrizzare”, più che da accogliere e guidare amorevolmente. Ma non è mai cattiveria fine a se stessa. Vediamo Marilla lottare per trovare il modo di rapportarsi ad Anna, sapendo istintivamente che è lei che deve trovare la chiave per farsi ascoltare, senza imporle solo metodi repressivi. Anzi, qualche volta Marilla diventa perfino troppo indulgente davanti a scoppi emotivi di Anna tipici di una certa *fase* (non voglio spoilerare) e comportamenti meno che rispettosi da parte della ragazzina, rendendocela ancora più cara. Amo Marilla. La sua correttezza, l’affettuosità che si intravede sotto la dura corazza e l’amore che prova per Anna sono una delle cose migliori della serie.

Per non parlare di Matthew, l’uomo taciturno, grande lavoratore, su cui grava il sostentamento di tutta la famiglia, abituato a non contraddire gli ordini della sorella e che si trova invece a essere immediatamente conquistato dalla personalità di Anna, divenendo subito suo alleato, osando opporsi per amor suo ai modi bruschi di Marilla, e ai suoi tentativi di imporre alla ragazzina un’educazione poco indulgente.

Non che non siano presenti momenti-cliché tipici di una certa letteratura. Anna non trova immediatamente la ricompensa alle sue antiche sofferenze, quando viene introdotta nella vita comunitaria. Si trova, anzi, a subire le stesse prepotenze di un tempo, atti di bullismo e una generale intolleranza per le sue origini, da un lato, e la sua eccentricità, sinonimo di una gran brama di godersi fino in fondo tutto quello che la via le offre. È vittima di bullismo perché 1. troppo magra 2. troppo strana 3. troppo orfana 4. troppo a conoscenza dei fatti del mondo, inadatta alle orecchie ingenue dell’infanzia protetta sotto una campana di vetro 5. troppo brava a scuola 6. con i capelli troppo rossi 7. con troppe lentiggini.
Nel confrontarsi con il nuovo contesto in cui viene inserita, Anna si trova davanti a una stereotipie piuttosto classica: il mondo che rifiuta l’eroe e l’eroe che deve quindi compiere atti valorosi per farsi accettare, per cui possiamo metterci serenamente da parte il classico “Sii te stessa/o e tutti ti accetteranno”. Non è il caso di Anna, che si trova invece costretta ad affrontare situazioni che, francamente, sarebbero inadatte perfino per un adulto non specializzato nel dramma in questione. Lei lo fa in modo naturale, perché spinta da un gran cuore e una naturale predisposizione all’altruismo, ma in cambio riesce a incrinare la diffidenza dei nuovi compaesani nei suoi confronti.
Capisco che è quello che che tendenzialmente succede nelle comunità, soprattutto se piccole, dove è l’estraneo che si forza di farsi accettare e non viceversa, ma magari non lasciamo le sorti di un intero villaggio nelle mani di una bambina, se pur piena di risorse come Anna. E, anche qui, va bene mostarla genio, ma sarebbe meglio non mostrarla capace di conoscere alla perfezione qualsiasi ambito dello scibile umano.

Anna è una bambina che soffre, come è naturale, di una dolorosa ferita di non accettazione e vive nel costante timore di essere abbandonata di nuovo e rimandata indietro alle passate sofferenze. Credo che sia questo il motivo per cui è fin troppo sensibile a certe situazioni e ha reazioni eccessive rispetto al contesto che le ha prodotte. Il suo è un cammino graduale che passa dal rifiuto e dalla solitudine più crudele, all’accettazione, al sentirsi parte di una famiglia, in cui tutti i membri danno il proprio contributo, soprattutto nei momenti difficili. Non solo impara ad accettare e a sentirsi sicura dell’affetto di qualcuno – impara a fidarsi che quell’affetto non le verrà mai più negato, perché questo accade in una famiglia – ma riesce a rielabolarlo e farlo pienanamente suo al punto da diventare lei stessa fonte di conforto e di sostegno per Marilla. Le dà una grande lezione di saggezza e maturità quando, comprendendo istintivamente le sofferenze dell’altra, le dice, con una semplicità che rende lo scambio quasi commovente e sicuramente efficace (per noi e Marilla) che forse si dovrebbe imparare ad accettare l’affetto altrui – concretizzato in quel caso in un’offerta di aiuto – perché è questo il senso dello stare al mondo insieme al prossimo.

Non che Anna sia perfetta. È pur sempre una ragazzina in crescita, che compie qualche piccolo atto di ribellione, che disubbidisce alle condizioni imposte per il suo bene, e si rende protagonista di qualche indelicatezza quando, come tutti gli altri, giudica una situazione solo dall’apparenza, fermandosi all’irritazione che una persona le suscita, senza prendersi la briga di andare fino in fondo. Ma è normale e giusto che ci venga descritta in questo modo, e non come l’angelo del focolare per sempre grato di essere stato salvato al punto da dover reprimere degli istinti umanissimi.

Vi invito caldamente a guardare questa serie e rimanere affascinati e colpiti da un personaggio irresistibile come Anna, in una trasposizione moderna in grado di catturare lo spettatore fin dai primi minuti. Fatemi sapere se l’avete visto e che cosa ne pensate!

– Syl

Syl

Syl

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Comments 1

  1. Nick says:
    4 anni ago

    Non ho letto il libro. L’anime, invece, l’ho visto tre volte (l’ultima l’anno scorso) e forse è il più bello di tutti i tempi: narrazione poetica e delicata, disegni veristi, colonna sonora pazzesca.

    Avevo quindi grandi aspettative per questa serie: sono solo alla terza puntata, ma la delusione è grande. Tutta la delicatezza e la poesia del cartone sono sparite, per lasciar spazio a una storia che ha la stessa grazia di un film di Canale 5 trasmesso in un pomeriggio estivo.

    Anna, nel cartone, era una ragazzina adorabile: qui è insopportabile.

    Marilla era una conservatrice convinta: qui diventa una progressista.

    Matthew aveva paura della sua stessa ombra e quando vedeva arrivare qualcuno si nascondeva nello sgabuzzino: qui diventa talmente socievole da presentarsi a un pic-nic.

    Gli altri personaggi sono assurdi: prima accolgono Anna a braccia aperte e un minuto dopo, senza un motivo, la trattano malissimo.

    Spero si riprenda nelle successive quattro puntate, ma non sono fiducioso.

    Rispondi

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