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Pilot Addicted – The Gilded Age

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Pilot Addicted – The Gilded Age

Dopo mesi di trepidante attesa finalmente “The Gilded Age” è arrivato.

Noi fan Julian Fellowes ci sentiamo sempre un po’ orfani dalla conclusione di “Downton Abbey”: la serie tv ormai è terminata da quasi sette anni e il secondo film non arriverà mai abbastanza in fretta.

(A proposito, le nuove date parlano del 29 aprile in UK e 20 maggio negli Stati Uniti).

Nel frattempo, il buon Fellowes ha lavorato al libro e alla trasposizione di “Belgravia” (qui e qui le nostre recensioni della serie tv), ha realizzato la bellissima “The English Game” e ci ha promesso un nuovo dramma questa volta ambientato negli USA. La serie, che avrebbe dovuto avere spazio sulla NBC nel 2018, è stata venduta a HBO Max nel 2019 e solo ora ha finalmente visto la luce del teleschermo.

Le premesse di “The Gilded Age” sono proprio nel suo titolo. La Gilded Age è quella fase della storia statunitense che copre gli ultimi venti anni dell’Ottocento: dalla presidenza di Grant all’inizio del nuovo secolo. Accantonate le fratture causate dalla Guerra di Secessione, gli USA si preparano all’arrivo del ‘900 con una società in ebollizione: molti sono i nuovi attori e poca l’intenzione dei vecchi detentori del potere di condividerlo.

Sono anni di trasformazione durante i quali si affacceranno sulla scena i nuovi ricchi, prevalentemente provenienti dal settore ferroviario e industriale, e i recentemente affrancati afroamericani che, per lo meno durante la presidenza Grant, potranno godere delle conseguenze della fine della schiavitù pur scontrandosi con le prime difficoltà derivanti dalla loro integrazione nella società americana bianca.

Tutti questi attori sulla scena statunitense sono, per ora, brillantemente presentati nella nuova serie di Fellowes: abbiamo la giovane donna nata nella nuova società del Sud figlia della Guerra Civile, la vecchia aristocrazia legata al suo potere (anche quando il denaro scarseggia), i nuovi ricchi convinti di potersi integrare esibendo sfarzo e sicurezza di sé e il mondo afroamericano, pronto a farsi largo nelle nuove professioni a loro rese disponibili, forte dei diritti acquisiti sotto la presidenza Grant.

Nel cast ci sono alcuni nomi noti ma anche altri, per ora, poco conosciuti o conosciuti a pochi. Tra gli altri citiamo: Christine Baranski (“The Big Bang Theory”, “The Good Wife”, “The Good Fight”, “Mamma Mia”) e Cynthia Nixon (“Sex&The City”, “Mondo senza fine”, “And Just Like That”) sono le zie di NY, Taissa Farmiga (“American Horror Story”) è la giovane figlia dei Russell mentre suo fratello è interpretato da Harry Richardson (“Poldark”); Blake Ritson (che noi janeites conosciamo bene per aver interpretato Edmund Bertram in “Mansfield Park” e Mr Elton in “Emma”) è pronto a dimenticare l’accento inglese per vestire i panni del dandy con qualcosa da nascondere nonché figlio di Agnes van Rhijn (Baranski).

Prima di addentrarmi nei dettagli spoilerosi, come sempre, una recensione SPOILER FREE.

Il pilot di “The Gilded Age” convince e intrattiene. Manca un po’ di brio, a voler essere proprio precisi, e sicuramente ci sono troppe cose interessanti che sono state anticipate e che aspettano di essere sviluppate nel corso di questi primi episodi. Tuttavia lo promuovo pienamente: i personaggi incuriosiscono e, anche se in alcuni di loro è evidente l’inesperienza degli interpreti, convincono e fanno venire voglia di saperne di più. Le premesse per una serie tv convincente e affascinante come fu “Downton Abbey” (anche se è troppo presto e azzardato fare paragoni) ci sono tutte e i contrasti fra i diversi mondi promettono intrighi, scandali, romance e divertimento in quantità.

A completare l’opera ci sono dei costumi meravigliosi e una colonna sonora curata dai fratelli Gregson-Williams, che nel loro carnet (separatamente, chiaro) annoverano: “The Crown”, “Catherine the Great”, “Wonder Woman”, “Hotel Rwanda”, “La battaglia di Hacksaw Ridge”, “The Legend of Tarzan”, “Le cronache di Narnia”, “Le Crociate-Kingdom of Heaven”, “Domino”, “X-Men le origini”, “Catch-22”.

Inizia ora la parte PIENA DI SPOILER nella quale scenderò nei dettagli di questo pilot. Per cui, se non volete sapere altro, fermatevi qui. 

 

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– Sono molte le storie da poter raccontare e tante le occasioni per farlo;

– I costumi sono stupendi;

– La cura per le scenografie: quasi decadente la casa di Agnes e Ada, sfarzosa e specchio di grandeur quella dei Russell.

– La colonna sonora

– Poco brio, per ora. Per quanto interessante, la puntata è scorsa in maniera un po’ fiacca: più una cronaca che un racconto. Tra Larry e Marian – destinati probabilmente a farci battere i cuoricini tifando per loro – c’è poca chimica: lei ne aveva di più con il notaio di inizio puntata.

 

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– Il terribile contrasto fra i preparativi di Mrs Russel per la prima serata nella nuova casa e la reale partecipazione: la carrellata sulla tavola imbandita è stata senza pietà.

– Mrs Bertha Russell: Carri Coon, la sua interprete, riesce perfettamente, dalla prima scena, trasmettere la forza del personaggio. Dura, ostinata, implacabile, sicura di sé, Bertha non fa sconti a nessuno, se stessa compresa. Fin dall’inizio lo spettatore è diviso tra l’ammirarla e temerne la violenza (figurata, s’intende) distruttiva.

– Il contrasto fra Agnes e Ada, esaltato dalla bravura delle interpreti. Christine Baranski e Cynthia Nixon vestono i panni di due donne molto diverse l’una dall’altra ma allo stesso tempo innegabilmente sorelle. Laddove il personaggio di Agnes non è molto distante per alcuni aspetti da personaggi che Baranski ha interpretato in passato, Nixon si ritrova nei panni di una donna estremamente diversa da qualunque altro ruolo nel quale io l’abbia vista e, dopo un iniziale effetto straniante, convince e conquista.

 

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Aspettavo “The Gilded Age” da quando se n’è parlato la prima volta. Dopo aver brillantemente raccontato il tramonto della vecchia nobiltà inglese, ero estremamente curiosa di scoprire come Julian Fellowes avrebbe rappresentato le trasformazioni della società statunitense di fine XIX secolo.

Come ho scritto altrove nella recensione, le premesse ci sono tutte e sono ottime.

Marian Brook – interpretata dall’esordiente Louisa Jacobson – è perfetta per introdurci in questo mondo in trasformazione del quale New York è stata la fucina. Lo sguardo genuino, ma non per questo ingenuo, della giovane donna si trova fin da subito davanti alla durezza del nuovo mondo all’esterno della casa paterna. L’incontro con un’altra giovane donna pronta ad avventurarsi a NY, Peggy Scott (Denée Benton), raddoppierà immediatamente il numero di vicende da raccontare preparando il terreno per una storyline dedicata al mondo afroamericano.

L’impatto con la nuova città è visivamente presentato in maniera esaustiva dall’arrivo della famiglia Russell nella loro nuova, favolosa, casa nel centro della vita più chic della Grande Mela. Gli sguardi celati dietro le imposte dei vicini, il contrasto fra il bianco luminoso della casa dei Russell e il grigio smorto delle case intorno, i paragoni fra le persone a servizio dei Russell e quelle che lavorano presso gli altri: tutto concorre a presentarci fin da subito una situazione di sfida fra due realtà diverse.

Sfida che comprende anche quella fra nuove e vecchie generazioni: i membri più giovani del cast sono chiamati a presentare la difficile situazione di figli impegnati a fare da bandiera per valori nei quali non credono e risulta chiaro fin da subito che saranno loro a condurre lungo la strada del cambiamento.

Molte le scene chiave che in questo pilot hanno preannunciato la partita a scacchi che si svolgerà lungo il resto della stagione:

– il contrasto fra l’atmosfera rilassata del weekend sulla costa di Larry Russell e Oscar van Rhijn e il loro ritorno in città al quale fa eco anche la scena finale in cui la madre di Astrid brucia l’invito alla serata dei Russell davanti alla figlia sbigottita;

– la serata di benvenuto dei Russell: già citata come scena migliore della prima puntata;

– le difficili cene intorno alla tavola nelle stanze downstairs designate alle persone di servizio di Agnes e Ada: per tutti coloro che dicono che il razzismo nel Nord non ci fosse e che i razzisti fossero solo quelli del Sud, ecco.

Nel complesso, le potenzialità per una buona serie tv ci sono tutte e la capacità di Fellowes resta innegabile, unico difetto che ho trovato a questo a pilot è la citata mancanza di ritmo e di chimica fra alcuni degli interpreti. Tutto è sembrato giustapposto per dare un quadro iniziale della situazione ma ci si è poco preoccupati del sentimento alla base della storia che sarà poi quello che spingerà gli spettatori ad aspettare le puntate di settimana in settimana.

Non ci resta che attendere i prossimi episodi per scoprirlo.

Io vi do appuntamento alla fine della quarta puntata con una recensione della prima metà di stagione.

80/100

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