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Previously on… Sherlock e Shadowhunters

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Previously on… Sherlock e Shadowhunters

Carissimi addicted, che siate delle persone normali o che, come noi, abbiate la memoria di un criceto morto per ipossia, un ripasso in vista del ritorno delle serie invernali non può che farvi bene, soprattutto se fra quelle serie si annida “Sherlock”, il cui ultimo episodio risale più o meno all’epoca giurassica.

Ma mi raccomando, non soccombete al panico, perché ci siamo qui noi a ricordarvi (sempre nel nostro personalissimo modo, ovviamente) cosa vi siete persi in…

… “Sherlock”!

In una Londra moderna ma non troppo, John Watson, un medico militare rimasto ferito e traumatizzato il giusto, è alla ricerca di un appartamento. Cercare casa, si sa, può innalzare il proprio livello di disperazione a vette epiche e rendere gli individui estremamente imprudenti, al punto da accettare a scatola chiusa offerte di convivenza sospette.

Il nostro insipido eroe si ritrova così a dividere con tale Sherlock Holmes, un tizio che nella vita fondamentalmente fa quello che si annoia per principio, il celeberrimo appartamento al numero 221B di Baker Street.

La padrona di casa, vecchia marpiona, ne sa una più del diavolo e li etichetta subito per quello che sono, una vecchia coppia gay sposata e con evidenti problemi legati a un sistema di comunicazione estremamente disfunzionale.

La polizia di Londra, composta da un manipolo di individui talmente inconcludenti da far sembrare l’ispettore Gadget più astuto dell’ispettore Derrick, si rivolge quotidianamente a Sherlock in cerca di aiuto. Lui, da vero gentiluomo, non glielo fa pesare per niente e non perde occasione per rimarcare il suo incommensurabile quoziente intellettivo e il fatto che è fondamentalmente er pezzo mejo della baracca.

Quando una serie di suicidi seriali sconvolge Londra, diventa chiaro fin da subito che la pula non ce la può fare, proprio psicologicamente parlando, e Sherlock viene chiamato a investigare sulla scena dell’ultimo delitto (perché è palese fin dal principio che di quello si tratta, sai che palle altrimenti), avente come vittima una donna di facili costumi vestita in una tonalità di rosa che manco Mariah Carey in un video dei primi anni novanta.

Nel frattempo John viene rapito da un tizio X che si autodefinisce l’arcinemesi del suo coinquilino ma, visto che al momento nessuno considera Watson manco di striscio, neppure il suo pesce rosso si accorge della sua sparizione e la cosa passa sotto silenzio.

Mentre Sherlock inaugura l’apertura della stagione di caccia al taxi, la polizia, dando prova di estrema maturità emotiva, gli perquisisce l’appartamento per ripicca in cerca di sostanze stupefacenti che, visto il soggetto, come scusa ci potrebbe pure stare.

In un turbinio di eventi di cui non ricordo francamente una cippa, Sherlock finisce su un taxi con un uomo che gli confessa di essere il responsabile dell’ondata di presunti suicidi e di essere stato pagato da un fan del detective per costringere le vittime a giocare a una sorta di roulette russa per principianti.

Vabbè.

Sherlock, poiché è un genio, decide di dover essere più figo degli altri e si lascia convincere a partecipare per dimostrare di essere in grado di scegliere la pillola non letale. Per fortuna Watson, l’unico ad avere due neuroni che fan contatto, anche se a stento, risolve molto democraticamente la cosa sparando al tassista.

Quando si dice il pragmatismo.

Poco prima di morire, il nostro omicida dilettante rivela a Sherlock il nome del suo ammiratore, tal Moriarty (che in antica lingua Atzeca significa “L’unico motivo per cui Elisa guarda questo show”).

In tutto ciò si scopre che il responsabile del rapimento di Watson è in realtà il fratello del cervellotico investigatore, e la cosa finisce a tarallucci e vino e volemose bbbene.

Non c’è pace nella lotta al crimine e Sherlock viene chiamato a investigare su un noiosissimo caso di omicidio legato al traffico di chincaglierie made in China.

Watson ne approfitta per cercare di battere chiodo, che l’andropausa avanza e bisogna fare quel che si può finché si è in tempo, ma il suo compagno non vuole sentir ragione e cerca in tutti i modi di sabotare il suo già di per sé disastroso appuntamento.
Il perché e il percome della vicenda sono fondamentalmente irrilevanti e pure un po’ tediosi e oltretutto non me li ricordo nemmeno, quindi mi limiterò a dire che John finisce per farsi rapire (aridaje) assieme alla sua accompagnatrice, aumentando esponenzialmente le possibilità di andare in bianco, Sherlock lo salva e alla fine si scopre che a dirigere baracca e burattini era in realtà un certo M, che faremo finta di non sapere che si tratta di Moriarty.

Nel terzo episodio, che poi è anche il finale della prima stagione, perché i fan di questa serie han da campare di attesa e tristezza, finalmente gli autori si rendono conto che non è che hanno così tanto tempo da scialare e si arriva alla ciccia della storia: Moriarty, stanco di adulazioni e preliminari di rito, decide di lanciare apertamente una sfida a Sherlock e lo impegna in una serie di puzzle sempre più complessi, usando come posta in gioco ignari passanti che si ritrovano trasformati in pacchi bomba ambulanti.

Nonostante sia occupato a cercare di impedire che degli innocenti finiscano spappolati come cocomeri lanciati dal quindicesimo piano di un grattacielo, Sherlock, un uomo chiamato multitasking, trova anche il tempo per investigare su un omicidio legato al furto di una chiavetta USB stracolma di segreti segretissimi per conto di Mycroft, facendo però contemporaneamente finta di disinteressarsi al problema per burlarsi del fratello maggiore… che simpatico umorista!

L’investigatore decide di utilizzare la chiavetta USB recuperata come esca per attirare Moriarty allo scoperto (occhio non vede, Mycroft non duole) e la tensione omoerotica schizza alle stelle quando i due si ritrovano faccia a faccia in una scenografica piscina, con Watson imbottito di esplosivo come una salsiccia bavarese a far da testimone al romantico incontro.

(Rassegnamoci al fatto che Andrew Scott è un figo. Punto.)

Moriarty fa il burlone, se la tira un sacco, fa finta di andarsene e poi ritorna a cecchini spiegati.
E niente, la prima stagione finisce così, con Sherlock e Moriarty pronti a staccarsi la testa dal collo e il povero Watson che rimpiange amaramente di non essere rimasto in Afghanistan, lasciando i fan in astinenza a imprecare contro le divinità di tutti i pantheon più o meno conosciuti.

La seconda stagione della perla della BBC One e di quel geniaccio demoniaco di Moffat, come sempre accompagnato da Mark Gatiss (nomi che si pronunciano come “Satana”, il primo, e “Satana’s Best Friend”, il secondo), si apre con uno degli episodi più belli realizzati per questa serie, perché a fare da contraltare alla misoginia del protagonista interviene un personaggio femminile un po’ portato agli estremi rispetto all’originale ma nondimeno strepitoso, ovvero Irene Adler, nome che può anche essere pronunciato come “La donna che fece il fondoschiena a strisce a Sherlock Holmes”.

E così, tra l’uomo che “Sono tutti idioti, mamma mia quanto deve essere facile e bello per voi poveri mentecatti minorati mentali non essere me” e la donna che si è fatta strada nel mondo secondo il detto “Le brave ragazze vanno in Paradiso, ma le cattive vanno dappertutto”, come confermato da Sat… ehm, volevo dire Moffat e Cumberbatch stesso, è amore.

Certo, al posto di appuntamenti romantici e corteggiamenti, con loro è più una gara a chi riesce a prendere meglio nel sacco l’altro, ma ehi, l’amore non è bello se non è litigarello, si dice, e chi siamo noi per giudicare? Nonostante questo, i due riescono comunque a dare un nuovo significato alla parola flirtare e una nuova dimensione all’espressione “volersi strappare i vestiti di dosso”, tra inconfondibili suonerie per sms, riconoscimenti reciproci della sexosità dell’intelligenza dell’altro e allusioni per nulla velate, grazie alle quali scopriamo pure che Sherlock non ha l’occhio lungo solo per le indagini. Come diceva nonno Libero:

 “Una parola è troppa e due sono poche”.
Così, la bad girl per eccellenza usa i suoi stessi sentimenti per fare le scarpe a Sherlock e Mycroft, grazie all’aiuto dell’onnipresente Moriarty che muove i fili là nell’ombra, ma Sherlock è genio mica a caso e riesce a leggere finalmente l’affascinante Irene, che si rivela essere tutti noi.

Incazzato per essere stato raggirato e da perfetta Drama Queen, Sherlock se ne va lasciando Irene apparentemente a morire, ma ovviamente, giusto perché lui non sa cos’è l’amore, poi attraversa mezzo mondo e si infiltra tra un gruppo di terroristi islamici per salvarla.

THE Woman. THE Only Woman.”

La stagione prosegue con l’adattamento del più famoso dei quattro romanzi del Canone di Sherlock Holmes, “Il Mastino dei Baskerville”, che, grazie ad “Allons-y, Alonso!”, porta il nostro duo preferito in una base spaz… ehm, militare segretissima dove vengono fatti esperimenti tali da far diventare gli animali fosforescenti (qualcuno avvisi Sheldon Cooper!)… e, tanto per non farci mancare nulla, ovviamente anche qui c’è un crimine di mezzo, che Sherlock riesce a risolvere una volta passato l’effetto della droga, che tanto per non smentirsi lui fa assumere pure al povero John per sottoporlo a un esperimento atto, per l’appunto, a risolvere l’omicidio e il mistero che sembra avvolgere il luogo.

The Reichenbach Fall”, terzo e ultimo episodio della seconda stagione, invece, vede la resa dei conti con James Moriarty, in una puntata da crisi di nervi per la frustrazione che sorge nel vedere quel branco di incompetenti di Scotland Yard (Greg Lestrade a parte, l’unico a non dubitare mai di Sherlock) osar accusare Sherlock di essere l’artefice di tutti i crimini capitati negli ultimi anni, dietro lo pseudonimo di Moriarty. In particolare, impossibile non augurare a Sally Donovan un treno in piena faccia.

Ovviamente, Moriarty è ben reale e, da Drama Queen al pari di Sherlock se non di più, siccome “You should see me in a crown”, vuole far capire a tutti che lui è il migliore e largo che come lui non ce n’è!

Ora, io non sono assolutamente di parte, non sono infatuata di Moriarty al punto che ho il suo monologo tatuato sul braccio (letteralmente) e quindi è con scopo del tutto disinteressato che vi invito a prendere visione della seguente testimonianza video in grado di provare, senza ombra di dubbio e in base a ogni possibile legge fisica, che Andrew Scott è davvero Mr. Sex, nonostante dal colorito possa sembrare una confezione di latticini lasciata a macerare al sole in una torrida giornata d’agosto.

https://www.youtube.com/watch?v=BpdNfu1Yf_Q

L’unico aggettivo che mi viene in mente per descriverlo è monumentale, il che è curioso dato che dovrebbe essere alto un Lego e una Vigorsol.

Per farla breve Moriarty, che da brava teenager innamorata ci è rimasto male a non essere stato eletto reginetta del ballo scolastico, decide che Sherlock ha da vederlo di corona vestito e, anziché comprare una tiara di plastica nel negozio di giocattoli all’angolo, decide di far le cose in grande e rubare i gioielli della corona, che il finto argento gli fa allergia e con la sua carnagione sta pure da schifo.

E allora dagli di irruzione scenografica con finti virus fighissimi lanciati dal telefonino per mascherare il fatto poco coreografico che se l’è cavata con du’ mazzette allungate alla prima guardia che passava… che amarezza!

Alla fine Moriarty, stanco di non essere considerato da Sherlock nonostante tutti i suoi sforzi per mettersi in tiro, decide di risolverla alla vecchia maniera e di ricattare il suo idolo/arcinemico mettendo sul piatto la vita del tanto amato quanto inutile John. E questo costringe Sherlock a battere in ritirata…. sempre perché lui non sa cosa voglia dire amare e se non morisse (aka: si fingesse morto) i suoi amici verrebbero allegramente impallinati dai killer di Moriarty.

E dico dai killer perché il nostro villain, che ce l’ha un po’ anche lui con la storia “Mio Dio, che palle essere speciali e mejo quando tutti intorno a te sono dei pezzenti decerebrati”, decide che si sta annoiando troppo ed esce di scena sparandosi un colpo in bocca e lasciando Sherlock a districare un immenso casino (e noi a passare anni a chiederci se e come sia scampato alla morte… “Did you miss me?” un par di ciufoli!).

Con “The Sign Of Three” viene data una bella iniezione di ironia e Moffat, Gatiss e tutti decidono di prendersi meravigliosamente in giro. Così, vediamo Sherlock e John raggirati come niente dalla genialissima Mary, fidanzata di John, durante l’organizzazione del matrimonio, e poi ubriachi fradici combinarne di ogni, il tutto accompagnato, in seguito, da una divertentissima rappresentazione delle loro avventure con il racconto di Sherlock agli ospiti, proprio al matrimonio.

 

Anche durante l’organizzazione del e poi al matrimonio del suo migliore amico non può non esserci un crimine in atto, così ecco che Sherlock continua a indagare e per farlo usa anche il suo famigerato palazzo mentale… e chi appare in esso, trasformato in un’aula di tribunale in cui Sherlock interroga le sue testimoni? Ma Irene, ovviamente. E la curiosità è come lei appare: nuda.

Quella è la mente di Sherlock, lui pensa a Irene e la immagina bellissima, che gli accarezza il viso e nuda.

Hai capito quello che è sposato col suo lavoro e l’amore è solo una distrazione, un difetto chimico. Marpioncello che non sei altro… Tana per Sherlock!

 

Altrimenti detto: l’unico uomo che può trasformare una frase scortese in una dichiarazione d’amore.
Ulteriore menzione d’onore per l’episodio: Sherlock e il piccolo portatore degli anelli. Adorabili.

E dopo la fine della terza stagione è iniziato il luuuungo hiatus che avrà fine solo tra pochi giorni.
Tre. Dannati. Anni. Interrotti solo da “The Abominable Bride”, speciale andato in onda l’anno scorso, che ha visto un ritorno alle origini per il famoso detective, visto che l’episodio è ambientato nella Londra vittoriana… ma, altresì, nel presente, poiché il tutto si svolge nel palazzo mentale di Sherlock, il quale sta cercando di capire se Moriarty è vivo o meno.

Vi è venuto mal di testa? Si chiama effetto Moffat.

E alla fine, Moriarty è vivo o no? Lo scopriremo a breve.

– MooNRiSinG e Sam

… Shadowhunters!

Dove eravamo rimasti?

Eravamo rimasti al fatto che Decter & co. non avevano altro da fare che basarsi veramente sui bellissimi romanzi di Cassandra Clare, magari chiedendo qualche aiutino anche a lei (come fanno i creatori di “Outlander” con la Gabaldon, ad esempio, come è stato fatto al cinema con la Rowling per “Harry Potter”… e tanti altri) e avremmo avuto una prima stagione magari non perfetta, ma sicuramente ben più che decente.

Invece, Ed Decter ha deciso di adottare il famigerato modus operandi “ghe pensi mi”… e ha fatto parecchi danni.

Cassandra Clare stessa, che pure, comprensibilmente, spera nel successo dello show essendo esso l’adattamento (sort of, per ora…) della saga da lei creata (e quindi si tratta di pubblicità del suo lavoro, che può portare ulteriori lettori), l’ha definito sì “Interessante”, prima della messa in onda, per essere gentile, ma poi l’ha anche ironicamente definito come una fan fiction dei suoi romanzi.

La storia è rimasta, in linea generale, quella dei romanzi: la giovane Clarissa Fray il giorno del suo compleanno scopre che può vedere un mondo celato agli occhi dei comuni umani e che sua madre è stata rapita. Salvata dall’attacco di un mostro da un giovane armato di spade che sembrano fatte di una via di mezzo tra acciaio e cristallo e coperto di apparenti tatuaggi, scopre che in realtà quel mostro è un demone infernale e che quei tatuaggi sono Rune angeliche… e che il ragazzo (biondo e aitante, va da sé!) è un Nephilim, un umano con sangue angelico, ed è un Cacciatore di Demoni.

E da qui parte la sua avventura in questo mondo che presto scopre essere il suo vero mondo, essendo anche lei una Nephilim, che è una scoperta di se stessa, del mondo da cui proviene e che la porta a interagire con creature mitologiche: Demoni, Stregoni, Fate, Nephilim, Vampiri e Lupi Mannari, tutti legati agli Angeli e ai Demoni. Avventura alla ricerca di sua madre e tra le innumerevoli scoperte, alcune capaci di bloccare la crescita (diciamolo: scoprire che tuo padre è un moderno Hitler può avere questo effetto collaterale).

Nella prima stagione, quindi, siamo partiti da un pilot e un secondo episodio generalmente fedeli per poi finire ruzzolanti in un susseguirsi di eventi presi sì dai libri, ma, non si sa per quale motivo, fatti svolgere in modo diverso “perché così faceva più figo”.

E’ probabile che per questo Decter abbia le orecchie a parabola a forza di fischi per le maledizioni ricevute dagli amanti della saga.

Il tutto unito ai pantaloni a fiori inguardabili di Meliorn, un Cavaliere del Popolo Fatato della Corte Seelie (va bene che è una fata, ma ciò non è l’equivalente di figlio dei fiori!), e a invenzioni di sana pianta, come il famoso matrimonio combinato di Alec Lightwood, nota dolentissima per molti ma che almeno ha avuto un pregio: in una scena stile “Il Laureato”, con il favolosissimo Sommo Stregone di Brooklyn Magnus Bane nei panni che furono di Dustin Hoffman nel film, Alec e Magnus si sono baciati.

E ragazzi, CHE BACIO!!!

Un momento contornato da una bellissima colonna sonora che per un attimo ha fatto esclamare a tutti gli amanti della saga “Ok, fa niente per la Sala degli Accordi, VAI E BACIALO, ALEC!!!” (Cassandra ci perdoni, ma la carne è debole e l’amore per le proprie coppie preferite pure.)




Ancora storditi dalla bellezza di tale momento ma pure tormentati dai sensi di colpa per aver tradito col pensiero Cassandra Clare, che è carinissima con i fan, ci siamo ritrovati al finale di stagione, in cui chi doveva morire (Lydia, il personaggio inventato) non è morto e non si capisce a cosa servirà; Hodge, seppure figo da paura, si è rivelato per il traditore che è e doveva essere; i guai che causano sempre gli ex si sono abbattuti anche su Alec e Magnus (ben prima del tempo, pure) e la ship di Valentine, “Distruggerò il mondo intero” (sì, dicevo in senso letterale!), è salpata alla grande.

E ora attendiamo l’inizio della S2, almeno un tantino rinfrancati dal fatto che la crew sia cambiata quasi interamente, visto che Freeform (sempre casa ABC) evidentemente crede nel progetto e vuole che sia realizzato decisamente meglio (anche grazie agli investimenti di Netflix e per avere maggiori riconoscimenti, visibilità e pubblicità, il che per loro si traduce in tanti bei soldoni), e le intenzioni trapelate da dichiarazioni e indizi qui e là sembrano puntare al ritorno ai libri… ci vorrà un po’, visto che almeno all’inizio vedremo ancora cose pianificate da Decter, ma c’è speranza, per l’Angelo, c’è speranza!

(ABC-Freeform more like:

Appuntamento dal 2 gennaio (data della messa in onda del primo episodio in USA, disponibile dal giorno dopo anche per noi su Netflix).

– Sam

E così siamo giunte alla fine di questo appassionante ed istruttivo appuntamento con cui abbiamo magnanimamente rinfrescato la vostra labile memoria! Appuntamento alla prossima settimana con le recensioni dei primi episodi di Sherlock e Shadowhunters ad opera proprio della nostra Sam.

Alla prossima!

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Nata come Elisa, fin da bambina dimostra un’inquietante e insopprimibile attrazione per i telefilm e per il bad boy di turno. Le domeniche della sua infanzia le trascorre sfrecciando con Bo e Luke per le stradine polverose della sperduta contea di Hazzard. Gli anni dell’adolescenza scivolano via fra varie serie, senza incontrarne però nessuna che scateni definitivamente il mostro che dorme dentro di lei. L’irreparabile accade quando un’amica le presta i DVD di Roswell: dieci minuti in compagnia di Michael le bastano per perdersi per sempre. Dal primo amore alla follia il passo è breve: in preda a una frenesia inarrestabile comincia a recuperare titoli su titoli, stagioni su stagioni, passando da “Gilmore Girls” fino ad arrivare a serie culto quali “Friends” ed “ER”. Comedy, drama, musical… nessun genere con lei al sicuro. Al momento sta ancora cercando di superare il lutto per la fine di “Sons of Anarchy”, ma potrebbe forse riuscire a consolarsi con il ritorno di Alec in quel di Broadchurch…

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