– Everyone wants stuff, we wake up every day with list of wishes a mile long and maybe we spend our lives trying to make those wishes come true, but just because we want them doesn’t mean we need them to be happy.
– What do you need to be happy?
– You.
Quasi un anno fa esatto scrivevo il mio primissimo articolo per Telefilm Addicted, per la rubrica “T.A. consiglia…”, ed era dedicato a una serie che adoro: Pushing Daisies. Poco più di una settimana fa, con il ritorno in tv di Lee Pace in un ruolo da protagonista, anche se completamente diverso dal Fabbricatorte, ho sentito la voglia irrefrenabile di tornare sui miei passi e parlare nuovamente di questa serie dalle dinamiche alquanto particolari e che, per forza di cose, ci presenta una coppia dal destino altrettanto particolare.
La storia di Ned (Lee Pace, appunto) e Chuck (Anna Friel) “inizia” quando, nel pilot, Ned sente alla televisione la notizia di una ragazza assassinata durante una crociera. Li per lì non sa perché quella notizia l’abbia incuriosito così tanto ma lo capirà quando, con il detective Emerson Cod, andrà ad impiegare il suo potere di resuscitare i morti per i famosi 60 secondi, nella speranza di ottenere dalle vittime un nome o almeno una descrizione dell’aggressore così da risolvere il caso, e si troverà davanti Charlotte Charles (o semplicemente Chuck), quella che chiameremmo “la fidanzatina delle elementari”.
Le virgolette su “inizia” erano infatti d’obbligo dal momento che la storia di Ned e Chuck era iniziata molto prima, da bambini, quando abitavano l’uno di fianco all’altra e giocavano insieme. Un tragico evento, o meglio due (la morte del padre di lei e della madre di lui nell’arco della stessa giornata) li porta ad avvicinarsi…
per poi separarsi nuovamente, quando Chuck è costretta ad andare a vivere con le sue zie un po’ nevrotiche e Ned è piazzato in un collegio da suo padre. Quello che la bambina non sapeva allora è che non solo le due improvvise morti erano collegate, ma per entrambe il responsabile era Ned, che aveva appena scoperto il suo potere di riportare in vita le persone ma non sapeva ancora che questo potere sottostesse a delle regole.
Dopo anni e anni, Ned ritrova la sua Chuck…solo che è morta. Una fortuna, in questo caso, che Ned possa riportarla in vita solo con un tocco:
quando si dice colpo di fulmine…
Ma dopo il solito minuto, Ned non se la sente di rispedire la sua childhood sweetheart tra i morti.
“What if you don’t have to be dead?”
E così è: Chuck rimane tra noi e si trasferisce da Ned, solo che una delle regole fondamentali del potere del giovane delineerà tutta la loro storia: i due non possono più toccarsi, o la ragazza morirebbe di nuovo e stavolta definitivamente.
La storia di Ned e Chuck è un’altalena di emozioni, per chi si è appassionato a questa serie non può che essere motivo di sorrisi ebeti come quello che ho io da quando ho iniziato a scrivere: non serve essere persone zuccherose (non credo di esserlo mai stata realmente) per apprezzare il genio di Bryan Fuller nel creare storie fuori dal comune, e quella tra Ned e Chuck non fa eccezione, ed è dolce, appassionante e vivace in un modo assolutamente originale e mai visto prima.
Seriamente, provate a pensare alla vostra storia con la persona che amate e provate a togliere tutto quello che prevede contatto (suvvia non fate i maliziosi, escludiamo l’ovvio! Intendo anche la possibilità banale di scontrarsi lungo un corridoio, o toccarsi accidentalmente le dita passandosi le posate a tavola…cose di tutti i giorni insomma). Ok, stiamo parlando del nulla perché le basi su cui poggia questa condizione sono fantasiose e totalmente fittizie come poco altro, ma è inevitabile porsi la domanda mentre si guardano Ned e Chuck vivere sotto lo stesso tetto, elaborando sempre metodi nuovi per evitare qualsiasi tipo di contatto anche accidentale, ma allo stesso tempo cercare di non farsi mancare quei piccoli gesti di affetto quotidiani.
Non è probabilmente il top per vivere una storia normale, anzi non è probabilmente niente per vivere una storia normale, ma nel mondo colorato di Pushing Daisies è possibile farlo funzionare, e come in una meravigliosa favola la voce del narratore ci racconta i pensieri dei due protagonisti quando si stringono le mani dietro la schiena fingendo di tenersela a vicenda, o si abbracciano da soli uno davanti all’altra, o fanno passare tutte queste cose attraverso una terza persona (questo anche con risultati alquanto buffi, vedi Emerson costretto ad abbracciare Chuck “da parte di Ned”).
Già con questo tipo di “tensione” c’era il rischio che le cose esplodessero, ma a peggiorare il tutto c’è stata la confessione di Ned di essere involontariamente responsabile della morte del padre di Chuck. L’idillio è stato per forza di cose spezzato da questa pesante rivelazione quasi sul finire della prima stagione, ma la ragazza riesce con il tempo (e tra le altre cose costringendo Ned a resuscitare anche suo padre, cosa che causerà a sua volta parecchi problemi ai nostri protagonisti nell’arco della seconda e ultima stagione) ad accettare che Ned era effettivamente solo un bambino che aveva appena scoperto la sua capacità e non aveva ancora idea di cosa comportasse.
Quello che mi è da subito piaciuto di questa coppia è stata non solo l’abilità dei loro interpreti nel dar loro vita (gli sguardi e i sorrisi che si scambiano sono tenerosissimi, Lee Pace in particolare riesce a imprimere al suo Ned quelle espressioni da stracotto che gli conferiscono un realismo perfetto), ma anche l’assortimento tra le personalità di questi due personaggi e come sono delineati, tramite i flashback all’inizio e durante ciascun episodio, in cui vediamo sprazzi del loro passato, il modo in cui sono cresciuti e le situazioni che li hanno portati a sviluppare determinate consapevolezze, capacità o predisposizioni. Il fatto che il desiderio di Chuck di prendersi cura delle zie l’abbia tenuta per anni in casa, in compagnia di migliaia di libri (da cui ha imparato molte cose sul mondo, ha studiato varie lingue, tramite cui ha viaggiato senza mai spostarsi dal suo punto di partenza): la Chuck adulta che vediamo in compagnia del Fabbricatorte è diversa dalla bambina con cui lui da piccolo giocava in giardino, è cresciuta in maniera più che insolita ma, sempre nel mondo dorato della serie, questo non l’ha portata a imitare le nevrosi delle zie, l’ha al contrario spronata a conoscere il mondo in maniera alternativa. È una persona interessante e colta, ma da un lato incredibilmente ingenua come solo una persona che non ha quasi mai messo il naso fuori di casa può essere (e che è riuscita a farsi ammazzare durante il suo primo viaggio), da un lato è ancora una bambina. E così il Pie Maker,
che nel rivederla torna a essere il piccolo Ned di “9 anni, 27 settimane, 6 giorni e 3 minuti”, che è cresciuto in collegio come un orfano pur avendo un padre che, semplicemente, ha scelto di non occuparsi di lui e l’ha lasciato da solo, dove ha imparato (anche lui da autodidatta, proprio come Chuck) a preparare le torte unendo la sua predisposizione per la cucina all’abilità di utilizzare anche “prodotti non proprio freschissimi”. Nonostante la solitudine e l’abbandono, Ned è cresciuto ed è riuscito a crearsi una sua attività…e a trovare anche un piccolo lavoretto extra. Ma sotto tutto questo c’è un ragazzo un po’ timido e un po’ goffo, che fa sorridere vedere entrare in una stanza con il suo abbondante metro e novanta di altezza, le spalle semi-incurvate, le mani in tasca e quello sguardo da cane bastonato.
Quello che rende Ned e Chuck così simili sotto molti aspetti è che entrambi hanno vissuto un lutto in tenera età ed entrambi si sono in pratica cresciuti da soli, ma mentre Ned tende a essere ancora a tratti insicuro e impacciato, Chuck è fresca e vivace (anche troppo sveglia considerando…beh, che era morta). In questo si completano e bilanciano.
E uno non riesce a non amarli neanche quando ti rendi conto che nel quadretto c’è un terzo incomodo altrettanto adorabile, la cameriera del Pie Hole Olive Snook, perché superate le ovvie diffidenze iniziali questa diventa amica e confidente di Chuck. Insomma, niente triangoli, tiriamo un sospiro di sollievo.
La storia di Ned the Pie Maker e Chuck the Living Dead è uno dei principali focus di questo caleidoscopio che è stato Pushing Daisies, è una favola che racconta un amore fuori dal comune e a tratti gioca con esso. Come detto verso l’inizio, non mi sono mai ritenuta una fan delle storie apparentemente sdolcinate, mi sono sempre appassionata maggiormente a rapporti più complicati, quelle storie meno convenzionali, e d’altronde potrebbe anche essersi intuito dalle altre coppie di cui ho trattato in questa stessa rubrica (Rumbelle, Veronica&Logan, Peter&Olivia di Fringe ecc.). Ma guardando Pushing Daisies ho scoperto che in fondo c’è anche un lato di me che non schifa una bella storia che pone complicato e non convenzionale come base ma che poi si sviluppa verso il tenero lieto fine di due persone che, al di là delle difficoltà fisiche, si vogliono bene nel più semplice dei modi.
Quella di Ned e Chuck è una storia romantica, non si può dire il contrario, ma non per questo scontata e banale, è dolce ma non smielata da cariare i denti, fa sorridere, a volte commuovere e riesce quasi sempre a strappare un “aww”. Direi anche toccante ma sarebbe una pessima battuta per chiudere questo articolo…peccato che ormai l’ho detta.
Ancora non mi sono ripresa dalla fine di questa serie stupenda e condivido tutto dall’inizio alla fine: adoro Ned e Chuck proprio perché sono romantici senza essere sdolcinati e il loro amore è così forte da superare difficoltà apparentemente insormontabili…tipo la morte 😉
Amo Brian Fuller e tutti i mondi surreali che riesce a creare, peccato che gli cancellino le serie sul più bello: speriamo che con Hannibal vada meglio!