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Lupin – La nuova serie Netflix sul ladro gentiluomo. Parte II

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Lupin – La nuova serie Netflix sul ladro gentiluomo. Parte II

Ben trovati alla seconda parte della recensione dedicata al “Lupin” di Netflix.

Dopo aver visto il pilot (qui la recensione) mi sono fiondata sugli episodi successivi, curiosa di vedere se le mie ottimistiche previsioni si sarebbero rivelate esatte.

E non mi sono affatto ricreduta.

La storia di Assane Diop si è concentrata sulla ricerca della verità sull’arresto e la morte di suo padre. Una morte che potrebbe anche non essere stata un suicidio: l’uomo che il piccolo Assane vede in carcere il giorno della morte del padre è Leonard e la giornalista, Fabienne Beriot, è stata trovata impiccata in casa come Babakar, e noi sappiamo che è stato il sicario di Pellegrini a ucciderla.

Ho apprezzato molto come ogni puntata si sia concentrata su un pezzo del puzzle, coinvolgendo lo spettatore stesso nelle indagini e dando la giusta attenzione a tutti i dettagli della storia.

Una storia, tra l’altro, che mi ricorda moltissimo Il Conte di Montecristo. Il falso crimine, la vergogna, i vari colpevoli che hanno concorso ad incastrare la vittima che sono spinti da moventi che vanno dalla volontà di proteggere una persona cara agli interessi economici. Se il prossimo ad incastrare Babakar era in qualche modo geloso, la somiglianza si farà ancora più pregnante. Non so se la cosa sia voluta, i classici della letteratura influenzano la creatività degli scrittori anche in maniera inconsapevole e sicuramente il capolavoro di Dumas è uno dei classici più amati, ma guardando dipanarsi questa prima parte della storia, la mia mente di lettrice ha scorso alcuni tratti in comune.

Lupin – La serie Netflix sul ladro gentiluomo. Parte II

  • La struttura dei singoli episodi che pezzo dopo pezzo hanno portato Assane più vicino alla verità e il pericolo più vicino ad Assane.
  • Il cliffhanger finale: cosa ne verrà fuori? Personalmente non credo sia così scontato. Guedira mi ispira fiducia.
  • I flashback su Assane e Claire (interpretata dalla sempre bella Ludivine Sagnier): si spiega la profondità del legame che li unisce e va oltre il matrimonio fallito.

  • Il carisma di Omar Sy è straripante e quindi i comprimari hanno poco spessore. Il personaggio di Assane è stato giustamente sempre più approfondito ma i suoi amici e nemici hanno pochissimo oltre il loro ruolo all’interno della storia. Un po’ un peccato considerando che i rapporti interpersonali sono proprio ciò che ha impedito ad Assane di perdersi del tutto nella sua vendetta.
  • Alcuni stratagemmi di truffa erano un po’ raffazzonati: ci sarebbe da chiedersi se sia la polizia ad essere tonta. Ma siccome – contrariamente alla prima puntata – non erano le truffe ad essere al centro della storia ma le indagini, la cosa si può perdonare. Ci sono state solo due assurdità che mi ha fatto onestamente mettere le mani nei capelli: una è la prigionia di Dumont nei sotterranei del Municipio. NEI SOTTERRANEI DEL MUNICIPIO DI PARIGI! In una Parigi post attentati la vedo abbastanza dura isolare qualcuno nei sotterranei, interrogarlo per quattro ore da una stanza costruita ad arte e munita di tutto l’equipaggiamento tecnologico (che sarà stato portato lì e montato in qualche modo) senza destare il minimo sospetto. L’altra scelta discutibile riguarda l’ambigua potenza delle cimici della polizia: a quanto pare non funzionano se ci metti su una mano ma riescono a captare una conversazione sottovoce a tre metri di distanza.
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Lupin – La serie Netflix sul ladro gentiluomo. Parte II

  • Fabienne Beriot, giornalista: l’abbiamo avuta solo per una puntata ma mi ha conquistata. La conosciamo come professionista distrutta dalla spietatezza di Pellegrini, sul quale stava indagando, e la lasciamo che ha ritrovato la sua energia e motivazione, pur consapevole che questa volta avrebbe potuto pagarla più cara. L’affetto e il rispetto che sviluppa molto velocemente per Assane, un affetto e rispetto ricambiato, ha contribuito a farmela amare ancora di più e a farmi disperare per la sua morte.

  • La scena finale: «Lupin?». Un bellissimo cliffhanger e tanta speranza per gli ultimi due episodi.

 

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Lupin – La serie Netflix sul ladro gentiluomo. Parte II

Dopo aver divorato le ulteriori puntate – ed essermi ritrovata in attesa spasmodica delle restanti – posso dire di essere soddisfatta.

La regia ha saputo raccontare con il giusto ritmo il viaggio verso la verità di Assane, le situazioni – per quanto assurde – sono state in grado di fare sempre comprendere allo spettatore psicologicamente dove si trovasse il personaggio (e l’interpretazione di Omar Sy ha fatto il resto) e i rapporti interpersonali – pur con dei comprimari che, come scrivevo prima, sono stati poco approfonditi – hanno umanizzato Assane e fatto sì che lo spettatore empatizzasse con lui.

La grande solitudine nella quale il piccolo Diop avrebbe potuto trovarsi – e che avrebbe potuto portarlo sulla strada battuta e ribattuta del giustiziere solitario – è stata vanificata dalla presenza nell’orfanotrofio di quella che si rivelerà la sua seconda famiglia e la sua forza: proprio come dice nel pilot. Benjamin e Claire (e poi il giovane Raoul) sono coloro che lo hanno fatto sentire amato e motivato per tutta la sua giovinezza, Fabienne ha saputo in poco tempo entrargli nel cuore diventando la sua principale alleata. Assane non è mai solo. Persino Juliette e Anna Pellegrini non lo lasciano solo e cercano di aiutarlo (anche se poi Juliette fa quel che fa e non si sa perché).

Lo scopo di “Lupinnon erano sparatorie, inseguimenti, guizzi creativi e geniali per grandi furti e rapine – quindi tutti i paragoni con “La Casa di Carta” non hanno alcun senso. Oltretutto non sarebbe male smettere di considerare “La Casa del Papelun miracolo televisivo: non lo è; lo scopo di “Lupinè costruire la storia di un ragazzino che ha perso tutto nell’arco di pochi giorni e che ha trovato nelle storie di Leblanc un appiglio per non sentirsi perso e sconfitto. Assane non si arrende mai: come Lupin, anche quando perde vince.

Per questo sono convinta che l’arrivo di Guedira possa non essere una cosa negativa. Di Youssef Guedira lo spettatore sa solo tre cose: anche lui è figlio di immigrati, anche lui adora le avventure di Arsenio Lupin, anche lui non si arrende mai, anche quando tutti gli sono contro. Sarebbe bello se si stabilisse un’alleanza, soprattutto visto il cliffhanger finale.

Questo mi consente, poi, di introdurre un altro punto a favore della serie tv: l’introduzione della tematica razziale all’interno della narrazione. Ogni volta che Assane si presenta in un ruolo da ricco magnate o esperto di computer, non viene subito creduto. Nonostante ci fossero le basi per collegare i furti di Paul Sermine alle avventure di Lupin, Guedira viene tacciato di follia. Il giudice ha bisogno della confessione di Babakar perché non può condannarlo senza che sia stata trovata la collana: come dice Assane, se Babakar non fosse stato senegalese, avrebbe avuto una pena minore e sarebbe già stato prosciolto.

Il “Lupin” di Netflix NON È E NON VUOLE ESSERE una trasposizione in chiave moderna delle avventure del ladro gentiluomo. È la storia di un ladro che prende spunto dalle avventure di Lupin per architettare i suoi piani. Un po’ come noi che prendiamo spunto dalle ricette di cucina del web per preparare leccornie per i nostri ospiti. L’ultima volta che ho controllato Benedetta de “La cucina di Benedetta” ed io siamo due persone diverse. E quindi anche Assane Diop e Lupin sono due persone diverse.

80/100

Mi sento di promuovere con entusiasmo questo “Lupin” targato Netflix e attendo con trepidazione la conclusione della storia. Anche perché Pellegrini la deve pagare cara!

A voi è piaciuto? Vi aspetto nei commenti.

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Ha un passato da ladra insieme alle sorelle Occhi di gatto, ha difeso la Terra nel team delle guerriere Sailor e fatto magie con Terry e Maggie. Ha fornito i sigari sottobanco ad Hannibal e il suo A-Team, indagato con gli Angeli di Charlie Townsend, ha riso con la tata Francesca ed è cresciuta con i 6 Friends di NY. Ha imparato ad amare San Francisco difendendo gli innocenti con le Streghe, è stata un pivello insieme a Jd-Turk-Elliott, ha risolto crimini efferati con praticamente il 90% di poliziotti e avvocati del piccolo schermo e amato la provincia americana con Lorelai e Rory Gilmore. Avrebbe voluto che il Fabbricatorte non chiudesse mai e non ha mai smesso di immaginare Chuck e Sarah che «sedano rivoluzioni con una forchetta». Lettrice appassionata, Janeites per fede, amante delle storie sotto ogni forma fin da piccola. Segue serie poliziesche, comedy e sit-com soprattutto, uniche allergie riconosciute sono quelle allo sci-fi e all'horror.

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