
Ho sempre creduto che ci fossero due episodi fondamentali che una serie tv non dovrebbe mai “sbagliare”, i due episodi che rappresentano a mio parere l’essenza di una serie stessa: il pilot e il centesimo episodio, qualora si abbia la fortuna di arrivarci. Considero infatti le serie tv come una sorta di maratona, un percorso di cui inizialmente non si scorge neanche il traguardo, una scommessa con se stessi, una sfida da intraprendere senza puntare obbligatoriamente alla vittoria, senza partire con uno sprint che consumerà inevitabilmente tutte le energie prima di metà gara, ma con moderazione, con il giusto ritmo che permetta ad ogni “corridore” di non perdersi lungo il percorso e di rimanere fedele a chi è sempre stato. Ecco perché il centesimo episodio è così importante per una serie, perché è il momento della verità, è il momento in cui ci si guarda indietro e si nota tutta la strada che è stata già percorsa, tutti i cambiamenti e le evoluzioni che hanno condotto a questo primo, fondamentale traguardo, tutti coloro che si sono aggiunti e poi sono andati via, tutti coloro che invece hanno permesso a ciò che era una fioca scommessa di diventare un’ardente conferma. “Marvel’s Agents of S.H.I.E.L.D.” ha vinto la sfida con se stesso in entrambi i casi ma soprattutto ha letteralmente affrontato e vissuto il suo centesimo episodio con lineare e ordinata dignità, con un’impeccabile lealtà che lo rende ancora lo stesso show luminoso ed eroico che era cinque anni fa, con una purezza di intenti e una dedizione alla storia che si voleva raccontare fin dal principio che hanno reso straordinariamente semplice riconoscere nel volto di una serie che si è evoluta costantemente lo stesso spirito elettrizzante, ottimista e umano con cui tutto ha avuto inizio nel pilot.
“I’m choosing to stand up, to become a part of something bigger, I really do believe that together we can accomplish anything, because the truth is I’m not just an history teacher, my name is Phil Coulson and I’m an Agent of S.H.I.E.L.D.”
Mi ha colpito notare come, al di là dell’evidente debito di gratitudine nei confronti dei fans che Maurissa Tancharoen e Jed Whedon intendevano ripagare per la lealtà dimostrata alla serie, questo episodio fosse in un certo senso specchio del suo progenitore, se così possiamo chiamarlo, ossia il personaggio da cui tutto ha avuto inizio e che a sua volta sembra quasi incarnare anche il percorso della serie stessa. Quando Coulson afferma di avere vissuto la sua seconda possibilità, di aver cambiato la vita di qualcuno e di essere quindi pronto, se il suo tempo è giunto, a lasciar andare la presa, è quasi evidente per me rivedere nelle sue parole il destino della serie, uno show dal destino incerto ma che proprio in questo episodio si guarda indietro e non ha rimpianti.
Phil Coulson, nonostante sia cresciuto con gli insegnamenti lasciati in eredità da Captain America, in realtà mi ricorda tante volte Peggy Carter in quanto credo che in lui e solo in lui sopravviva il significato più autentico dello S.H.I.E.L.D., la missione originale con cui questa agenzia è nata in primo luogo, la pura dedizione nei confronti di un simbolo che ai loro occhi si carica di un valore umano che va oltre il tempo e lo spazio e diventa eterno, immortale. Una parte di Coulson non teme la morte perché proprio come Peggy, Coulson è diventato un ideale, ha fatto propri e poi ha diffuso quanto più poteva tutti i valori e gli obiettivi con cui lo S.H.I.E.L.D. era nato, è diventato l’emblema di uno scopo che in lui è rimasto puro anche quando tutto intorno a sé si rivelava una bugia, anche dopo aver subito il peggiore dei tradimenti, ha onorato quella che ho sempre definito una “vocazione” quasi nell’accezione religiosa del termine perché la sua fede in ciò che lo S.H.I.E.L.D. doveva significare non è mai vacillata, né quando tra la neve rifiutava di arrendersi all’idea di essere “Agents of nothing” né adesso che è costretto ad affrontare le sue peggiori paure e la reale possibilità di essere ormai giunto alla fine della sua corsa.
Questo episodio però non soltanto ci ha raccontato l’agente Coulson come un ideale che sopravvivrà anche oltre il suo tempo, ma ci ha anche mostrato l’uomo Phil Coulson e la sua perfettamente imperfetta umanità, e attraverso lui ci ha raccontato anche tutti coloro che sono stati “illuminati” dalla sua vocazione e hanno scelto di abbracciarla con la stessa dedizione, diventando parte di quel “qualcosa di più grande” in cui Coulson crede ciecamente.
Per quanto siano relativamente gli ultimi arrivati, anche Mack & Elena mostrano i “segni” dell’influenza che Coulson ha avuto sulle loro vite. Se già la natura di Elena Rodriguez è da sempre quella di una guerriera che non ha mai smesso di lottare e che ancora oggi non intende abbandonare la battaglia nonostante le sia già costata sacrifici inimmaginabili, ciò che Coulson le ha trasmesso [e lo si vede chiaramente nella webseries a lei dedicata “Slingshot”] è il senso di appartenenza non solo a un obiettivo più grande ma anche a un gruppo in cui sentirsi accettata senza riserve; e Mack, proprio lui che inizialmente credeva così poco in Coulson da associarsi a una diversa divisione dello S.H.I.E.L.D. facente capo a Gonzalez, adesso è l’uomo che più ha ereditato la sua fermezza da Direttore, la sua mentalità strategica ma soprattutto Coulson è riuscito a sfumare il mondo in bianco e nero in cui Mack viveva, e gli Inumani che una volta considerava nemici adesso sono anche le due persone più importanti della sua vita;
A volte sembra quasi ridimensionata l’importanza che Coulson ha avuto anche nella vita di Jemma Simmons e Leo Fitz, all’epoca due agenti da poco diplomati all’accademia che sembrava quasi una follia portare in squadra non essendo idonei alle missioni sul campo, ma Coulson ha creduto in loro fin dal principio e da quel momento non ha mai smesso. Il modo in cui è sempre riuscito a parlare ad entrambi, a instillare in loro fiducia e sicurezza, ha rappresentato la base su cui entrambi sono diventati adulti e non credo potesse esserci una persona migliore per accompagnarli nell’ultima avventura che hanno scelto di affrontare, la prima di tante che ci saranno nella loro vita insieme;
Melinda May è letteralmente rinata al fianco di Coulson; il loro rapporto va spesso anche oltre i “confini” di una possibile relazione sentimentale poiché insieme hanno avuto lo straordinario coraggio di mettere a nudo i loro lati più bui, quelli che a volte ancora li inseguono come demoni mai davvero seminati, ma che riescono a mettere a tacere proprio portando nuova luce l’uno nella vita dell’altra;
E infine c’è ancora e sempre Daisy Johnson, lei che ha cominciato a vivere per davvero solo quando Phil Coulson l’ha trovata, lei che vede in Coulson tutto ciò in cui crede, tutto ciò che spera di diventare ma che non è ancora pronta ad abbracciare, non se questo significa fare a meno di lui, lei che di fronte alla possibilità di perderlo, ritorna ancora una volta la stessa Skye che lo salvava dagli esperimenti di Raina e lo supplicava di tornare da lei;
Tutti loro, tutte quelle persone per cui Phil Coulson ha fatto la differenza, diventano paradossalmente, insieme a quell’ideale e quella vocazione che lo caratterizzano da sempre, la sua paura più profonda, quella che si ritrova ad affrontare quando la distruzione dei tre monoliti apre una frattura spazio-temporale nel “lighthouse” [do-wee-oooo]. Il topos della paura non è nuovo nella serialità televisiva e ogni volta rappresenta una delle storyline che più mi affascinano in uno show proprio per tutte le diverse sfumature che questa tematica assume ma la paura di Phil Coulson è una delle più reali che abbia mai visto rappresentata in un episodio perché la sua paura peggiore è quella di non essere Phil Coulson, di non aver avuto per davvero la sua seconda possibilità, di non essere diventato quell’ideale che sapeva di poter essere, di non aver fatto la differenza nella vita di quelle persone che hanno cambiato la sua.
E quasi come in una meravigliosa conferma di tutto ciò che Coulson è stato ed è come uomo e come leader, la sua paura viene annientata grazie all’arrivo provvidenziale della prima persona che il SUO S.H.I.E.L.D. ha salvato, Mike Peterson, colui che ha conosciuto questo team prima di chiunque altro e che adesso ritrova ancora insieme ed è ancora l’ultima frontiera per la difesa di un’umanità che ai loro occhi non conosce differenze.
La scena in cui Deke riesce a rintracciare e a riportare al Faro ciò che resta dello S.H.I.E.L.D. a bordo del quinjet è impregnata di tutte queste parole, è esattamente l’eredità che Phil Coulson ha formato in questi anni, ed è allo stesso modo ciò che lo S.H.I.E.L.D. raffigurato in questa serie voleva significare fin dal pilot e soprattutto dopo gli eventi di “Captain America: Winter Soldier”, vale a dire un simbolo di stoica lealtà, un baluardo che resiste e continua a credere e a sperare anche quando tutti gli altri hanno rinunciato.
In dirittura d’arrivo, vi lascio come sempre la mia TOP 3 di momenti preferiti in un episodio che in realtà ho trovato onestamente perfetto dall’inizio alla fine:
- L’arrivo del quinjet sopracitato, un momento in grado di ricongiungersi con l’essenza originaria di questa serie e di quella stessa entusiasmante sensazione di eroico ottimismo che si respirava nel pilot;
- Il confronto tra Coulson e Daisy, la fragilità che entrambi dimostrano nella paura di perdersi;
- Il matrimonio tra Jemma Simmons e Leo Fitz, quell’accecante bagliore di speranza che la storia riesce ancora a trasmettere anche alla “vigilia” della sua battaglia più oscura;
p.s. se i recenti comportamenti da nerd un po’ imbranato e disadattato non avevano dissolto ormai tutti i dubbi rimanenti, il centesimo episodio ci dona la conferma che in fondo volevamo comunque: DEKE SHAW È UFFICIALMENTE UN FITZSIMMONS!
“Marvel’s Agents of S.H.I.E.L.D.” ha dimostrato di aver sempre creduto a tutte le parole che la serie stessa ha speso nel corso delle stagioni, partendo dalla consapevolezza di possedere solo “l’1% della soluzione” e arrivando oggi a “risolvere il suo puzzle” grazie a tutte quelle componenti che negli anni hanno portato con sé il loro 1%, facendo sì che lo show potesse vincere la sua scommessa e riconoscersi più grande e più bello della somma delle sue parti.
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