Recensione Blindspot 5×11
Al di là dei cambiamenti e delle scelte narrative, oltre i punti di forza e le debolezze affrontate negli ultimi cinque anni, giunto al suo series finale nonché centesimo episodio dello show, Blindspot ha fatto tutto ciò che una serie è chiamata a fare in questi due momenti catartici del suo percorso: ricongiungersi con il suo inizio, celebrare la vita vissuta, onorare chi l’ha resa meritevole di essere ricordata e infine congedarsi in modo tale da non essere mai dimenticata.
It’s your turn to say goodbye, West Coast. The #Blindspot series finale starts now on @NBC. ❤️ pic.twitter.com/kkkqRZQWzR
— Blindspot (@NBCBlindspot) July 24, 2020
Recensione Blindspot 5×11
✔ Struttura e Narrazione
Strutturalmente e narrativamente parlando, Blindspot ha concesso al suo centesimo episodio e series finale un autentico rewind, per ricordare ciò che è stato, ciò che ha significato, ciò che lascerà in eredità. Per una serie che nel suo percorso ha “dimenticato” a volte chi fosse, il leit motiv dell’episodio è stato proprio quello di riconoscere e recuperare la propria anima originale, di ripercorrere tutte le sue tappe, dando a ognuna di loro una ragione d’esistere, una giustificazione e una nuova prospettiva morale.
✔ I ritorni dal passato
Le allucinazioni di Jane hanno guidato questo riavvolgimento del nastro proprio come la sigla stessa ha suggerito, proprio come il ritorno a Time Square ha confermato. Richiamare in massa TUTTI coloro che hanno giocato un ruolo chiave in queste stagioni (persino Avery, la figlia di Jane dimenticata anche prima della nuova ondata di ZIP) è stata una decisione complementare alla narrazione, perché tutti loro hanno guidato Jane nella giusta direzione come allucinazioni nello stesso identico modo in cui hanno provato a influenzare le sue azioni in vita.
✔ La chiusura del cerchio
Con questo finale, Martin Gero e la sua writers room hanno fatto pace con l’intero passato della serie, esattamente come Jane, hanno affrontato ogni scelta, giusta o sbagliata che fosse, hanno ribadito ogni presa di posizione e infine hanno raggiunto quella consapevolezza che Jane stessa aveva bisogno di accettare: hanno fatto del loro meglio e l’hanno fatto bene.
There’s only one place for their journey to end: where it all began. #Blindspot pic.twitter.com/sKjiCbXVZ5
— Blindspot (@NBCBlindspot) July 24, 2020
✘ Scarsa presenza dei co-protagonisti
Se Jane Doe si rivela complessivamente “one woman show” e occupa perfettamente una semi totalità dello spazio a disposizione della storia, appaiono purtroppo quasi solo di supporto gli altri pilastri della serie, presenti abbastanza da avere un ruolo nella risoluzione finale ma non troppo da lasciare effettivamente un segno nell’ultima missione.
Alice. Remi. Jane.
Recensione Blindspot 5×11 – Al di là anche dei gusti e dei pareri personali, è impossibile non vedere in Jane Doe non solo il miglior personaggio di una storia evidentemente costruita intorno a lei ma un’autentica metafora e personalizzazione della serie stessa: Jane Doe è Blindspot, in tutti i suoi significati. È la psicologia di Jane a narrare la sua storia, a chiudere il cerchio e a riportarla a casa.
La tripartizione della sua personalità – quella strappata alla vita e tradita, quella plasmata e infine quella che lei aveva creato per uno scopo ma aveva poi conservato per un altro, ossia Alice, Remi e Jane – riemerge nuovamente ma adesso non c’è più una battaglia tra le sue parti, adesso nessuna di loro è il problema ma insieme sono la soluzione, sono i segnali che conducono Jane lì dove aveva bisogno di andare e le permettono di capire ciò che non aveva mai davvero accettato: è esattamente la persona che voleva diventare.
Mezzi senza un fine
Recensione Blindspot 5×11 – Inevitabilmente legata al percorso totalizzante di Jane in questo finale è quindi quella che considero la scena migliore dell’episodio, ossia il suo ultimo confronto con tutti quei demoni che in vita avevano deviato la sua esistenza.
Grazie all’unica allucinazione di cui poteva fidarsi, ossia Edgar Reade, Jane capisce che non può continuare a combattere fantasmi che fanno parte di lei ed è chiamata quindi ad ascoltarli, solo per metterli a tacere una volta per tutte.
Sandstorm, Oscar, sua madre, Crawford, Roman e Madeline, sono ancora tutti lì, nella sua testa, e l’aspettano, aspettano che lei sia pronta a parlare con loro e se all’inizio della scena Jane appare su un piano superiore rispetto a loro, in un edificio labirintico e intricato che richiama probabilmente proprio la sua mente, mentre li affronta, con determinazione e sicurezza, Jane scende lentamente al loro livello, riconosce il motivo per cui loro sono ancora lì, li ascolta ma alle sue condizioni e poi li lascia andare facendo propria quella lezione che nessuno di loro aveva mai capito: i mezzi per raggiungere un fine contano, sono in realtà tutto ciò che più conta per l’effettivo raggiungimento di un fine o per il suo totale fallimento.
Il Finale di Rorschach
Recensione Blindspot 5×11 – Ho sempre “temuto” che il finale di Blindspot non potesse davvero concludersi con un lieto fine sfacciato e una storia che non pone più domande. Per questo motivo mi aspettavo personalmente una chiusura in stile “Chuck” o ancor di più in stile “Haven”, con la storia di Jane che ricominciava proprio lì dove era iniziata la prima volta, a Time Square, senza memoria ma con una missione. Ciò che forse non mi aspettavo era un finale in stile “Lost”.
In realtà Gero ha paragonato questo finale al celebre test di Rorschach, aperto a libere interpretazioni, e sebbene non sia un’affermazione particolarmente originale, mi sono resa conto di quanto idonea sia per questa serie nel momento in cui ho ricordato che l’intera sigla di Blindspot è stata graficamente impostata fin dall’inizio proprio sul gioco delle macchie di Rorschach e di quei significati innumerevoli e criptici che tanto somigliavano ai tatuaggi di Jane.
Alla domanda di Kurt “Are you okay?”, dopo lo stacco che ci mostra Jane collassare e infine soccombere a Time Square per l’avvelenamento da ZIP, Jane risponde “I’m good”, una risposta che dunque può significare:
- I’m good … perché ha avuto una visione di tutto ciò che avrebbe potuto perdere se le cose fossero andate diversamente (proprio come suggeriva Kurt) ma per fortuna è andata bene e adesso ha la vita che ama con le persone che ama;
- I’m good … perché ha dedicato gli ultimi istanti della sua vita a salvare le persone a lei care e parte dell’umanità da un destino crudele che lei per prima aveva vissuto già troppe volte;
- I’m good … (e questa è una mia teoria che mi piace) ma l’avvelenamento da ZIP, per quanto arrestato dall’antidoto, ha potenziato le sue capacità cognitive permettendole di anticipare, vedere e vivere scenari alternativi a quello presente (esattamente com’era successo per tutto l’episodio) aprendo così la storia a un possibile futuro in cui le nuove capacità di Jane l’avrebbero riportata sul campo (e in questo caso Blindspot si ricongiungerebbe col suo maestro ALIAS).
La verità dunque è che sta a noi decidere cosa sia davvero avvenuto dopo aver tagliato il filo verde e personalmente mi piace uno scenario in cui, seppure con le difficoltà quotidiane, Jane, Kurt, Tasha, Patterson e Rich abbiano la possibilità di vivere finalmente la vita che hanno scelto e che meritano.
Time to debrief THAT final scene. What do think it means? #Blindspot pic.twitter.com/9UCk07drnC
— Blindspot (@NBCBlindspot) July 24, 2020
Ultimo Addio – Tasha Zapata
Recensione Blindspot 5×11
Nella sua caratterizzazione, fin dal principio, Tasha Zapata ha incarnato la moralità grigia di questa serie ma l’ha fatto sempre senza perdere di vista neanche per un istante il Nord della sua bussola, senza mai dimenticare davvero la persona generosa, altruista ed eroica che era sempre stata. Tasha è stata il personaggio difficile da amare per tutti forse tranne che per me, era la spalla su cui piangere, la mano che aiutava gli altri a rialzarsi, la comprensione per chi aveva bisogno di essere perdonato, eppure tante volte lei per prima credeva di non meritare ciò che aveva sempre concesso incondizionatamente agli altri.
In uno degli ultimi episodi della prima stagione, Tasha quasi “prega” una Mayfair all’epoca in fuga di “non rinunciare a lei” e quelle parole scavano a fondo nella sua più intima psicologia, perché per quanto lei non rinunciasse mai a nessuno, era certa che alla fine tutti avrebbero rinunciato a lei, ma quelle persone, quella squadra, quella famiglia non era disposta a perderla.
Menzione d’onore infine per il ritorno di Nas, per me da sempre e per sempre parte integrante di questa squadra e di questa serie.
90/100
Il mio voto a questo finale di Blindspot è un assoluto 90/100, mentre mi congedo dalla serie in generale senza troppe lacrime ma con un sorriso e la consapevolezza di non aver rimpianto un solo minuto trascorso in sua compagnia. Goodbye my friend, for now … (non si sa mai!).
Complimenti per la recensione.. fra le tante lette, quella che ho apprezzato di più e quella che, ritengo, la più chiara e meno di parte di sempre