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Supergirl | Recensione 2×11 – The Martian Chronicles

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Supergirl | Recensione 2×11 – The Martian Chronicles

In attesa. Allo stato attuale, così mi appare la serie al momento. In attesa che la storyline orizzontale di questa seconda parte di stagione venga finalmente svelata, in attesa che un nuovo big villain raccolga il testimone lasciato da Lillian Luthor al momento del suo arresto, in attesa di quegli anelli di congiunzione tra un episodio e il successivo che innegabilmente rappresentano uno degli elementi fondanti di una serie come “Supergirl”. Per quanto mi riguarda però, devo anche ammettere che questa attesa non soltanto non mi pesa, ma credo anche si stia rivelando sorprendentemente tempestiva per le evoluzioni dei rapporti personali tra i personaggi, spesso sviluppati grazie anche alle dinamiche messe in moto dal villain dell’episodio [che diventa dunque il modo di fare terapia dei supereroi]. Ciò che apprezzo molto di questi episodi solitamente definiti “filler” è proprio il tempo che gli sceneggiatori si stanno evidentemente prendendo per focalizzare l’attenzione su sfumature emotive che a volte, in un episodio particolarmente ricco di storia e grandi eventi, rischiano di essere lasciate in secondo piano, ed essendo personalmente più legata a questo tipo di caratterizzazione non posso non riconoscere quanto questo atteggiamento stia confermando ciò che in fondo ho sempre creduto di “Supergirl”. Inoltre, come ho già anticipato, adoro come il villain di turno, solitamente una nemesi già conosciuta e affrontata in passato, diventi il punto di partenza per una discussione più ampia e personale tra i protagonisti. Quindi se Roulette [di cui invoco il ritorno] ha portato a un’ulteriore svolta nel rapporto tra Kara & Mon-El e soprattutto nell’attitudine del daxamita nei confronti della vita dell’eroe, e Livewire ha invece permesso a James e Winn di rapportarsi con Kara su quale sia la vera natura di un eroe e a chi spetti definirla, i White Martians hanno “scavato” più in profondità in questo episodio portando spessore a due legami fondamentali: quello che costituisce il cuore pulsante di questo show e quello che forse ci aspettavamo ma che abbiamo visto crescere in maniera molto più graduale rispetto ad altri rapporti presentati nella serie. Ma ciò che devo anche riconoscere ai White Martians è il merito di aver dato vita a una storyline verticale assolutamente straordinaria!

La trama centrale di questo episodio infatti è stata caratterizzata da un elemento narrativo comune nelle serie tv fantasy/sci-fi, ma che personalmente adoro ritrovare in quasi tutti i contesti perché porta la storia a un inedito livello di tensione che dona innegabile fascino all’episodio e anche ai personaggi coinvolti. Si tratta infatti della capacità del villain del momento di cambiare il proprio aspetto a seconda delle esigenze, alimentando però in questo modo il timore più radicato e potenzialmente distruttivo in ognuno di noi: quello di non potersi fidare neanche del volto più familiare. Il dubbio, in casi del genere, ha fascino per me, non posso negarlo. Quando sei al corrente della possibilità che uno dei personaggi non sia effettivamente chi dica di essere, il detective nascosto in tutti noi prende il sopravvento perché cominci a prestare attenzione alle piccole cose, ai dettagli, ai modi di parlare, di muoversi, di comportarsi, cercando in questo modo di intuire quella falla che inevitabilmente farà cadere la maschera del mutaforma rivelando così il suo vero volto. Da “Sleepy Hollow” a “Haven”, dagli Zygon di “Doctor Who” ai White Martians di “Supergirl”, quando la minaccia indossa il volto e la mente della persona di cui più ti fidi, il confronto si trasforma in un’intrigante caccia al clone dai risvolti a volte intuibili ma altre volte sorprendenti. Il clima di paura e sfiducia che si crea alla DEO nel momento in cui J’onn sigilla ogni via di fuga nella base è evidenziato da un gioco di luci ed ombre tipico per questa topologia di scene, ma che in fondo ottiene sempre l’effetto sperato, creando quell’atmosfera di sospetto che sposa perfettamente gli intenti della storia, mentre disporre tutti i personaggi intorno al grande tavolo rotondo della base operativa li pone tutti egualmente sullo stesso piano di incertezza e dubbio, alimentando esponenzialmente le accuse reciproche.

Almeno fino alla letterale prova del fuoco imposta da J’onn. Se scambiare una delle comparse non sarebbe servito a molto a livello narrativo, con M’gann ci eravamo già passati e J’onn era già fuori da ogni sospetto avendo suggerito lui la soluzione, diventava ben presto evidente che tre erano le uniche opzioni rimanenti: Kara, Winn e Alex. Scegliere il volto e i modi di Winn come copertura per la reale identità del white martian ha rappresentato una novità interessante sia dal punto di vista della storia sia per l’effetto ottenuto dall’interpretazione improvvisamente stravolta di Jeremy Jordan;


introdurre però un secondo clone quando ormai avevamo abbassato la guardia è stato geniale, soprattutto se questa volta indossa i lineamenti e i modi della persona più vicina a Kara. Evidenziando anche un morphing facciale non male da guardare, l’inserimento dei white martians nella storia e soprattutto nelle dinamiche personali tra i personaggi diventa dunque per questo episodio la spinta necessaria per mettere in moto un nuovo ritmo della vicenda e per aprire due confronti emotivi che si affermano quindi come indiscussi protagonisti della puntata.

“Six billion people in the world, six billion souls. And sometimes all you need is one”

 
 

È particolarmente facile per me vagare tra i ricordi e gli insegnamenti lasciati da “One Tree Hill” e trovare sempre le parole giuste per descrivere ogni situazione, ogni legame, ogni sensazione. E quando guardo il rapporto tra Kara & Alex, spesso mi torna in mente questa frase perché nonostante siano entrambe circondate da persone che sono diventate col tempo un punto fisso della loro quotidianità, le sorelle Danvers rappresentano tutt’oggi l’una per l’altra l’unica persona di cui hanno entrambe bisogno costantemente, il supporto incondizionato che non può venire meno, la metà senza cui non sarebbero complete. Nonostante infatti i cambiamenti che la serie abbia subito con il passaggio dalla CBS alla CW, il legame tra Kara & Alex non soltanto è rimasto immutato, ma a tratti mi appare addirittura più intenso, diventando l’emblema di un rapporto che ha perennemente la precedenza su qualsiasi altro aspetto delle loro vite. L’inserimento di Maggie nella dinamica della relazione tra le due sorelle è un’evoluzione normale per i personaggi, non è particolarmente deleteria e segue un percorso naturale in cui è scontato che il tempo di Alex debba ora riequilibrarsi per destreggiarsi con ordine tra la famiglia e la sua nuova relazione, ma nonostante sia inevitabile accettare questa nuova stabilità in cui Alex ha certamente diritto a vivere serenamente la sua vita privata, è rassicurante e importante notare quanto Kara rappresenti sempre la sua priorità, la “casa-base”, il pensiero costante che occupa la sua mente anche mentre vive la sua inedita libertà. La reazione di Kara di fronte alla scelta di Alex di non trascorrere con lei il giorno del suo compleanno “terrestre” mette in luce uno degli aspetti che sinceramente più apprezzo di lei, vale a dire la sua innocenza e quella purezza quasi “infantile”, nel senso più buono e positivo del termine, che la rendono terribilmente umana più di quanto lo sia mai stato Clark. Come ricordavo nella recensione precedente, Kara non ha mai avuto problemi nell’ammettere quanto lei abbia bisogno degli altri intorno a sé, quanto per lei conti il supporto e la fiducia dei suoi amici e di chi la circonda; ma, più di ogni altra cosa, Kara non può fare a meno di Alex, del tempo trascorso al suo fianco, della sicurezza che la sua vicinanza le ha sempre trasmesso, della certezza di avere quella persona che si preoccupa per lei in ogni momento. Se inizialmente quindi la sua parte più matura ha indossato una maschera di accettazione cercando di lasciare ad Alex lo spazio che merita per essere felice, in seguito, come al solito, Kara crolla inesorabilmente sotto il peso di quelle emozioni che non ha mai saputo nascondere, ammettendo il timore genuino di ripetere l’esperienza vissuta da ragazzina e perdere nuovamente la sua famiglia senza poter far nulla per impedirlo. Ma dal canto suo, Alex aveva già riconosciuto tutti i segnali che involontariamente Kara aveva lanciato e, nonostante la sua relazione con Maggie la renda felice, resta ancora il tipo di persona che non riesce a smettere di pensarci finché non torna indietro da Kara e si assicura che lei sappia che nessuna relazione le impedirà di restare al suo fianco, qualunque cosa accada.


Su un altro fronte invece, anche J’onn si ritrova a dover ammettere una verità che lo spaventa da sempre ma che adesso non può più evitare. Il rapporto con M’gann ha avuto probabilmente un percorso non difficile da prevedere, ma il progresso graduale con cui si è caratterizzato è fin dall’inizio degno di nota soprattutto per lo spessore emotivo dimostrato in ogni fase di questa storia. Giungere a riconoscere l’intensità di un sentimento che non vuole più negare, soprattutto nei confronti di chi rappresentava l’emblema di tutto ciò che odia, è per J’onn un passo di catartica importanza verso quell’umanità che ho sempre riconosciuto in lui più di qualsiasi altro.


Vederlo spaventato sia di ammettere finalmente di immaginare un futuro con un’altra persona sia della possibilità di perdere qualcosa che non ha neanche avuto il modo di vivere è triste e bellissimo come da tradizione [se l’avete riconosciuta, la risposta è sì, è una semi-citazione], e purtroppo ancora una volta è una situazione che a fine episodio lo rivede solo e con una ferita nuovamente aperta.

Ma il suo legame con M’gann ha simboleggiato secondo me la speranza per J’onn di avere qualcosa di più di una vita dedicata esclusivamente a proteggere l’umanità, riconferma la possibilità di vivere finalmente questa umanità alla pari di chi lo circonda, anche nell’attesa magari del ritorno di M’gann, un personaggio che a mio parere ha saputo conquistare lentamente il suo spazio e il suo spessore, affermandosi come una delle migliori new entry di questa stagione.

Diversamente dal rapporto tra M’gann e J’onn infine, una menzione è d’obbligo anche per lo strano legame tra Kara & Mon-El. Fin dall’inizio infatti ho spesso riconosciuto il potenziale di questa possibile storia e, soprattutto, mi affascinava quanto Mon-El fosse disposto a cambiare per diventare il tipo di uomo degno di restare accanto a una donna come Kara, ma è proprio la reazione della giovane Danvers a non convincermi pienamente. Obbligandosi forse a evitare a tutti i costi una relazione sentimentale per concentrarsi esclusivamente su se stessa, Kara fondamentalmente non aveva mai davvero mostrato un interesse romantico nei confronti di Mon-El, spaventata anche a giusta ragione dal tipo di persona che vedeva davanti a sé, non riuscendo così a notare l’evoluzione compiuta dal daxamita. Il confronto provvidenziale con Alex però sembra aprire gli occhi a Kara, mostrandole la possibilità di cominciare a conoscere Mon-El come non ha mai fatto finora. Ma quando anche lei sembra finalmente pronta ad accettare questo rischio, Mon-El si comporta come il più tipico dei ragazzi respinti, ossia andando avanti il giorno successivo e respingendo Kara in una condizione di pessimo tempismo e ritrovata delusione.

In definitiva, “Supergirl” prosegue la sua corsa attraversando ora una fase di stabilità riempitiva in attesa del nuovo capitolo di questa stagione, ma al tempo stesso riesce a sfruttare al meglio questo spazio “filler” con un’attenzione particolare concessa ai personaggi e alle loro battaglie emotive.

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Occasionale inquilina del TARDIS e abitante in pianta stabile di un Diner americano che viaggia nel tempo e nello spazio, oscilla con regolarità tra Stati Uniti e Gran Bretagna, eternamente leale alla sua regina Victoria e parte integrante della comunità di Chicago, tra vigili del fuoco (#51), squadre speciali di polizia e staff ospedalieri. Difensore degli eroi nell’ombra e dei personaggi incompresi e detestati dalla maggioranza, appassionata di ship destinate ad affondare e comandante di un esercito di Brotp da proteggere a costo della vita, è pronta a guidare la Resistenza contro i totalitarismi in questo universo e in quelli paralleli (anche se innamorata del nemico …), tra un volo a National City e una missione sullo Zephyr One. Accumulatrice seriale di episodi arretrati, cacciatrice di pilot e archeologa del Whedonverse, scrive sempre e con passione ma meglio quando l’ispirazione colpisce davvero (seppure la sua Musa somigli troppo a Jessica Jones quindi non è facile trovarla di buon umore). Pusher ufficiale di serie tv, stalker innocua all’occorrenza, se la cercate, la trovate quasi certamente al Molly’s mentre cerca di convertire la gente al Colemanismo.

3 COMMENTS

  1. Quindi, le due coppie hanno 15 minuti per salvare l’edificio e i 10 isolati intorno e se ne stanno lì tranquilli a cincischiare confessandosi reciprocamente! Sul serio?

  2. Ok, ammetto di seguire “Supergirl” da appena due puntate, per altro avvalendomi del tasto fast forward, e unicamente per Kara e Mon-El (mi sono bastate un paio di gif prima e qualche scena poi per ritrovarmi già in versione fangirl. Lo so, sono senza speranza!), ma non appena, in questa recensione, ho letto un riferimento a “One Tree Hill” il mio sesto senso da “fellow” si è attivato ed è bastato guardare l’autrice dell’articolo per avere la conferma che non potevi che essere tu WalkeRita! Come sempre ne approfitto per farti un saluto e direi che fino a quando non affonderanno la mia ship (ps: mi fido davvero poco di questi sceneggiatori), un minimo dovremmo riuscire a rimanere in contatto.
    Alla prossima, allora.

    • SAAAAAAM!!! Io ti adoro e adoro ritrovare i tuoi commenti sotto le mie recensioni!!! Io porto OTH nel dna, quando meno te lo aspetti rispunta fuori prepotentemente!!!! E per Kara & Alex valeva la pena ritirarlo fuori!!! Grazie per il commento e se ti va, ti aspetto alla prossima!!!

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