
Chiamatelo trash, chiamatela leggerezza o chiamatelo guilty pleasure: Riverdale è stato tutto questo a livelli veramente altissimi, talmente intensi che sono servite due menti per riuscire ad analizzare nel dettaglio questa prima stagione ed uscire dall’abbaglio di quei capelli rossi usciti direttamente dal catalogo dei pennarelli Giotto. Io e Moonrising ci siamo prodigate per la vostra somma gioia in questa doppia recensione, senza riserve e senza pietà, per cui, se non volete incorrere in drammatici spoiler, procedete, a vostro rischio e pericolo!






Come se tutte queste accattivanti premesse non bastassero, un articolo che ho letto tempo fa mi ha aiutato ad aprire i miei orizzonti e a realizzare che effettivamente Riverdale può essere considerata una versione nuova e migliorata di Dawson’s Creek. Produttore esecutivo a parte (Greg Berlanti), le similitudini ci sono eccome: la ragazza nuova e disinibita che viene da New York a sconvolgere la cittadina di provincia; la ragazza della porta accanto che si innamora prima del migliore amico e poi del ragazzo disadattato e senza futuro; la storia peccaminosa con la professoressa… insomma, potremmo anche andare avanti, ma il punto è che Riverdale non ha portato nulla di nuovo sullo schermo, ma lo ha fatto con una tale disinvoltura che alla fine non si avevano pretese nemmeno guardandolo. Ovviamente sono diminuite le pippe mentali e sono aumentati vertiginosamente i centimetri di pelle esposta (eh sì Cheyl, amore della zia, sto parlando di te, che magari i tuoi genitori non ti prendono sul serio non perché sei donna ma perché vai in giro conciata come una prostituta) ma si tratta di un naturale adeguamento alle nuove generazioni; qui la gente limona già dalla seconda puntata, che a Dawson buon anima gli sarebbe venuta una sincope. Che poi parlo, parlo, e smonto la trama fino al midollo, ma la verità è che l’ho guardato con una puntualità imbarazzante e l’ho amato alla follia. Non di solo Mr Robot vive l’uomo: dateci un po’ di sano TRASH!
I personaggi sono i classici stereotipi in cui gli americani amano rispecchiarsi – cosa che ancora mi lascia un po’ allibita, come se noi italiani amassimo essere sempre rappresentati con una pizza in mano e una gesticolazione nervosa da morbo di Parkinson.


Il suo migliore amico, Jughead Jones, è ovviamente l’opposto, un sociopatico che non si toglie mai il cappello, che legge libri impegnati e guarda film impegnati, aspirante autore del nuovo grande romanzo americano che schifa qualsiasi manifestazione pubblica, ma ha una famiglia disastrosa, per cui suscita immediatamente l’istinto della crocerossina: Io ti salverò Jughead Jones. E poi ti porterò all’anagrafe e cambieremo il tuo nome in John o Peter, perché quello che hai adesso non si può sentire. La vera scoperta è stata ritrovare in questo raggio di sole il protagonista di Zach e Cody al Grand Hotel, che purtroppo sì sono abbastanza vecchia da aver seguito nella sua originale messa in onda: torna in questa versione mora e tormentata e sconvolge il mio sistema ormonale, perché , ripeto, io me lo ricordo anche in versione pandoro platino, e la confusione è tangibile. Uniamo il fatto che suo padre è il suddetto Ulrich, il Billy Loomis di Scream, che con quella maglietta bianca alla James Dean mi ha sempre fatto tenere un occhio di riguardo per tutti i serial killer televisivi a seguire, e forse potrete immaginare come la mia fantasia abbia vagato in pericolosissimi territori di threesome che è meglio non sviscerare in pubblico. La sua relazione con Betty è stata ovviamente la vera ship della serie, peccato che insieme avessero il brio spinto dell’acqua di rose ed anche quell’unica volta che hanno tentato di limonare pesantemente sono stati interrotti da una band di motociclisti.
Betty Cooper è la ragazza della porta accanto quindi ha un armadio pieno zeppo di cardigan pastello e camicie a fiori, e le è vietato usare il rossetto rosso perché è da Cheryl poco di buono ed incita pensieri peccaminosi come usare l’underwear del martedì di mercoledì. La sua coda di cavallo è talmente tirata che ho seriamente pensato che ne limitasse le capacità cognitive; più la sua coda è stretta, più la sua latente natura psicolabile tenta di emergere. Vive sotto l’ala protettrice di una madre altrettanto psicolabile e all’ombra di una sorella che ci viene descritta come l’anima della festa e che alla fine invece arriva con un’altra collezione di cardigan e colletti inamidati, e che ha commesso l’unico peccato di non stare attenta a lezione di educazione sessuale (motivo per cui viene spedita in monastero come le protagoniste dei migliori romanzi gotici).


Questo campione umano così variegato ovviamente da solo non poteva reggere per 13 puntate senza avere uno scopo, per cui la nuova versione della Scooby Gang si è gentilmente prodigata nel cercare di risolvere l’omicidio del secolo. Come sempre, a meno che non si stia parlando di un procedural, tutte le volte che ci scappa il morto, la polizia di provincia si rincoglionisce totalmente e tocca ai quattro pischelli che hanno appena superato i loro problemi con l’acne risolvere il grande mistero. Il cadavere in questione poi rende tutto ancora più incredibilmente trash, perché Jason Blossom era il golden boy di Riverdale, figlio ed erede della famiglia più importante della città, che vive in una mansion da fare invidia a Tim Burton, corredata di cimitero personale in giardino ed agghiacciante nonna in sedia a rotelle che spara sentenze profetiche sulla vita nelle notti buie e tempestose. La vera chicca è la già più volte citata Cheryl Blossom, gemella del defunto, innamorata persa del fratello (memore probabilmente di troppi pomeriggi passati a guardare le repliche di Georgie), con un look che definire appariscente è dire poco e una natura alquanto psicolabile.










La notizia del rinnovo è stata accolta ovviamente con grande calore, e solo al pensiero di quanto altro trash questa serie possa regalarmi ho provato una grande emozione, come alla vista di un barattolo di nutella, o meglio come entrando da Mc Donald’s. Ecco, Riverdale è stato il mio Mc Donald’s stagionale: salse, patatine fritte e milk shake… Io adoro i milk shake.
–Al
Quando l’estate scorsa fu annunciata l’uscita di Riverdale, il network e l’internet al completo non esitarono a paragonarlo immediatamente a Twin Peaks.
La mirabolante associazione era apparentemente dovuta al fatto che entrambe le produzioni si aprono con il ritrovamento del cadavere di un adolescente nel fiumiciattolo locale, in pratica come paragonare Assassinio sull’Orient Express a Il trenino Thomas perché c’è una locomotiva di mezzo.
In realtà Riverdale, a posteriori, sembra più un bizzarro miscuglio di richiami a Dawson’s Creek (non ai patinati cugini di The O.C. e Gossip Girl, perché al confronto i personaggi sono mediamente dei pezzenti) e Pretty Little Liars, perché effettivamente qua a indagare sull’omicidio sono quei quattro scappati di casa dei protagonisti.
La storia ruota intorno all’insipido Archie Andrews, il bello del ballo, il manzo da diporto con l’addominale scolpito e lo sguardo vacuo.
All’inizio della serie Archie trascorre il suo tempo copulando selvaggiamente con la sua insegnante di musica (Pacey, is that you?) e scrivendo canzoni strappalacrime e stracciamaroni come si addice alla sua figura di eroe romantico ed estremamente tormentato.
Si impegna così tanto nel tentativo di essere emo in maniera imbarazzante, da non accorgersi che quella povera stella della sua migliore amica Betty gli sbava dietro come un mastino napoletano nella calura estiva.
L’equilibrio già precario fra i due rischia di incrinarsi ulteriormente con l’arrivo di un raro esemplare di gnoccolona cittadina, Veronica Lodge, che ha perso tutto per colpa dei loschi magheggi del padre (tranne il mega – attico con vista sulla segheria a Riverdale, quello non gliel’hanno tolto… forse perché non è nemmeno lontanamente concepibile che una persona sana di mente si compri un attico in quel buco dimenticato da Dio).
In un vortice di buonismo, di dichiarazioni fallite e di limonate estemporanee, i tre decidono che l’amicizia fra loro è una cosa troppo bella e cuoriciosa per rovinarla con del sesso scadente e promettono di non congiungersi più carnalmente all’interno del gruppo (vi faccio subito spoiler anticipandovi che, ovviamente, le cose non andranno a finire così).
A completare il variegato gruppetto ci sono Jughead (su cui non mi dilungo adesso perché ho già progettato di ammorbarvi in seguito), Cheryl, la gemella incestuosa del caro estinto, e Kevin, il figlio gay dello sceriffo (di nuovo: aidonuannauei!!).
A incorniciare questo sconfortante quadretto arrivano i genitori, che fanno da sfondo impegnandosi con i figli in una gara a chi fa la cazzata più grande (sì, persino Luke Perry non riesce ad esimersi e, dopo un inizio quanto mai brillante e morigerato, viene colpito dall’epidemia dilagante di imbecillità che sembra impazzare nella cittadina).
Con mia grande sorpresa, Betty capisce rapidamente che non vale la pena struggersi su quel disastro mononeuronico che è Archie e intraprende una relazione torrida casta in maniera imbarazzante e insensata con Jughead.
Ed è qui che, ahimé, comincia il disagio. Io ho sempre avuto l’ormone facile per il ragazzo tormentato, per l’apparente sfigato che alla fine della fiera rimorchia più di un carro attrezzi dell’ACI.
Sfortuna vuole che a metà della serie, quando ormai avevo perso ogni ritegno e fatto vagonate di pensieri impuri, io abbia scoperto che sotto le spoglie dell’eccitante ragazzo ombroso si nascondeva in realtà uno dei ragazzini di Zack e Cody al Grand Hotel.
Ora, a mia difesa posso dire che era del tutto inimmaginabile che un bombolone alla crema pettinato come il piccolo Lord diventasse un tale tripudio di figaggine. Allego prova fotografica per testimoniare la veridicità delle mie affermazioni e la purezza delle mie intenzioni.
Dopo un breve periodo di lancinanti sensi di colpa, ho democraticamente e saggiamente deciso che il fatto di sbavare anche per i genitori mi rendeva in qualche modo meno colpevole in base a un insindacabile appello alla media ponderata. Amen.
Per compensare le sagge scelte della sua amica in campo sentimentale, Archie decide di provarci con qualunque donna gli passi davanti, a patto che sia rigorosamente quella sbagliata.
Per un periodo finisce pure per farsi mettere sottissimo dai Blossom, che vogliono accollargli quella sgallettata della figlia. Per inciso, Cherry dovrebbe seriamente riflettere sul fatto che al mondo esistono anche tonalità di rossetto diverse e che quel rosso la sbatte come una mozzarella lasciata a marcire in un canale di scolo sotto il sole d’agosto.
Alla fine, complice una notte di bagordi e una birra che doveva contenere allucinogeni, sennò non si spiega il trip in cui si è calato, Archie si butta su Veronica (ve l’avevo detto che non sarebbe durata) e la possiede con vigore, salvo poi fissare Betty e Jughead con occhi struggenti da labrador di fronte a un biscottino che mi fanno pensare che nella seconda stagione gli autori torneranno ad ammorbarci pesantemente con questo triangolo totalmente insulso.
Archie prova pure a lanciare a Betty una palla curva, accennando al fatto che aveva sempre immaginato che alla fine della fiera, un po’ per abitudine e un po’ per disperazione, loro due avrebbero finito per stare insieme, ma lei lo stronca senza nemmeno dargli il tempo di finire facendogli notare che ormai sta con un figo quindi fondamentalmente anche no.
Pericolo scampato, almeno per il momento.
In tutto ciò le indagini sull’omicidio di Jason procedono con esiti altalenanti e si scopre che il poverino voleva semplicemente darsi alla macchia con la sua fidanzatina, la sorella di Betty, non prima però di essersi intelligentemente offerto di diventare un corriere della droga per la banda di motociclisti locali (certo, con quei capelli sarai sicuramente invisibile!).
Con un turbinio di facce fintamente sconvolte e di colpi di scena scontati come un pandoro il 3 gennaio, l’assassino viene finalmente rivelato e sembra che tutta Riverdale possa mettersi il cuore in pace, a parte Betty che decide di diventare la persona più impopolare della cittadina stracciando le balle a tutti a suon di discorsi drammatici che manco in Lady Oscar.
Ora, a un occhio poco attento potrebbe sembrare che io non abbia apprezzato questa perla del trash e qua, ragazzi miei, mi sento in dovere di smentire.
Come già detto da Al, anche per me Riverdale rappresentava un po’ un guilty pleasure, una boccata di aria fresca in un panorama di serie che a volte si prendono troppo sul serio.
Con il passare delle settimane, mi sono trovata ad aspettare con sempre maggiore ansia il sabato mattina per potermi godere la mia sana dose di trash settimanale.
La fine della prima stagione ci ha lasciato con molte domande: Fred è veramente morto? La sua aggressione è stata davvero un caso (non ci credo neanche se mi pagano) o dietro ad essa si nasconde qualcuno (coff coff… Hiram Lodge)? Betty riuscirà a ritrovare suo fratello? Avremo uno spin off sul torrido passato di FP Jones e Alice Cooper? In una cittadina in cui tutti copulano con tutti, è davvero solo un caso che Archie si tinga i capelli con la stessa tonalità di Uniposca usata da Jason e Cheryl? E soprattutto riusciranno i Blossom a frodare l’assicurazione e a farsi ripagare l’enorme villone? Ai posteri l’ardua sentenza!
Non mi resta che salutarvi nella maniera che preferisco, con uno splendido Jughead che trangugia un hamburger in maniera sensuale.
https://www.youtube.com/watch?v=M9EoKVs7ZyQ