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Ho fatto il rewatch di Queer As Folk undici anni dopo e…

Elsa Hysteria by Elsa Hysteria
26 Ottobre 2020
in Rubriche & Esclusive
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Serie TV Telefilm
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Ho fatto il rewatch di Queer As Folk undici anni dopo e…

Correva l’anno 2009 e io facevo un binge watching super selvaggio della versione americana di Queer As Folk – una delle serie LGBTQ più iconiche di sempre. Di recente ho deciso di riguardarlo ed è accaduta una cosa stranissima: mi sono ritrovata a cambiare diametralmente opinione su parecchie cose. Dico “cosa stranissima”, perché prima di questo rewatch ne avevo fatti altri – due su tutti, Gossip Girl e Lost – e mi sono sorpresa a fare gli stessi identici commenti della prima volta, quindi non mi aspettavo di poter cambiare così tanto visione delle cose.

Ma andiamo con ordine. La prima cosa che mi ha senz’altro colpito, è come una serie andata in onda dal 2000 al 2005 possa ancora essere così attuale. Non è cambiato nulla, o quasi, nella maniera in cui il mondo etero vede, giudica e fin troppo spesso perseguita chi invece fa parte della comunità LGBTQ. È una constatazione che mi ha lasciato molto amaro in bocca perché insomma, sono passati vent’anni letterali, eppure l’accettazione e l’inclusione del diverso sono ancora mete inarrivabili. Che poi, diverso in cosa? In abitudini e gusti sessuali? Sul serio nell’anno 2020 esistono ancora persone a cui importano queste cose? Purtroppo, e tragicamente, sì.

Ma parlando più nello specifico delle vicende della serie, quali sono state le cose su cui ho confermato il mio giudizio e quelle che invece si sono completamente ribaltate ai miei occhi?

Ho fatto il rewatch di Queer As Folk undici anni dopo e… COSA È RIMASTO UGUALE:
  • Il mio imperituro amore per Brian Kinney. Continuo a votarlo come personaggio migliore della serie, è il più sfaccettato, quello scritto meglio, il più reale e, sicuramente, il più incompreso. Amo la sua schiettezza, la sua apparenza da bello e stronzo che cela un cuore enorme e una capacità di amare straordinaria – anche se lui non lo ammetterà mai. Si prende cura di tutti, ma raramente qualcuno si prende la briga di grattare la sua corazza e riconoscergli qualcosa, e a lui sta anche bene così. Ci è abituato, vuole perfino che sia così – perché non è in grado di accettare l’affetto altrui pur essendo pieno a sua volta di affetto da dispensare.
  • La storyline migliore per me è rimasta quella che vede coinvolti Hunter, Michael e Ben. La maniera con la quale Ben e Michael accolgono e si prendono cura di Hunter mi ha sciolto nuovamente il cuore e la voto assolutamente come parte narrativa migliore.
  • La terza stagione rimane la più bella di tutte.
  • Il finale. So di essere molto impopolare in questo pensiero ma secondo me QAF non poteva finire in nessun altra maniera. Brian e Justin che rimanevano insieme con il vissero per sempre felici e contenti sarebbe stato assurdo, la forzatura narrativa più grande della storia.
Ho fatto il rewatch di Queer As Folk undici anni dopo e… COSA È CAMBIATO:
  • Michael era il personaggio che più mal sopportavo. Giuro, non riuscivo a tollerarlo. Stavolta, dalla seconda stagione in poi, l’ho adorato e non riesco a capacitarmi di come un tempo l’avessi valutato in maniera così ingiusta.
  • Melanie invece non mi è mai piaciuta, ma stavolta ho finalmente capito cosa ci fosse in lei a darmi così tanto fastidio. Innanzitutto la gravidanza: hanno dovuto farla rimanere incinta a tutti i costi – perché sia mai che in una coppia lesbica solo una delle due raggiunga lo status di madre, biologicamente parlando – quando il suo istinto materno è… mai pervenuto? Secondariamente, hanno preso ogni singolo cliché e stereotipo di una persona lesbica, e gliel’hanno cucito addosso. Quindi, laddove Lindsey è sempre estremamente credibile, Melanie non lo è quasi mai. Non parliamo poi della questione tradimento, dove il punto focale del discorso per Melanie non è l’essere stata tradita, ma l’essere stata tradita con un uomo. Penso che un discorso del genere nella televisione moderna non sarebbe assolutamente concepibile, ma anche vent’anni fa… suvvia.
  • Ted & Emmett. Io amo alla follia questi due, ma li amo alla follia come amici. Ricordo che all’epoca della prima visione, la loro storia mi aveva fatto parecchia tenerezza – agli inizi quantomeno – ma stavolta l’ho trovata una gigantesca forzatura narrativa. Bisognava creare un punto di rottura fra i due e allora perché non forzarlo facendoli mettere insieme e poi rovinando tutto nel peggiore dei modi? E va più o meno così: un minuto Ted dal nulla cosmico si rende conto di essere innamorato di Emmett, il minuto successivo Emmett lo rifiuta, salvo poi ripensarci al terzo minuto e al minuto numero quattro stanno addirittura comprando casa insieme. Al quinto minuto va tutto a rotoli. Assolutamente credibile e naturale, il corso normale degli eventi, nessuna forzatura. Bocciatissimi.
Ho fatto il rewatch di Queer As Folk undici anni dopo e… IL CASO JUSTIN TAYLOR:

Apro un capitolo a parte per Justin. Io ricordo distintamente l’affetto che provavo per lui, fatto salvo per la storia con il violinista spiantato e quella dei Pink Posse, invece stavolta sono qui a dirvi che l’ho odiato praticamente da metà della seconda stagione fino alla fine. È capriccioso ed egoista e voi direte, vabbé, ha diciotto/diciannove anni. Ma è anche completamente incapace di comprendere tutto l’amore che Brian prova per lui e lui soltanto. Non c’è una volta, una sola volta, in cui messo di fronte a una scelta, lui scelga Brian. Fino al punto in cui sono arrivata a non sopportarlo più e a urlare allo schermo a Brian di darsi una svegliata e lasciarlo perdere – perché dai, c’è un limite anche ai colpi di testa e ai capricci di un diciannovenne.

Ho fatto il rewatch di Queer As Folk undici anni dopo e… CONCLUSIONI:

Potrei soffermarmi su molti altri aspetti, come ad esempio la caratterizzazione perfetta di Debbie oppure le incongruenze e i buchi di trama che mi sono saltati platealmente all’occhio riguardandola in così breve tempo, ma diciamo che i punti salienti di questo rewatch ve li ho raccontati tutti. In ogni caso rimane una di quelle serie che tutti dovrebbero guardare almeno una volta, perché è unica nel suo genere, è tutto sommato costruita molto bene e, come dicevo all’inizio, è ancora attualissima (purtroppo, in questo caso).

Elsa Hysteria

Elsa Hysteria

Nella sua testa vive nella Londra degli anni cinquanta guadagnandosi da vivere scrivendo romanzi noir, nella realtà è un’addetta alle vendite disperata che si chiede cosa debba farne della sua laurea in comunicazione mentre aspetta pazientemente che il decimo Dottore la venga a salvare dalla monotonia bergamasca sulla sua scintillante Tardis blu. Ama più di ogni altra cosa al mondo l’accento british e scrivere, al punto da usare qualunque cosa per farlo. Il suo primo amore telefilmico è stato Beverly Hills 90210 (insieme a Dylan McKay) e da allora non si è più fermata, arrivando a guardare più serie tv di quelle a cui è possibile stare dietro in una settimana fatta di soli sette giorni (il che ha aiutato la sua insonnia a passare da cronica a senza speranza di salvezza). Le sue maggiori ossessioni negli anni sono state Roswell, Supernatural, Doctor Who, Smallville e i Warblers di Glee.

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