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Quello che ti porti dentro – Vento di passioni e Oliver Queen (Arrow)

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Quello che ti porti dentro – Vento di passioni e Oliver Queen (Arrow)

Carissimi! Come state? So che la rubrica mia (Marianna), di Simo e di Mary vi è mancata (abbiamo saltato una settimana… lo so che ve ne siete accorti!) e so anche che avete notato come abbiamo portato “on board” un’altra fantastica autrice, Walkerita, visto che proprio lei ha dato il via a questa nuova edizione dei nostri parallelismi, questa volta tra film (più o meno famosi) e le nostre amatissime serie TV. Ovviamente se avete proposte particolari saremo ben liete di accontentarvi (nei limiti delle nostre conoscenze telefilmiche e filmiche!), quindi non fatevi scrupoli e avanti con le proposte!!!

Ebbene, veniamo a noi!

E’ il 1994 e io ho 14 anni quando esce questo film. Brad Pitt aveva avuto il suo primo momento di celebrità grazie ai film “Thelma e Louise” (nel 1991) e “In mezzo scorre il fiume” (nel 1992) ma il 1994 è il suo anno: prima con “Intervista con il vampiro” e poi con “Vento di passioni” inizia la serie di film che lo hanno consacrato nell’Olimpo degli attori più famosi di Hollywood (basti pensare che il 1995 è l’anno di “Seven”, ancor oggi a mio avviso uno dei thriller meglio riusciti). Ed oggi parleremo proprio di “Vento di passioni”.
Da amante di Anne Rice non mi ero ovviamente persa la trasposizione cinematografica di uno dei suoi migliori libri (Intervista con il vampiro) e lì l’avevo conosciuto: Brad Pitt aveva attirato la mia attenzione. Non tanto per la sua bellezza (ok, la sua bellezza ha avuto un certo peso) ma soprattutto per come ha impersonato Louis de Pointe du Lac, cogliendone appieno l’animo melanconico, la fragilità e il dissidio interiore, dandogli un fascino impressionante. Confesso che da allora non mi sono persa nemmeno un film con Brad, e ovviamente sono andata a vedere anche i precedenti. Così quando uscì “Vento di passioni” non potevo di certo non vederlo! Ecco, questo è uno di quei film che, a distanza di 20 anni e almeno 20 visioni dopo, riguardo sempre con piacere.

Legends of the Fall” (questo è il titolo originale) narra la storia del colonnello Ludlow e dei suoi tre figli, Alfred, Tristan e Samuel. Il colonnello ha un forte legame con gli indiani e, proprio per questo, disgustato dal trattamento che il governo americano riserva loro, decide di ritirarsi nel Montana ad allevare bestiame. I figli hanno temperamenti diversi: Alfred è l’intellettuale, Samuel il sensibile e Tristan il passionale. Un giorno Tristan, solo nella foresta, viene aggredito da un orso, e nella lotta il suo sangue si mescola a quello dell’animale creando tra loro un legame indissolubile. Rendendoli un tutt’uno.

I ragazzi crescono, Samuel torna dal college fidanzato con Susannah, una bella ragazza di città che ben si adatta alla vita nella tenuta della famiglia Ludlow e che lega subito con i fratelli, soprattutto Tristan. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale Samuel decide di arruolarsi come volontario e gli altri fratelli decidono di seguirlo fondamentalmente solo per proteggere il fratello minore. L’epilogo è tragico: Samuel muore sotto gli occhi di un Tristan inerme. Al ritorno a casa i fratelli rimasti si allontanano sempre di più, da un lato perché entrambi sono innamorati di Susannah, dall’altro per gli interessi totalmente diversi: Alfred entra in affari in città e si fa sempre più coinvolgere dalla politica, Tristan invece molto “selvatico” e indomabile. Infatti, nonostante il legame con Susannah, Tristan decide di partire e allontanarsi per un periodo indefinito. Quando, dopo molto tempo, Tristan scrive a Susannah di andare avanti perché “quello che avevano era morto” lei decide di sposare Alfred (ormai membro del Congresso) e di trasferirsi in città.

Parecchi anni dopo (in pieno proibizionismo) Tristan ritorna e, saputo del successo del fratello e del matrimonio con Susannah fa loro visita, causando un forte rammarico nella donna che è ancora innamorata di lui. Ma il ritorno di Tristan fa rinascere la tenuta di famiglia: si innamora e sposa la figlia degli indiani che accudivano la casa e riporta in essere il commercio (contrabbando di alcolici). Gli eventi successivi sono tragici: prima, a causa di un incidente, Isabel muore e Tristan deve scontare un po’ di giorni in prigione senza giusta causa. In seguito Susannah si suicida e, quando le forze dell’ordine decidono di giustiziare senza processo Tristan solo l’intervento di Alfred (che finalmente torna a schierarsi dalla parte della famiglia) consentono al fratello di salvarsi e di fuggire.

Il film si chiude con la scena della (probabile) morte di Tristan durante una lotta con l’orso che tanto aveva segnato la sua esistenza in gioventù e con le parole di Colpo di Pugnale (il suo fidato amico indiano) “Ebbe una buona morte”.

Tutto nasce da un singolo evento: Tristan lotta con un orso, il loro sangue si mischia e questo li lega per sempre. E questo non è che una metafora del fatto che la vita, con il suo corso, ci modifica. Questo film ci mostra in modo assolutamente inconfutabile come, nella nostra vita, alcuni fatti, alcuni eventi lascino su di noi il loro marchio più tangibile, ci entrano sotto pelle e diventano parte di noi. Sono le esperienze che viviamo quotidianamente a creare i noi stessi di domani.

https://www.youtube.com/watch?v=mKMGn6C8QdE

E l’episodio dell’orso è solo il mezzo per portarci a capire che è tutto quello che succede a Tristan negli anni a seguire a forgiare il suo carattere, la sua personalità. Per Tristan la famiglia è tutto, in guerra, la morte del fratello è un colpo troppo duro da affrontare. Tuttavia, Tristan non perde la ragione e, in linea con le abitudini degli indiani, mette a punto una vendetta che porta alla conquista dello scalpo dei suoi nemici: una vendetta fredda e cieca e, in mezzo tanta crudeltà lui è lucido e risoluto. Ma questo episodio lo cambierà per sempre.



Quello che ne esce è un uomo spogliato delle sue emozioni, un uomo logorato dal dolore interiore, non manifesto. E’ con Susannah che piange liberamente, è con lei, la donna con la quale si era già sentito legato prima di seguire i fratelli in guerra, che trova un angolo di serenità.


Ma è una serenità fugace perché l’agonia che porta dentro è troppo grande, il dolore è fin troppo bene radicato dentro di lui. Dolore e forse anche senso di colpa: aver amato e amare la fidanzata del fratello, un fratello strappato troppo presto alla vita e che lui non è stato in grado di proteggere e salvare. E mentre vive il suo amore con Susannah lui non è già più lì, lo sguardo è perso, distante. Il suo animo non può percorrere quei passi, è troppo inquieto, non ha pace, quella pace interiore, quell’ equilibrio che ti consente di stare bene nelle tue scarpe (passatemi la metafora).

Ed ecco che Tristan se ne va: lascia la sua casa, simbolo di tutto ciò che per lui è importante e parte alla riscoperta di sé, alla ricerca del suo equilibrio. Ci sono voluti anni ma alla fine ha fatto ritorno, pronto per un nuovo inizio, pronto a lasciarsi andare all’amore, e forse non solo alla passione.

Tutto questo non poteva non farmi pensare al protagonista di una serie TV che adoro (e che in questa sua terza serie mi sta dando grandissime soddisfazioni): Oliver Queen.

Oliver Queen ci viene presentato (o meglio viene visto da tutti) come il classico belloccio figlio di papà viziato, eppure dietro il suo bel faccino c’è molto di più.

Oliver ha 25 anni ed ha alle spalle diversi eventi traumatici: il naufragio e la perdita (o non perdita come scopriremo dopo) della sua temporanea (non temporanea – meglio non fissarsi sui dettagli) ragazza nonché il suicidio del padre per la sua stessa salvezza. Già questo basterebbe a segnare la personalità di un individuo “psicologicamente forte e stabile” ma per non farsi mancare niente il caro Olly ha passato un bel po’ di tempo su di un’isola quasi deserta cercando di rimanere vivo (considerando che fin qua ho più o meno riassunto la prima serie direi che ne ha di cose da raccontare Olly).

Ebbene, Oliver Queen torna dal mondo dei morti e porta con sé i segni indelebili del suo trascorso, non solo come cicatrici sulla pelle ma anche come marcatori puntuali dei suoi comportamenti, delle sue paure e dei suoi punti di forza.

Tutti i flashback ci mostrano di continuo eventi che hanno segnato la personalità di Oliver, il mettere gli altri al primo posto, la difficoltà nel lasciarsi andare, nel confidarsi, di mettere se stesso al primo posto. Oliver è cresciuto, è dovuto crescere: la spensieratezza ha lasciato il posto ad una realtà fatta di lotta e di sopravvivenza, di ricerca di una forza dentro di sé che spinge ad andare avanti come se non ci fosse un domani, semplicemente perché un domani (come eri solito intenderlo) non ce l’hai più.

E poi Oliver si ritrova catapultato nella sua vecchia realtà, in quella vecchia vita tanto desiderata che, però, non riconosce più perché lui non è più la persona che era prima. Perché nulla è come prima. Molti segreti sono venuti a galla ed altri sono da ricercare ma la verità è che tutto è cambiato.

Non è facile, indossare tutti i giorni una maschera per celare la persona che realmente si è diventati, perché inizialmente Arrow è il vero Oliver, e Olly è solo l’ombra del vecchio se stesso. Ma la vita va avanti, e quello che succede è che ci si plasma nella realtà in cui si vive, lentamente ma tutto scorre. Nuove (e vecchie) persone entrano nella sua cerchia, il passato è lì marchiato ma un nuovo futuro si sta costruendo, spesso non è facile perché il cambiamento, il trovare un equilibrio che ci consenta di essere in pace è una strada tortuosa che passa attraverso l’abbandono di situazioni o abitudini consolidate e con cui abbiamo dimestichezza per altre dalle fattezze incerte. E per Oliver significa lasciare che le persone entrino nella sua vita, assumersi il rischio di scegliere per sé. Permettersi il lusso di vivere appieno la sua vita. Lasciando agli altri la libertà di rischiare a loro volta.

Ecco non si può dire quale sia l’orso di Oliver, perché nel corso della serie molto ci è stato mostrato del suo passato da quando ha messo piede sulla barca che l’ha portato a vivere i suoi 5 anni di avventure eppure, Oliver si porta dentro il legame con l’isola, l’esperienza ad Hong Kong (fin dove ce l’hanno presentata almeno), tutti eventi che hanno contribuito a renderlo la persona che è ora, forgiando il suo carattere, plasmando la sua personalità.

Perché questo è quello che la vita ci fa, fin da quando siamo piccoli, neonati effettivamente, ci sono momenti, perfino gesti che non ci sembrano importanti (inizialmente), che entrano a far parte di noi e che ci cambiano, che, giorno dopo giorno, ci rendono le persone che saremo.

Alla prossima!

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Nata negli anni 80, grazie al suo papà clone di Magnum P.I., cresce a pane e “Genitori in blue jeans” (dove si innamora di Leonardo di Caprio che troverà poi in quei film tanto amati come "What's Eating Gilbert Grape" o “Total eclipse”), l’uomo da 6 milioni di dollari, l’A-Team, Supercar e SuperVicky. L’adolescenza l’ha trascorsa tra Beverly Hills 90210, Santa Monica e Melrose Place..il suo cuore era sul pianeta di Mork e alle Hawaii..anche se fisicamente (ahimè) era sempre e solo nella provincia bergamasca. Lettrice compulsiva fin dal giorno in cui in prima elementare le hanno regalato Labirinth è appassionata di fantasy (Tolkien è il suo re, Ann Rice e Zimmer Bradley le sue regine) e di manga (Video Girl AI in primis per arrivare a Paradise Kiss e Nana), anche se ultimamente è più orientata a letture propedeutiche pediatriche! Ama studiare (tra laurea, dottorato e master ha cominciato a lavorare a 28 anni!!) ed imparare, ma non fatela arrabbiare altrimenti non ce ne è per nessuno!

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