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Sherlock | Recensione 4×01 – The Six Thatchers

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Sherlock | Recensione 4×01 – The Six Thatchers

Arriviamo un po’ in ritardo (essere all’Estero e avere Netflix che non dava il nuovo episodio ci ha impedito di essere puntuali come al solito), ma eccoci qui anche per questa quarta e attesissima stagione di “Sherlock”, il capolavoro targato Steven Moffat e Mark Gatiss per la BBC One che dal 2010 allieta i nostri inverni (dopo, purtroppo, le lunghissime pause che siamo costretti a subire).

Queste recensioni saranno scritte a quattro mani da MoonRisinG e da me (Sam).
Quindi bando alle ciance e cominciamo.

Sam: Per prima cosa, dobbiamo ricordare che Steven Moffat e Mark Gatiss conoscono benissimo il Canone di Sherlock Holmes di Sir Arthur Conan Doyle e che ogni episodio, sin dal pilot, prende spunto da uno dei racconti o romanzi (quattro questi ultimi, cinquantasei i primi) che compongono il Canone e ne rappresenta la versione modernizzata.
Questa prima puntata della quarta stagione non fa differenza e il suo titolo è la rielaborazione dell’originale cartaceo “L’Avventura dei Sei Napoleoni”, racconto presente nel volume “Il Ritorno di Sherlock Holmes”, del 1905.
Il racconto originale narra del caso nel quale un misterioso uomo si introduce in vari edifici per distruggere dei busti di Napoleone (che sono sei in totale, per l’appunto), tutti realizzati dallo stesso artigiano. Anche nel racconto, queste azioni portano a un omicidio ed è proprio la vittima che indirizza Sherlock Holmes sulla giusta linea investigativa, poiché è il fratello di una cameriera che più di un anno prima venne sospettata, proprio con la complicità del fratello, di aver rubato un gioiello raro e preziosissimo… la Perla Nera dei Borgia. In effetti, i due erano colpevoli e l’assassino, il distruttore dei busti, era loro complice e fuggendo aveva nascosto la perla proprio in uno di essi, ecco il perché delle sue azioni apparentemente bizzarre.
Come si può vedere, tale impianto generale è rimasto per questo primo episodio della quarta stagione ed è semplicemente stato rielaborato per narrare i fatti ideati da Gatiss (autore della puntata) e, dunque, la storia di Mary. E questo anche alla luce del fatto che nel Canone, nel romanzo in cui appare per la prima volta (“Il Segno dei Quattro”), Mary riceve sei perle di un rosario facente parte del tesoro di Agra (andato quasi del tutto perduto).
E’ evidente, dunque, come ogni volta Moffat e Gatiss mostrino una profonda conoscenza del materiale originario e di saper fare sottili collegamenti ad esso.

MoonRisinG: Per quanto l’episodio risulti tutto sommato gradevole nel suo insieme, ci sono delle note che mi sono risultate in qualche modo dissonanti e che mi hanno fatto storcere il naso.

Innanzitutto, ho avuto la sensazione che ci fosse una costante tendenza a strafare. “Sherlock” ha sempre avuto una qualità tecnica estremamente elevata, ma in questo caso mi è sembrato quasi che se ne sia abusato.
Alcuni artifizi di montaggio mi sono sembrati in qualche modo eccessivi, quasi gratuiti, troppo leziosi per la situazione drammatica e il tono concitato dell’episodio.

E proprio a proposito del ritmo della puntata, ho trovato la prima parte fin troppo frettolosa. Capisco la necessità comunicativa di mostrarci uno Sherlock che scivola oltre qualsiasi cosa non riguardi direttamente Moriarty, nella sua ossessione quasi divorante per il gioco, ma l’idea non è stata quella di un succedersi incalzante, il risultato mi ha dato anzi un senso di trascuratezza che non mi ha entusiasmato.

Un’altra nota stonata è stata, a mio parere, il modo in cui John si è mostrato disponibile a flirtare con un’emerita sconosciuta incontrata per caso sull’autobus.
Certo, lui e Mary hanno avuto i loro problemi, ma lo Watson che noi conosciamo e che abbiamo imparato ad amare non è davvero il tipo da mancare di rispetto in maniera plateale alla madre di sua figlia per un qualcosa di tanto frivolo e inconsistente.

In sostanza, ho trovato John quasi completamente out of character, sia in questo frangente che per come si è comportato nei confronti di Sherlock, addossandogli interamente la colpa della morte di Mary.

Mary ha fatto una scelta consapevole, quella di sacrificarsi per proteggere il suo amico, quasi a fare ammenda per un passato per cui si sente tutto sommato ancora responsabile e con lei se ne va forse l’unico essere umano in grado di vedere e accettare Sherlock per quello che è, senza pretendere di snaturarlo, senza rifiutarlo al presentarsi della prima difficoltà, seppure enorme.
Mary ha sempre guardato Sherlock con l’indulgenza di una madre, senza perdonargli i suoi comportamenti al limite dell’incivile perché per lei non c’era nulla da perdonare in un essere che seguiva il richiamo inevitabile della propria natura, un richiamo a cui per l’investigatore è impossibile sfuggire.

E anche se è davvero “colpa” di Sherlock se quell’ultimo, fatale colpo è stato esploso, non sarebbe potuta andare in una maniera diversa, perché, a guardar bene, se avesse tenuto la bocca chiusa non sarebbe stato davvero lui, perennemente divorato dal bisogno incalzante, quasi un prurito, di dimostrare di essere qualcosa di più, di sapere andare oltre, di essere in grado di vincere il gioco e di sgominare forse anche la morte. Sherlock non è il mercante che fugge come il vento alla vista della Morte, Sherlock è l’uomo che le si fa incontro e che la sfida a giocarsi la sua vita di fronte a una scacchiera.
La mia più grande critica, però, è rivolta alle motivazioni alle spalle della morte di Mary. Moffat ha affermato nei giorni scorsi che la morte della donna era inevitabile, perché la base dello show sono Sherlock e Watson e a quei due si deve, in definitiva, sempre tornare.
Io non sono d’accordo con il fatto che la presenza di Mary distogliesse il focus dal rapporto fra i due amici, ma permetteva anzi a un lato diverso e più umano, quasi goffo, di Holmes di emergere e questo in fin dei conti non poteva che migliorare la qualità del loro modo di relazionarsi.

La sua prematura dipartita ci ha privato quindi della possibilità di assistere al prosieguo di un’evoluzione, a un processo di crescita che io trovavo assai stimolante.
Con Mary muore, di fatto, il coraggio di cambiare, di fare scelte audaci, magari anche impopolari e di percorrere strade non battute. Mary non era un limite, era una possibilità.
Ed è inutile appellarsi alla fedeltà ai romanzi originali, molte modifiche anche grossolane sono state fatte per adattare il canovaccio dell’opera di Arthur Conan Doyle ai tempi moderni: nella scelta di sacrificare la moglie di John io non potrò mai fare a meno di vedere un tentativo di strizzare l’occhio e accattivarsi la simpatia e la fedeltà di quella fetta di pubblico che ha sempre visto nel binomio composto da Sherlock e Watson una dinamica neppure troppo sfumata di amore romantico. Una scelta del genere ai miei occhi non può non sembrare una sorta di riduzione, una castrazione. Va ribadito ovviamente che si tratta solo di un parere personale e che probabilmente sono io a vederla dalla prospettiva sbagliata.

 

Sam: Io mi occuperò, invece, delle critiche positive.
L’episodio è stato diverso da quelli a cui questa splendida serie ci ha abituati, complessivamente più lento e, ovviamente, come si è rivelato alla fine, concentrato su Mary, che è uscita di scena.
La morte di questo personaggio è stata molto triste, perché con lei Gatiss e Moffat hanno ancora una volta creato una figura femminile forte e indipendente, nonché un’altra donna (oltre alla splendida Irene Adler) che, contrastando e implicitamente facendo crollare le fondamenta della misoginia tipica del personaggio di Sherlock, è stata l’unica in grado di essere al suo livello e reggere il confronto con lui. E persino con Mycroft, il che è tutto dire, visto che è difficile anche per Sherlock stesso.
La caratterizzazione di Mary, come quella di Irene prima di lei, è stata a dir poco perfetta: una donna dai profondissimi sentimenti e leale sino alla fine verso le persone amate, persino materna nei confronti di Sherlock, romantica (come ci fece scoprire Sherlock con la sua analisi nella 3×01 “The Hempty Hearse” e come si è visto nel susseguirsi degli episodi), ma altresì estremamente intelligente, vivace, sicura, tanto autorevole da essere in grado di intimorire non solo John, ma Mycroft e Sherlock nonostante il suo essere minuta, e dallo spiccato senso dell’umorismo, dotata di quell’ironia meravigliosa e a volte tagliente che le permetteva sempre di tenere ognuno di quegli uomini forti al loro posto e persino di metterli nel sacco in momenti indimenticabili (come quando con un colpo solo ha bonariamente raggirato sia Sherlock che John durante l’organizzazione del matrimonio).
Che fosse molto più di un’infermiera lo si intuì immediatamente, sempre nella 3×01, quando Sherlock, analizzandola, notò tre caratteristiche, ovvero che Mary fosse intelligente, una bugiarda e che avesse dei segreti.




Averla resa un agente segreto/killer di professione al servizio di vari governi non ha minato per nulla la donna Mary Morstan Watson, bensì l’ha elevata, per l’appunto, al livello del protagonista che dà il nome alla serie e che è in grado di infiltrarsi in reti terroristiche e/o criminali al fine di smantellarle.
E la parte dell’episodio in cui si è visto il viaggio di Mary, la scaltrezza di lei, è stata davvero bella.

Si sentirà, pertanto, la sua mancanza. E tuttavia, la sua morte era scritta sin dal momento in cui l’abbiamo vista scendere la magnifica scalinata dell’elegante ristorante, in cui John aveva intenzione di chiederle la mano, e fare la sua grandiosa entrata in scena con quel look dolce e romantico anni ’20-’30 che voleva rappresentare una parte della sua personalità. Infatti, come dicevamo “Sherlock” si basa sul Canone di Conan Doyle e nel Canone Mary muore, lasciando John vedovo e riportandolo a vivere a Baker Street.
Inoltre, il modo in cui Mary è morta, per quanto prevedibile nel momento in cui lei e Sherlock si sono ritrovati a fronteggiare la vera traditrice, è stato un omaggio al legame che lei stessa ha sempre avuto con Sherlock, all’importanza di cui Mary era consapevole lui avesse per John, nonché la chiusura di un cerchio, apertosi quando lei fu costretta a sparagli, nell’attico di Magnussen. Mary si sarebbe gettata in ogni caso dinanzi a Sherlock per impedire che lui venisse ferito o ucciso, perché lui si era ritrovato in quella posizione per proteggere lei, ma lo ha fatto a maggior ragione per ripagarlo dell’averlo lei stessa ridotto in fin di vita e di essere stata protetta e aiutata da Sherlock in ogni caso. E, a livello di drammaticità, è stato un bel tributo al loro legame.

L’apertura e la chiusura dell’episodio, con il racconto del mercante di Samara, sono state particolarmente poetiche e il tutto è stato sottolineato dalla suadente voce di Cumberbatch, che non delude mai.
Ovviamente, la recitazione in questa serie è sempre eccelsa, quindi non staremo a dilungarci su essa. Lo sappiamo tutti che sono grandissimi interpreti e che danno sempre il massimo.

Uno degli aspetti che forse fa storcere il naso ai più, ma che invece è da apprezzare, è l’ironia che è sempre stata presente, sin dal pilot di questa serie, e che con la terza stagione è diventata particolarmente spiccata.
“Sherlock” non è ambientato nel XIX secolo, come il materiale originale, è ambientato nell’epoca contemporanea, per cui i rapporti sociali sono diversi e il protagonista non ha un unico amico che è utilizzato come mezzo narrativo, bensì è circondato da persone che credono in lui e che gli vogliono bene, gruppo nel quale John Watson ha finalmente tutto lo spazio che merita. Questo di per sé umanizza molto Sherlock Holmes, che, in un modo del tutto particolare, come confermato da Cumberbatch e Moffat ai tempi si è anche innamorato (“THE Woman. THE only Woman”) e, alla luce di ciò, non si può evitare di compiere l’ulteriore passo di alleggerire i toni con del sano umorismo, dell’ironia che serva a smorzare un po’ la serietà e l’essere caratterialmente molto difficile di Sherlock. D’altro canto se ci si pensa bene è piuttosto elementare (per usare un termine tanto caro a chi negli anni ha adattato Sherlock Holmes per il teatro, il piccolo e grande schermo, termine che, in verità, nel Canone Sherlock Holmes pronuncia una sola volta): un uomo del tutto impermeabile alle convenzioni sociali, estraneo ai normali rapporti interpersonali, posto in una situazione comune non può che reagire in modi quasi ridicoli.
Inoltre, “Sherlock” è una serie britannica (grazie al cielo!) e il senso dell’umorismo britannico è estremamente particolare… e soprattutto, non risparmia niente e nessuno, quindi non poteva certo risparmiare uno dei protagonisti della propria letteratura popolare.
Tale ironia, dunque, si è manifestata nuovamente al principio di questa prima puntata della quarta stagione, sfruttando una condizione assolutamente propizia del protagonista: quando l’episodio ha avuto inizio, infatti, ci siamo trovati ai momenti immediatamente successivi all’atterraggio dell’aereo privato che doveva condurre Sherlock in quella missione suicida che era stata decisa come punizione per lui per aver ucciso Magnussen nella 3×03 “The Last Vow” e sul quale si è svolto “The Abominable Bride”. Ovvero, per dirla in termini semplicistici ed elementari, Sherlock era strafatto.

Fermandosi ad analizzare, dunque, si nota come tali momenti di spiccato umorismo siano sempre sviluppati in un contesto per il quale Sherlock si trova a non essere in se stesso: una volta era ubriaco fradicio per colpa di un ignaro John, questa volta in preda agli effetti delle sostanze stupefacenti assunte per entrare nelle profondità del suo palazzo mentale e analizzare il caso di Moriarty.
Infine, c’è un altro fattore da tenere presente: questi momenti servono ad alleggerire la drammaticità che ha sempre caratterizzato lo show e che, come si è visto anche in questo primo episodio, non ha mancato di colpire brutalmente già al principio della nuova stagione. E’ un espediente narrativo puro e semplice per portare lo spettatore ad avere un certo grado di rilassamento e poi colpire duramente (causando il maggior danno possibile, per così dire). E’ stato utilizzato anche in “Doctor Who” e non solo da Moffat (“Worst! Rescue! Ever!”) ed è esattamente ciò che avviene ogni volta, perché l’altrettanto semplice verità è che tale strumento funziona, è sempre efficace.
Alla luce di ciò voglio segnalare uno dei momenti migliori di questa parte. Il sonaglino. Una scena meravigliosa. Già immagino, e bramo, cosa potrebbe accadere in una quinta stagione con la piccola Rosie (che porta il nome della madre, ricordiamolo) cresciuta, sui cinque anni… i suoi dialoghi con Sherlock.

Il possibile futuro:

E tutto questo umorismo è servito non solo per dare respiro allo spettatore alla luce della morte di Mary, ma, altresì, a ciò che da essa consegue, ovvero il trauma per John, che lo ha portato a colpevolizzare Sherlock e ha creato, così, una frattura tra i due.

Infine, preme sottolineare ancora una volta la maestria del duo Gatiss-Moffat: come sempre, i due giocano con gli spettatori, costruendo una storia a puzzle e distraendo l’attenzione, facendola focalizzare su altre questioni (in questo caso Moriarty e il fatto che Sherlock si aspettasse le mosse della sua nemesi), per poi colpire di sorpresa rivelando il vero punto dell’episodio.
In questo modo, aumentano anche la tensione per quello che si rivelerà essere la mossa di James Moriarty, sviluppando, come sempre, una fantastica trama orizzontale.

Vogliamo dunque lasciarvi con dei quesiti: chi è “E”? O meglio, è davvero solo una giovane donna attratta da John, con il quale lui ha “tradito” Mary, per quanto in modo solo emotivo, oppure c’è dietro qualcosa di più? Potrebbe essere una trappola tesa dal/dai villain? In fondo, Irene lo era… solo che lei si è ritrovata sentimentalmente coinvolta suo malgrado.
Ancora: come reagirà Sherlock a questa frattura con John? Una situazione mai creatasi precedentemente. Nei trailer abbiamo visto uno Sherlock trasandato e in qualche modo sofferente… sarà dovuto alla “battaglia” contro i nuovi nemici o potrebbe essere una ricaduta nell’utilizzo di sostanze stupefacenti?
E infine: James Moriarty è morto o no?

 

Voi che ne pensate? Fatecelo sapere!
Vi lasciamo, come sempre, con il promo del prossimo episodio, “The Lying Detective”.


Alla prossima settimana!

 

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Sam
Simona, che da bambina voleva diventare una principessa, una ballerina, una cantante, una scrittrice e un Cavaliere Jedi e della quale il padre diceva sempre: “E dove volete che sia? In mezzo ai libri, ovviamente. O al massimo ai cd.” Questo amore incondizionato per la lettura e la musica l'ha portata all'amore per le più diverse culture (forse aiutato dalle origini miste), le lingue (in particolare francese e inglese) e a quello per i viaggi. Vorrebbe tornare a vivere definitivamente a Parigi (per poter anche raggiungere Londra in poco più di due ore di treno). Ora è una giovane legale con, tralasciando la politica, una passione sfrenata per tutto ciò che all'ambito legale non appartiene, in particolare cucina, libri e, ovviamente, telefilm. Quando, di recente, si è chiesta in che momento, di preciso, sia divenuta addicted, si è resa conto, cominciando a elencare i telefilm seguiti durante l'infanzia (i preferiti: Fame e La Famiglia Addams... sì, nel fantasy ci sguazza più che felicemente), di esserci quasi nata. I gusti telefilmici sono i più vari, dal “classico”, allo spionaggio, all'ambito legale, al “glamour”, al comedy, al fantastico in senso lato, al fantascientifico, al “giallo” e via dicendo. Uno dei tanti sogni? Una libreria. Un problema: riuscirebbe a vendere i libri o vorrebbe tenerli per sé?

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