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Pretty Little Liars | Recensione 7×08 – Exes and OMGs

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Pretty Little Liars | Recensione 7×08 – Exes and OMGs

Un velo di profonda oscurità cala su Rosewood in un episodio intenso, dalle sfumature psicologiche che giocano sulla nostra percezione della storia e su quella delle ragazze, confondendo con verosimili bugie o depistando con allettanti e possibili verità, in un contesto che testimonia il ritorno di numerosi e diversificati fantasmi del passato, pronti a minare prepotentemente le speranze di un futuro che assume sempre di più, per tutte loro, le sembianze di una luce fioca in fondo al tunnel.

“You look like you’ve seen a GHOST”

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E il fantasma del passato che torna a tormentare Hanna, anche oltre i confini onirici dei suoi incubi, è il più concreto che le ragazze sono costrette ad affrontare in questo episodio, possedendo infatti un’identità fin troppo delineata, con un sorriso da principe azzurro e un curriculum da malvagio apprendista stregone. In seguito al messaggio, lasciato sul vetro posteriore dell’auto come ammonimento di una costante sorveglianza, di cui le liars stanno effettivamente notando la veridicità giorno dopo giorno, il tempo sembra riavvolgersi in maniera spietata per Hanna che, ancora perfettamente memore delle conseguenze che seguirono l’ultima volta che assistette personalmente alla creazione di quella velata minaccia, rivive ora nei suoi sogni lo stesso esito (l’incidente stradale) con Caleb a farne le spese e Noel Kahn, questa volta anche al volante e non soltanto nel ruolo già interpretato di autore di quel criptico messaggio. Il problema concreto che quindi deriva dalle paure legate a questo vivido flashback si evidenzia purtroppo nella capacità di riportare anche Hanna indietro nel tempo, a quei giorni in cui per tutte loro era tremendamente facile perdersi nell’intenso fumo che veniva soffiato con violenza nei loro occhi al fine di oscurare la vista e la mente e convincerle di essere finalmente di fronte a una verità distorta e ben lontana dalla realtà. Ancora una volta dunque, così com’era successo in passato con personaggi rivelatisi invece completamente estranei al gioco di A come Toby o Ian, Hanna sembra decisa ad avvolgersi nella certezza che Noel Kahn sia il traguardo delle loro indagini, con una caparbietà tale che le impedisce di raccogliere lucidamente le idee ed esporle alle sue amiche che invece la osservano confuse e giustamente dubbiose della validità di quelle accuse.

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Ma i sospetti di Hanna crescono sempre di più ad ogni minuto che passa e a concederle quella conferma di cui ha disperatamente bisogno torna nella sua vita l’oscura signora Grunwald, la sensitiva che già in passato aveva messo in guardia le liars da un nemico pericolosamente prossimo alla loro cerchia ristretta. Già, dicci qualcosa che non sappiamo questa volta! Nonostante quindi i miei più che giustificati dubbi sulle capacità sovrannaturali di questa donna, il momento che condivide con Hanna è probabilmente il più vivo e oscuro dell’intero episodio perché, che sia a causa del suo sguardo gelido, della sua ipotetica empatia con le sofferenze vissute e intrappolate tra le mura del Radley Sanitarium, o della sua reazione alla vista di Noel Kahn, la signora Grunwald sa bene come rubare la scena e lasciare un’impronta indelebile della sua visita, travolgendoti con un senso di angoscia che getta un’ombra concreta sull’intera storia e che persiste anche dopo il suo passaggio. La sensazione di profondo turbamento che la Grunwald vive dunque alla presenza di Noel, unita al trauma del rapimento non ancora archiviato, spinge Hanna in una spirale di autoconvincimento potenzialmente distruttiva, portandola a commettere quello che potrebbe rivelarsi un errore di proporzioni epiche: isolarsi dal resto del gruppo e inseguire una sua personale giustizia, lasciandoci con la sola speranza che il nuovo cellulare fornitole da Caleb, sempre più vicino a lei emotivamente, ma concretamente inutile per la storia a livelli storici, possieda un sistema di ritrovamento accessibile esclusivamente a lui.

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Più metaforici e a mio parere anche più profondi e affascinanti sono invece i fantasmi che tornano a chiedere il conto delle sue azioni ad Alison DiLaurentis. In una costante battaglia per mantenere quell’equilibrio precario che ricostruisce con pazienza e sacrificio ogni volta che il karma le lancia una palla curva, Alison si rialza nuovamente, indossa la sua personalità più stabile, professionale e anche velatamente ottimista, e sceglie di continuare a guardare al suo futuro in quel posto che paradossalmente è ancora custode di tutti i “mostri” creati nel suo passato. Mentre cammina a testa alta per i corridoi di quella scuola di cui è stata regina o forse tiranno indiscusso negli anni della sua adolescenza, ben lontana (almeno per il momento) dalla persona che era, Alison cerca di riprendere in mano una parvenza di normalità, ma ogni sguardo curioso, ogni scherzo crudele dei suoi studenti, ogni parola della sua lezione diventano per lei un costante monito di ciò che è stata, di quello che vissuto ma soprattutto dell’impressione di lei che ha lasciato proprio tra le mura di quel posto dove scrollarsi di dosso le etichette è quotidianamente impossibile. È questo probabilmente l’aspetto che più mi affascina di Alison DiLaurentis, al di là dei pareri e dei gusti personali, si tratta ad ogni modo di un personaggio dallo spessore innegabile ma soprattutto, se guardato in prospettiva, diventa incredibilmente evidente la sua evoluzione e al tempo stesso la precarietà del suo equilibrio psicologico ed emotivo, come se vivesse costantemente in bilico tra ciò che è stata e che da un momento all’altro potrebbe tornare ad essere perché si tratta comunque di una parte importante di sé, e ciò che invece ha dimostrato di poter essere, quella giovane donna matura e consapevole delle conseguenze delle sue azioni che però si ritrova spesso a dover pagare il prezzo di questa ritrovata umanità.

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Con la sua stabilità messa continuamente in dubbio da chiunque la circondi in quell’impiego che doveva rappresentare la sua ancora di salvezza, Alison decide di sfruttare al meglio il suo posto di lavoro cercando maggiori informazioni su Noel, ma ritrovandosi ancora una volta un passo indietro a quel nemico che tutte loro vedono ovunque ma non riescono mai ad afferrare. E lontana da quella famiglia disfunzionale per cui cerca comunque di lottare, Alison trova un leale sostegno nell’unica persona che ha sempre visto in lei la sua parte migliore, Emily Fields.

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Anche Emily abbraccia un timido tentativo di guardare al futuro ed è anche la prima tra le ragazze a prendere in seria considerazione l’ipotesi di smettere di fuggire e restare a Rosewood, provando a fare pace con quella città che in un modo o nell’altro le attira tutte sempre a sé. Accettando quindi la possibilità di convivere pacificamente con quel luogo che ha visto i suoi giorni migliori e peggiori, anche Emily intraprende la strada scolastica, puntando al ruolo di allenatore della squadra di nuoto, un mondo in cui ha dimostrato una passione che purtroppo non ho più rivisto in nessun’altra delle sue occupazioni. Ma tornando alle origini della sua storia, è inevitabile anche per lei incontrare volti importanti appartenenti al suo passato e questa volta si tratta per Emily di un ritorno a cinque stelle: Paige McCullers. Meno entusiasmante per la serie (almeno a mio parere) di quanto lo sia per Emily, il ritorno di Paige rispecchia pienamente lo spirito del personaggio, ordinario e sottotono, impossibile da amare totalmente, impossibile da odiare per davvero. Di nuovo, Paige non apporta fondamentalmente nulla alla storia: in un ennesimo esempio di ricongiungimento con gli esordi, ancora una volta lei ed Emily si ritroveranno a gareggiare per un posto nella squadra di nuoto, dopo un recente passato che ha visto la fine della loro rinata relazione in seguito alla scomparsa di Wayne Fields, e un incidente che ha messo un freno alle ambizioni di gloria di Paige.

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L’unico aspetto degno di nota secondo me è quel lato oscuro di sé che Paige riesce solitamente a tenere sotto controllo ma che sfugge alla sua razionalità soprattutto in prossimità di Emily, verso cui prova evidentemente ancora sentimenti importanti che potrebbero alimentare quella zona d’ombra creata probabilmente da Alison ai tempi del liceo. Non dimentichiamo che, con Mona e Lucas, Paige è sempre stata considerata una delle persone più influenzate dal regime di terrore della giovane DiLaurentis.

 

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Perfettamente divisa invece tra vita privata e storyline generale è Aria Montgomery, anche lei purtroppo alle prese con un passato che ritorna ma che questa volta non è il suo. Il fantasma che Aria deve affrontare in questo contesto assume per lei connotati sempre più letterali e tradizionali, trattandosi infatti di Nicole, ex compagna di Ezra creduta scomparsa dopo una missione umanitaria in cui era coinvolta. Di fronte alla concreta possibilità di un suo sconvolgente ritorno a casa, Aria vede quella bugia raccontata a fin di bene ritorcersi contro violentemente, causando un inevitabile distacco da Ezra, evidentemente confuso e in balia di dubbi e paure che credeva di aver definitivamente superato proprio grazie all’amore e al supporto incondizionato di Aria. Nonostante l’affettuoso sostegno di Emily che cerca di rimediare al consiglio incriminante che dispensò ad Aria nel momento della misteriosa telefonata, la relazione tra Aria & Ezra subisce un brusco ritorno alla realtà dopo circa otto episodi di perfetta linearità, separandosi ancora una volta e lasciando Aria nuovamente sola a chiedersi se non sia stato soltanto un bellissimo sogno.

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E per quanto la storia di base non abbia compiuto grandi passi in avanti, è stato comunque bellissimo poter contrastare la fine dell’idillio Ezria con una missione in puro stile Sparia!

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Ciò che ho sempre amato del team Sparia è l’ottimizzazione dei tempi. Quando Spencer & Aria sono insieme, semplicemente agiscono, d’impulso, senza troppe domande, senza riserve, trovano una pista, salgono in macchina e la seguono, determinate a non tornare indietro senza almeno la parvenza di una risposta. Questo perché, per quanto siano diverse, Spencer e Aria sono sempre apparse ai miei occhi incredibilmente complementari, trovandosi perfettamente sulla stessa lunghezza d’onda nella ricerca della soluzione ai loro enigmi e compensando invece con le rispettive forze le altrui debolezze, essendo l’una per l’altra la persona giusta al momento giusto. L’assurda visita all’ormai radiato dott. Cochran, medico che si occupò del parto dei due figli di Mary Drake ai tempi della sua permanenza al Radley Sanitarium, non porta nuove informazioni alla storia che tutte loro già conoscono, ma pone l’accento su una questione che sembra tornare sempre protagonista in questa stagione: la famiglia. E proprio in questo contesto un bivio importante si apre tra le teorie più gettonate degli ultimi tempi.

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Per quanto ne sappiamo infatti, nonostante A.D. si sia mostrato ben disposto ad abbattere limiti e ostacoli per nascondere la sua identità almeno fino al compimento della sua vendetta, non possiamo avere la certezza che il secondo nato di Mary Drake e Uber A siano effettivamente la stessa persona. E se accettiamo la possibilità che si tratti di due identità differenti, la prima teoria che ci toglie il sonno la notte è quella su cui tutti noi abbiamo puntato quasi istintivamente prima ancora di avere così tanti dettagli a sostegno di questa tesi che rischia di rivoluzionare la storia di una delle colonne portanti di Pretty Little Liars.

 

Fin dall’inizio di questa stagione abbiamo spesso teorizzato una connessione tra Spencer Hastings e Mary Drake a causa di quelle somiglianze che tante volte vanno anche oltre l’aspetto esteriore delle due donne, giustificandosi invece in una particolare chimica e sintonia di caratteri che non possono passare inosservate, non quando ti colpiscono in maniera quasi subliminale, tra le parole dette e quelle taciute. Ma nonostante questo rapporto mi affascini e mi incuriosisca fin dalla loro prima scena insieme, da quel confronto improvviso e coraggiosamente schietto che hanno vissuto nella première, non ho mai davvero creduto alla possibilità di un legame biologico tra Spencer e Mary, almeno fino a questo momento. Le chance che ci abbiano mostrato esattamente ciò che volevamo vedere per poi capovolgere la situazione nella verità finale sono tante, non lo nego, ma quello che posso dirvi è che finora non avevo mai avvertito così prepotentemente la sensazione che Spencer possa effettivamente essere la seconda bambina strappata a Mary Drake e affidata ai servizi sociali prima di essere ufficialmente adottata da Peter e Veronica Hastings. L’aspetto che più mi colpisce e quasi mi turba di questa ipotesi così scioccante è lo standard che fin dal pilot il cognome Hastings ha imposto, io per prima ho sempre riconosciuto negli Hastings e nei DiLaurentis una sorta di marchio di fabbrica, non una semplice appartenenza alla famiglia ma un determinato modo di essere e di vivere che li definiva tutti quanti e li spingeva a conquistare ogni obiettivo con la determinazione di un condottiero in guerra che non fa prigionieri. È onestamente paralizzante dunque immaginare ora uno scenario in cui proprio lei, che ha sempre sentito di dover lottare il doppio per eguagliare quello standard e che ha forgiato il suo carattere sotto il peso di quelle “battaglie” quotidiane, potrebbe ritrovarsi ora a dover affrontare una realtà che metterebbe in dubbio la sua intera esistenza. E per quanto voglia sperare davvero in un depistaggio, se così fosse, credo che gli scrittori abbiano superato se stessi nella cura dei dettagli perché non solo è proprio Spencer a permettere alle parole pronunciate dal dott. Cochrane sulla profondità dei legami familiari di entrare sotto la pelle, sentendo così il bisogno di riprendere un vecchio album di foto per riconoscersi nella sua di famiglia, quando anche la scelta dell’outfit per quella scena sembra voler creare un collegamento diretto con il pilot, con quel maglioncino da perfetta studentessa benestante che Spencer era solita indossare quando l’abbiamo conosciuta per la prima volta nella sua arena quotidiana: la sua casa. Che siano o meno disposti a rivoluzionare una delle certezze storiche di questa serie, ciò che è certo è che in Pretty Little Liars sanno ancora perfettamente quali corde toccare per mettere in moto un interminabile giro di teorie e ipotesi che soltanto loro possono arrestare nel momento che riterranno più opportuno.

 

A soli due episodi dalla conclusione di questa 7A, Pretty Little Liars non sembra volerci concedere tanto presto le risposte necessarie per colmare i dubbi sorti in questo frangente, spingendo ancora una volta al limite la nostra immaginazione e forse anche la nostra pazienza!

 

Sempre pronta a tutta, Uber Walkerit-A

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Occasionale inquilina del TARDIS e abitante in pianta stabile di un Diner americano che viaggia nel tempo e nello spazio, oscilla con regolarità tra Stati Uniti e Gran Bretagna, eternamente leale alla sua regina Victoria e parte integrante della comunità di Chicago, tra vigili del fuoco (#51), squadre speciali di polizia e staff ospedalieri. Difensore degli eroi nell’ombra e dei personaggi incompresi e detestati dalla maggioranza, appassionata di ship destinate ad affondare e comandante di un esercito di Brotp da proteggere a costo della vita, è pronta a guidare la Resistenza contro i totalitarismi in questo universo e in quelli paralleli (anche se innamorata del nemico …), tra un volo a National City e una missione sullo Zephyr One. Accumulatrice seriale di episodi arretrati, cacciatrice di pilot e archeologa del Whedonverse, scrive sempre e con passione ma meglio quando l’ispirazione colpisce davvero (seppure la sua Musa somigli troppo a Jessica Jones quindi non è facile trovarla di buon umore). Pusher ufficiale di serie tv, stalker innocua all’occorrenza, se la cercate, la trovate quasi certamente al Molly’s mentre cerca di convertire la gente al Colemanismo.

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