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Recensione We Are Who We Are – Pilot: bocciato o promosso?

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Recensione We Are Who We Are – Pilot: bocciato o promosso?

 RECENSIONE WE ARE WHO WE ARE 1×01

Ha appena debuttato per HBO e Sky Atlantic l’attesissima miniserie di Luca Guadagnino, We Are Who We Are. Fraser Wilson, il protagonista, è un adolescente che di punto in bianco si ritrova catapultato dalla vitalità newyorkese a una base americana nella ridente, ma piuttosto noiosa, Chioggia. Com’è facilmente intuibile, il ragazzo farà molta fatica ad ambientarsi in un ambiente così lontano da quello a cui è abituato – senza contare il fatto che ha due mamme e… quella biologica non è esattamente quella con cui va più d’accordo.

https://youtu.be/u6VAQ6LdnKs

✔ L’ambientazione. Essendo una base militare siamo su suolo americano, ma varcata l’esile sbarra che la divide dall’esterno, c’è l’Italia. Un’Italia quasi d’altri tempi, con le sciure che offrono vino a ragazzini sconosciuti mentre alla radio passa Anna Oxa – con una fotografia che urla Guadagnino da ogni poro. Spettacolare.
✔ L’interno della base è un microcosmo che ricalca perfettamente gli ambienti esterni e ne ripropone su scala ridotta, e quindi amplificata, i problemi. Che si tratti di tematiche familiari, scolastiche, di integrazione o del bisogno disperato di poter essere se stessi.
✔ Jack Dylan Grazer, che forse ricorderete per aver interpretato Eddie Kaspbrak nell’It cinematografico più recente, stupisce nel regalare una performance così credibile da commuovere. Sentiamo tutto ciò che sente lui. Davvero tutto.

Vorrei stilare un elenco di cose che mi hanno fatto storcere il naso, ma la verità è che in questo pilot non ce ne sono state, quindi il mio spirito critico è un po’ deluso.

Fraser – L’episodio è stato completamente incentrato su di lui, quindi è una scelta abbastanza banale eppure non scontata. Insomma, poteva non convincere per nulla e invece…

✔ Fraser che balla bevendo vino dal cartone, sulle note di Anna Oxa. – È una scena potentissima perché in pochi secondi ci fa capire quanto Fraser abbia bisogno di un posto che sia tutto suo nel mondo. Ha bisogno di sentirsi bene con se stesso e con l’ambiente che lo circonda. Di sentirsi compreso senza dover nascondere la propria camminata, o le maglie oversize, o la musica che ascolta o, ancora, il suo bisogno di urlare ciò che ha dentro.

RECENSIONE WE ARE WHO WE ARE 1×01

Fraser, che osserva il mondo con gli auricolari sempre fissi nelle orecchie, decidendo lui quale colonna sonora debba avere, mi ha ricordato molto il disagio adolescenziale già visto in Skins. E poi in Skam. Ovvero le uniche due serie televisive che finora erano state in grado di raffigurarlo nella maniera più realistica possibile.

Di carne al fuoco ce n’è tantissima fin da subito. Nel personaggio di Fraser – che come dicevo all’inizio è stato brutalmente sradicato dal suo habitat naturale e si divide fra due madri da cui non si sente apprezzato abbastanza – che negli altri. Possiamo facilmente prevedere dove porterà la storyline di Caitlin/Harper, ma la cosa più affascinante sarà sicuramente vedere l’evoluzione del rapporto fra lei e Fraser.

Fraser si ritrova allo stesso tempo affascinato e distanziato da questo gruppo di amici così eterogeneo e così a suo agio in quel contesto a lui alieno. Per loro, lui è il ragazzo nuovo, a metà strada fra il novellino da far integrare e il caso umano da tenere a debita distanza. E lui si sente alla stessa maniera. Parte di lui vorrebbe far parte del gruppo – e  difatti si ritrova a seguirli ovunque vadano. Parte di lui, invece, vorrebbe solo starne alla larga.

Si preannuncia una serie che avrà come focus la scoperta adolescenziale di sé stessi – tema già affrontato da Guadagnino in passato – in un contesto atipico per l’adolescente medio. Super interessante, direi.

A fare da contorno, la vita in una base militare e le meravigliose ambientazioni italiane che, permettetemelo, solo Guadagnino avrebbe saputo rendere così bene.

90/100

La votazione piena non arriva solo perché non vorrei essere smentita dal resto degli episodi. Le premesse per una serie da inserire nell’elenco di quelle da guardare a tutti i costi, però, ci sono tutte, quindi dita incrociate!

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Nella sua testa vive nella Londra degli anni cinquanta guadagnandosi da vivere scrivendo romanzi noir, nella realtà è un’addetta alle vendite disperata che si chiede cosa debba farne della sua laurea in comunicazione mentre aspetta pazientemente che il decimo Dottore la venga a salvare dalla monotonia bergamasca sulla sua scintillante Tardis blu. Ama più di ogni altra cosa al mondo l’accento british e scrivere, al punto da usare qualunque cosa per farlo. Il suo primo amore telefilmico è stato Beverly Hills 90210 (insieme a Dylan McKay) e da allora non si è più fermata, arrivando a guardare più serie tv di quelle a cui è possibile stare dietro in una settimana fatta di soli sette giorni (il che ha aiutato la sua insonnia a passare da cronica a senza speranza di salvezza). Le sue maggiori ossessioni negli anni sono state Roswell, Supernatural, Doctor Who, Smallville e i Warblers di Glee.

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