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Le migliori serie lanciate nel 2017

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Le migliori serie lanciate nel 2017

Nei giorni scorsi abbiamo parlato d’amore (Le migliori ship del 2017) e d’odio (I migliori antagonisti del 2017), mentre oggi vogliamo proporvi una carrellata delle migliori serie andate in onda per la prima volta proprio lo scorso anno.

Big Little Lies

Potrei dire che Big Little Lies è stata una delle nuove serie migliori che io abbia seguito lo scorso anno. Non direi che la trama sia stata una sorpresa – ormai inventare qualcosa di nuovo è sempre più difficile: c’è una cittadina di provincia che nasconde degli sporchi segreti sotto la patina del perbenismo borghese e c’è un mistero che si snoda attraverso dei flashforward; e fino a qui, appunto, nulla di nuovo. E poi c’è il modo di raccontare, c’è la colonna sonora perfetta in ogni scena, c’è questo rapporto di amore e odio fra le protagoniste femminili, supporto instancabile e guerra silenziosa – e qui invece sta la meraviglia di questa serie, quella componente che ti conquista e ti spinge ad attendere con ansia ogni settimana un nuovo episodio. Ho adorato ogni singolo personaggio: ovviamente le cinque protagoniste femminili, poi i loro figli, un riflesso cristallino delle loro famiglie, e infine le controparti maschili, quasi relegate sullo sfondo di fronte alle grandezza delle loro donne. Questa serie ha trattato temi difficili quali la violenza domestica, l’educazione dei figli e la coesistenza fra l’abnegazione di essere madre e le aspirazioni personali, ma soprattutto ha mostrato, a discapito di ogni diatriba, soprattutto nel finale, la forza e il sostegno che queste donne sono riuscite a darsi. Celeste, Madeline e Jane, ma alla fine anche Renata e Bonnie, hanno fatto fronte comune e si sono difese l’un l’altra, contro i pregiudizi e contro la violenza. Rimango ancora dubbiosa su una seconda stagione, che andrebbe forse a risolvere alcune questioni lasciate in sospeso, ma potrebbe anche rovinare l’estetica di un finale praticamente perfetto.

The Handmaid’s Tale

Forse sono solo io, oppure il mondo si è risvegliato improvvisamente e ha deciso di lasciare la leadership di quest’anno in mano a delle donne con le palle. Dopo Big Little Lies, infatti, l’altra grande scoperta è stata per me The Handmaid’s Tale. Non c’è effettivamente nulla di questa serie che non abbia apprezzato: trama, cast, regia, fotografia, costumi, colonna sonora… tutto ha funzionato alla perfezione. Il punto vincente della distopia è quella di rendere molto più facile il processo di immedesimazione, poiché, a differenza dell’ambientazione fantasy, ciò che vediamo non è poi così distante dalla realtà che viviamo e ci spinge veramente a riflettere su cosa accadrebbe se quelle condizioni si verificassero davvero. Ovviamente l’istinto è quello di tifare per la ribellione, per Offred/June, Moira, Luke e tutti gli altri che si sono rifiutati di piegarsi al potere – anche perché vedendo che cosa sono costretti a subire e soprattutto pronti a rischiare per riottenere la libertà, li rende immediatamente degli eroi – ma ho apprezzato il fatto che sia stata tratteggiata anche la controparte, ed in particolare Serena, una donna forte, indipendente e con una solida cultura alle spalle, che sceglie però di votare se stessa a un’ideologia classista e maschilista. Vivere nella continua ansia di non sapere chi fossero effettivamente i buoni e chi i cattivi, che cosa fosse successo prima dell’instaurazione definitiva del nuovo regime e poi se, giorno per giorno, la protagonista se la sarebbe cavata, paradossalmente è stata una delle cose che ho amato di più: restare incollata allo schermo e poi aspettare la settimana successiva come se fosse Natale. In questo caso mi sento però molto più ottimista in vista di una seconda stagione, visto il finale della prima che ha già messo delle buone carte in tavola. Speriamo allora che la già annunciata season two sia altrettanto straordinaria.

Al

A Series of Unfortunate Events

Un’altra serie che si è fatta conoscere e apprezzare lo scorso anno, e che ha ora in serbo per noi una seconda stagione (in partenza il 30 marzo, come già annunciato da Netflix con un promo di un paio di giorni fa) è stata quella tratta dalla serie di libri di Daniel Handler (meglio noto come Lemony Snicket), A Series of Unfortunate Events. Mi è piaciuta moltissimo a livello visivo, con i costumi un po’ retrò e le ambientazioni, la fotografia e le scenografie che ricordano un po’ Tim Burton, con una punta di humour nero che mi fa ripensare al Bryan Fuller di Dead Like Me e Pushing Daisies. A caratterizzare la serie è senz’altro il pessimismo che pervade anche i libri a cui si ispira, anche se personaggi e situazioni bizzarri smorzano senz’altro quel senso di amarezza, primo fra tutti un “cattivo” così sopra le righe che non si potrebbe prendere sul serio neanche da lontano, interpretato da un Neil Patrick Harris che ho trovato geniale nel ruolo, grazie alla sua espressività e versatilità. Mi sono piaciuti molto anche gli interpreti dei tre piccoli Baudelaire, nonostante ormai sia risaputa la mia titubanza di fronte a QUALUNQUE casting di attori sotto una certa fascia d’età.
Le trame degli 8 episodi della prima stagione, divisi in quattro filoni che raccontano le vicende dei primi quattro volumi, sono stati criticati da alcuni per la ripetitività e da quella che diverse persone hanno additato come “banalità un po’ infantile”… ma ricordiamo che si tratta di una serie tratta da un ciclo di libri per ragazzi, è senz’altro intrattenimento più leggero e l’ho apprezzato proprio per questo essere divertente e poco impegnativo, che a volte ci vuole.
Voto 10 poi alla sigla cantata proprio dal protagonista, che ho adorato!

Ale

Midnight, Texas

Chiariamoci subito, questa serie ce la siam forse cagxxi in tre, io, l’autore e il gatto del vicino.
Mi sento però di spezzare una lancia in favore di un prodotto forse non qualitativamente eccelso (se ripenso agli effetti speciali della tigre mannara ancora mi vengono i brividi e non per il terrore), ma che ha quel certo non so che in grado di renderlo estremamente piacevole.
Se dovessi analizzarlo più nello specifico e mettere nero su bianco gli elementi che hanno contribuito a renderlo la nuova serie che più mi ha entusiasmato nel 2017 credo che i punti principali sarebbero i seguenti:

  1. Il protagonista ha una faccia simpatica, il che sembra un elemento di importanza trascurabile, ma vi garantisco che per me non lo è. Per fare un esempio, non riesco a vedere Supergirl perché ormai associo indissolubilmente il viso della Benoist a Marley di Glee e non ce la posso proprio fare, ogni volta che la vedo mi fa salire l’astio (scusa, Melissa, lo so che non è colpa tua).
  2. La storia è originale e gradevole e anche se magari non vincerà mai un Emmy per la qualità eccelsa della scrittura riesce a intrattenere in maniera più che onesta, senza mai risultare noiosa o pesante.
  3. Tutti i personaggi acquisiscono nel corso degli episodi una loro profondità e lo spettatore finisce per affezionarsi anche a quelli che all’inizio sembravano semplici comprimari.
  4. La ship fra Lemuel e Olivia, portatrice sana di vagonate di feels.
  5. C’è un gatto parlante.

Al momento non si sa ancora se la NBC ci farà la grazia di rinnovare la serie: nel dubbio, io continuo a sperare contro ogni previsione che questo accada, in modo da poter assistere agli eventi degli altri romanzi.

– MooNRiSinG

Absentia

D’accordo, come fan (e mi sto tenendo sobria, lo sapete) di Stana Katic l’avrei guardata con profonda devozione anche leggere l’elenco telefonico di una qualsiasi città moldava, se ancora ne hanno. Ma se questo è il motivo per cui ho iniziato a seguire Absentia, non è, nel modo più assoluto, l’unico ad avermi tenuto legata, per l’intera prima stagione (è già in programma la seconda) a un mistero che continuava a infittirsi, in cui nessuno è riuscito a sfuggire al sospetto di essere colpevole, e a cliffhanger che ci lasciavano ogni volta con la necessità fisica, prima ancora che intellettuale, di capire finalmente CHI fosse il colpevole.

Absentia è un thriller psicologico, una storia interamente incentrata sulla protagonista, Emily Byrne, che è, in sostanza, solo”un’eroina per caso”. Ed è proprio qui che risiede la sua grandezza. Emily è infatti una donna “normale”, appagata da una vita adulta che la vede finalmente superare le turbolenze dell’infanzia, ma che brutalmente si trova ad affrontare l’indicibile, e molto di più, per sei lunghissimi anni. E una volta che l’ha affrontato, che è sopravvissuta, la sorte si accanisce di nuovo crudelmente contro di lei, che deve scendere nei meandri di se stessa per trovare non solo la forza per superare traumi che basterebbero a distruggere intere civiltà, ma per salvarsi, di nuovo. Salvarsi dal pericolo, che torna reale o forse non hai mai smesso di esserlo, dalle accuse, dai sospetti, dalla sfiducia di chi dovrebbe conoscerla e amarla. O, almeno, averla amata. Ma, soprattutto, la cosa in assoluto più difficile da combattere, da arginare, è l’estrema solitudine in cui è costretta a vivere e a muoversi per riabilitare il suo nome, portare giustizia e uscire dall’incubo. Emily non è “una donna forte”. Emily è una forza della natura che riesce a trovare ogni volta dentro di sé, in quella parte di noi fatta di oscurità, istinto di sopravvivenza ed energia primordiale, quel vigore, quella fermezza, quella spinta insopprimibile ad andare avanti. Rimanendo sempre quella donna vulnerabile, amorevole, sensibile e gentile che è, dentro di sé. Absentia è un thriller dalle sfumature nordiche, quasi claustrofobiche, che ci fa correre accanto alla protagonista nel medesimo labirinto persecutorio, per superare con lei le infinite peripezie. Dateci subito la seconda stagione.

The Good Doctor

Sono onesta e, come ammettevo nel commento al pilot, all’inizio ero dubbiosa sul fatto che ABC potesse permettersi, in uno slot molto competitivo, qualcosa che sembrava essere una copia già vista e rivista di qualsiasi medical drama. Sono stata molto felice di avere torto. Già dal pilot mi sono innamorata del dottor Shaun Murphy, il giovane chirurgo geniale affetto da autismo, alle prese con le difficoltà che un enorme cambiamento di vita imporrebbe a chiunque – trasferirsi in città per iniziare il tirocinio medico con i consueti orari massacranti, competitività alle stelle, stanchezza e inesperienza (insomma, tutto quello che abbiamo imparato a conoscere grazie a Grey’s Anatomy e compagnia) – aggravato dalle difficoltà relazionali che la sindrome di Savant gli impone e che rendono arduo e tortuoso il suo percorso umano e professionale, da subito osteggiato da superiori e referenti che non fanno mistero di non gradire affatto la sua presenza. Dovrà dimostrare giorno per giorno di avere le necessarie abilità, non solo chirurgiche, ma anche sociali – cioè saper gestire il rapporto con i pazienti, impegnandosi in sforzi che appaiono talvolta davvero improbi, ma ai quali dedica tutto se stesso, per farsi finalmente apprezzare per quello che merita.
In modo spontaneo e naturale, siamo portati a immergerci totalmente nelle vicende di Shaun, fare il tifo per lui, stare dalla sua parte e chiederci, spesso, come reagiremmo noi in circostanze del genere, di certo molto complesse e di non facile lettura, come sappiamo essere il mondo delle relazioni interpersonali. Il legame che si instaura con Shaun (superbamente interpretato da Freddie Highmore) è immediato e totalizzante. Sono la curiosità di vederlo procedere, la felicità per i suoi successi e la preoccupazione che tutto si riveli troppo per lui, a determinare il successo di un telefilm che ha avuto rating molto positivi sin dal suo esordio. 

The Marvelous Mrs Maisel

La meraviglia!! Un telefilm frizzante, spumeggiante, realizzato con una visibile (e notevole!) cura per ogni dettaglio, un trionfo per i coniugi Palladino dopo l’amatissimo Gilmore Girls. Una protagonista formidabile in grado di reggere la scena puntata dopo puntata, un finissimo umorismo che rende onore alla nostra intelligenza, un’ambientazione storica mai lasciata al caso, mai approssimativa, e una storia che ho amato molto. Midge è una giovane donna brillante, con enormi potenzialità che crede di utilizzare al meglio nella vita che la famiglia – ricchi ebrei di New York – e la società le impongono e che lei, in realtà, desidera. Non ci viene, infatti, presentata come una donna in cerca di ribellione, non si sente affatto soffocare da una vita a lei inadatta. Al contrario, pare che essere moglie e madre, sostenere il debole e lamentoso marito sia proprio il tipo di attività in cui potrà realizzarsi pienamente. Solo che la vita, per fortuna, ha in serbo molto altro per lei e glielo fa sonoramente capire già nel pilot, quando la scaraventa a terra per costringerla a rialzarsi, mostrare il proprio valore prima di tutto a se stessa e trionfare in una carriera che non avrebbe mai pensato di intraprendere, e per la quale ha un talento naturale. Midge abbandona l’illusione di quella che sarebbe dovuta essere la sua vita con grande determinazione, poche lagne, enorme carisma, dando fondo a tutte le sue risorse interiori, scoprendo se stessa durante un percorso che avrebbe messo al tappeto persone molto meno intraprendenti di lei. Che invece trionfa, tra i nostri scroscianti applausi!

  

Syl

Dynasty

Eccomi qui a parlarvi di una serie che di certo non è GoT, e nemmeno Gossip Girl se vogliamo proprio dirla tutta ma ehi, chi sono io per non apprezzare Dynasty e le sue location da urlo, i suoi abiti meravigliosi (non sempre) e, quando ci si mette d’impegno, un po’ di sano e sempre apprezzato TRASH? Perché dire di NO?

Ammetto che non tutte le puntate di questa prima parte di stagione sono state interessanti e ricche di scene da OMG, ma quelle che ci sono state a mio avviso sono state in alcuni casi EPICHE.

Ci sono personaggi che vorresti prendere a badilate nei denti… e altri che vorresti vedere con quel badile in mano!

In generale confesso che Dynasty mi ha piacevolmente conquistata, non è sicuramente la serie impegnata, non dà particolari spunti di riflessione (anzi, non ne dà per niente, in effetti), ma permette di passare 42 minuti in spensieratezza e ilarità, quindi io dico che ci voleva!

gnappies

The Bold Type

The Bold Type è stato il proverbiale “fulmine a ciel sereno” o il più sentimentale “colpo di fulmine” per me. Di solito non cerco mai una serie volontariamente (a meno che non ci sia un attore / attrice che seguo nel cast ma quella è una storia per un altro giorno), la maggior parte delle volte infatti sono loro a cercare me e a trovarmi esattamente nel momento più opportuno. Ma è questa la particolarità travolgente di The Bold Type, che non è arrivato solo quando io personalmente ne avevo bisogno per colmare il vuoto lasciato da un’altra serie importante, credo che sia giunto in un periodo in cui la televisione stessa in quanto specchio della società ne avesse più bisogno. The Bold Type è stato un regalo inaspettato per la nostra realtà collettiva, mostrando un contesto lavorativo professionale pulito, stimolante e umano ma soprattutto inserendo al centro di questo mondo una serie di figure femminili indipendenti, forti ma soprattutto solidali. A partire dallo straordinario e immenso legame tra le tre protagoniste principali, Jane, Sutton e Kat, passando per l’intensa e significativa caratterizzazione di Adena El-Amin sino ad arrivare alla preponderante, assoluta e magnifica presenza di Jacqueline Carlyle (personaggio ispirato a Joanna Coles, ex capo redattore della rivista “Cosmopolitan” e Chief Content Officer del gruppo editoriale Hearst Magazines), tutte le donne della serie mostrano una realtà che non siamo abituati a vedere, una realtà in cui supporto, lealtà e ammirazione reciproca fanno da arbitri sociali e definiscono le vite e le carriere di tutte le protagoniste coinvolte, diventando un modello da seguire e un obiettivo da realizzare. The Bold Type è la serie che nessuno ha visto arrivare ma esattamente quella che non sapevamo ancora di volere e che probabilmente meritavamo.

WalkeRita

Fateci sapere nei commenti quali nuove serie vi hanno appassionato! Noi vi diamo appuntamento per domani, con un nuovo articolo!

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