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Game of Thrones | Recensione 7×01 – Dragonstone

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Game of Thrones | Recensione 7×01 – Dragonstone

“Shall we begin?”

Sembra un po’ inconsueto iniziare la recensione della premiere di questa penultima stagione con l’ultima battuta dell’episodio, ma è d’altronde quello verso cui “Dragonstone” sembra puntare fin dall’inizio. Dopo una parentesi pre-sigla incentrata su Arya (una specie di ulteriore punto messo alle faide della famiglia Stark in un percorso di semplificazione narrativa che ha portato, negli ultimi tre episodi, allo sterminio di almeno tre famiglie principali… con mia somma gioia, se non si fosse capito, riguardo l’accoppiata Bolton/Frey) la premiere si sviluppa gradualmente e senza eccessivi scossoni, un ottimo episodio da molti punti di vista come introduzione a quella che (spero Churchill non si rivolterà nella tomba se lo cito in questa frivola circostanza) “non è la fine, non è l’inizio della fine, ma è forse la fine dell’inizio”.

Abbiamo aspettato sei stagioni piene per vedere Daenerys tornare in Patria, alla sua dimora ancestrale, il luogo in cui è venuta al mondo e da cui è vissuta in esilio finché non è tornata ora, giovane donna al culmine del suo percorso di crescita. Dany non è decisamente più la ragazza che suo fratello ha venduto come merce di scambio al signore dei Dothraki, si è emancipata dal ruolo di semplice accessorio ed è diventata una regnante a tutto tondo, distruttrice di catene, Mhysa e tutti gli altri titoli che volete darle. Spesso accusata da molti spettatori di farsi avanti solo a grandi gesti plateali (che comunque, a dirla tutta, ci stanno e sono anche quelli che le riescono meglio!) e con poca sostanza, personalmente ho man mano apprezzato il suo percorso come personaggio in divenire, e sono ovviamente felice che l’arrivo a Westeros non si sia fatto attendere ulteriormente. Forse sì, Dany aveva bisogno di vivere tutte quelle esperienze che l’hanno fatta ripetutamente deragliare dal suo obiettivo principale, anche se spesso da spettatori questo costante posporre l’inevitabile risultava estenuante, ma dopo essere stata collegata a Westeros solamente da personaggi che di volta in volta la raggiungevano e si stabilivano al suo fianco era ora che la Regina dei Draghi in persona affrontasse quel viaggio che non è ancora la destinazione finale, ma solo il passo iniziale verso la grande guerra.
Ho adorato l’intera sequenza dell’approdo, in cui nonostante zero dialoghi l’espressività di Emilia Clarke ha trasmesso tutto quel peso di emozioni che si devono provare quando un lungo e penoso esilio arriva a conclusione, nel rimettere piede in quella terra a cui si sente di appartenere ma che, per lungo tempo, ha vissuto solo come un concetto lontano e in parte forse anche idealizzato. L’emozione era palpabile e l’impressione che siamo finalmente all’inizio di un punto di svolta fa di un episodio introduttivo un’eccellente preparazione.

Dragonstone sembra anche essere un luogo che avrà una rilevanza fondamentale non solo nella lotta per la conquista del Trono di Spade, ma in vista del Lungo Inverno. Quando ho parlato di grande guerra è a questa che mi riferivo, anche se i regnanti del Sud (e penso a Cersei principalmente in questo momento) sembrano ancora fregarsene bellamente. Dragonstone potrebbe essere la chiave della lotta contro gli Estranei, grazie alla scoperta (dell’acqua calda, ma vabbé almeno qualcuno dotato di cervello alla fine c’è arrivato e ha deciso di renderlo noto a chi di dovere) di Sam che l’intera fortezza poggia su depositi di vetro di drago, il materiale di cui le armate dei vivi hanno disperatamente bisogno se vogliono avere una chance.
E le vicissitudini di Sam come apprendista alla Cittadella ci dicono, così come la sigla, che Oldtown in generale avrà quella rilevanza che avevamo già intuito nello scorso season finale, quando siamo entrati con lui nell’immensa biblioteca e qualcosa ci ha suggerito che lì c’era LA RISPOSTA. Eppure in pochi a sud della Barriera sembrano preoccuparsi davvero della minaccia, alla Cittadella stessa, cosa che irrita Sam. L’Archmaester interpretato da Jim Broadbent (Marwyn?) con cui ha modo di sfogarsi riguardo le sue ansie gli confessa di credere alle sue storie riguardo la minaccia, ma gli pone anche una serie di esempi passati in cui si pensava che Westeros avrebbe visto la fine dei tempi e invece l’umanità è sopravvissuta. Per carità, non si diventa Archmaester senza meriti (e se si tratta realmente di Marwyn parliamo anche di un personaggio più volte menzionato nei libri come un uomo di ampie vedute), eppure c’era qualcosa in quel discorso quasi fatalista che non mi ha convinta: certo, c’è stata una Grande Notte che sembrava avrebbe spazzato via tutto e invece infine se ne è usciti, ma a che prezzo? È come dire che l’umanità è già stata scossa da due guerre mondiali, che potrà mai farci una terza? Certo, sembrava la fine del mondo eppure ne siamo usciti, ma a quale costo? È giusto ancorarsi così tanto al discorso della circolarità della storia da rifiutare anche solo di cercare una possibile via di salvezza non solo per l’umanità come massa informe, ma per il singolo che sarà individualmente vittima di questa minaccia ultraterrena?

Basta tenersi stretta lei e non c’è nulla da temere!

Forse mi sono lasciata andare troppo a discorsi metafisici, torniamo nei Sette Regni e, più nello specifico, a Nord, proprio a due passi da dove il vero nemico attaccherà presto. Abbiamo una nuova tremenda occhiata all’armata dei morti grazie alle visioni di Bran e grazie al racconto di quello che Sandor vede nelle fiamme (qui ci torno fra un attimo), quindi il senso di urgenza è più che mai pesante alla Barriera nonché a Winterfell, dove Jon non perde tempo e inizia a organizzare la difesa più efficace possibile con ciò che ha a disposizione. E qui mi ricollego subito a quanto detto nella recensione dello scorso season finale e, brevemente, nella puntata della Radio in parte dedicata al ritorno di GoT: il timore che Littlefinger stia provando a entrare nella testa di Sansa, quell’occhiata che si sono scambiati sul finire della 6×10 e che le ha spento il sorriso. Qui la prima cosa che vediamo è un dissenso plateale tra lei e il suo fratellastro sulle strategie da implementare, nello specifico grazia o punizione per le famiglie (neanche i diretti interessati) che hanno tradito il loro voto verso gli Stark. Se normalmente sarei a occhi chiusi dalla parte di Sansa, che afferma che va mandato un messaggio forte in cui “the North remembers” ed è ingiusto mettere leali e sleali sullo stesso piano cancellando le colpe passate, in questo frangente faccio fatica a schierarmi nettamente, perché tutto sommato anche la posizione di Jon ha il suo senso: non si possono punire i figli per le colpe dei padri. Inoltre, aggiungo io, siamo in tempi difficili e ogni alleato in più può fare la differenza.
Jon al momento funge un po’ da riflesso per le scelte (positive e non) dei suoi predecessori Ned e Robb, nominati anche da Sansa in un discorso a quattr’occhi con lui (e visto che giusto ieri commentavamo il recap di MooNRiSinG su Facebook dicendo che è stato proprio il senso dell’onore e la convinzione che il resto dell’universo fosse retto come loro a segnare la prematura fine di entrambi i personaggi, mi fa piacere vedere che la stessa amara verità venga messa in bocca a Sansa in questo episodio: massimo rispetto per personaggi con morale e senso dell’etica, ma narrativamente parlando è stato in parte sottovalutare la meschinità altrui a segnare la loro disfatta). Se uno dei motivi che ha in seguito messo i Karstark contro gli Stark è stato Robb che, per senso della giustizia, ha ucciso il loro patriarca, Jon che fa la scelta opposta nei confronti dei discendenti potrebbe tutto sommato rivelarsi positivo. Ma, ripeto, capisco e anzi mi immedesimo completamente nel ragionamento di Sansa che ci tiene a far valere la propria lungimiranza: un altro personaggio femminile che, a differenza di Dany, ha impiegato più tempo a emanciparsi e crescere in una donna forte e matura, ma che è ora sicura di sé e che già in “The Battle of the Bastards” aveva alzato la voce con Jon, pretendendo che il suo parere fosse ascoltato. Quello che vediamo in “Dragonstone” è solo un accenno di frizione tra i due, ma Littlefinger che continua a ronzare in giro con quel suo sorrisetto viscidone di certo non fa ben sperare, continuo a tenere le dita incrociate per i due.

Da una Stark a un’altra, saltiamo molto più a sud, dove Arya si dirige dalle Twins a King’s Landing, decisa a spuntare un altro importante nome dalla sua lista, e incontra sulla strada un drappello di soldati dei Lannister. Quella che sembrava per un secondo l’anticamera di un conflitto, si trasforma invece, per mia somma gioia, in un siparietto di tranquilla quotidianità in cui Arya può immergersi completamente, con sua stessa sorpresa, riscoprendo tramite i racconti di quegli uomini (tra cui Ed Sheeran!) quasi per caso il piacere di cose semplici come la casa e la famiglia, piaceri che credeva (e forse crede ancora) di aver perso per sempre, lontana da casa e rintanata a Braavos a nascondere la sua identità dietro la maschera di “nessuno”, dopo mesi e mesi da nomade per le terre di Westeros con la convinzione che la sua intera famiglia sia stata sterminata. Potrei forse dire che, nella sua semplicità, questo è uno dei momenti che più ho apprezzato nell’intero episodio, anche perché vede protagonista una dei miei personaggi preferiti che fin troppo a lungo ho sofferto a vedere stagnata in una storyline piuttosto statica all’interno della Casa del Bianco e del Nero.

Dopo l’uccisione di tutti i membri dell’odiata Casa Frey (momento di estrema goduria che ha richiamato quell’orgasmico finale di stagione che, come già detto in Radio, mi aveva lasciata felice del nuovo assetto ma, allo stesso tempo, in tensione per il pericoloso foreshadowing che poteva seguire cotanta soddisfazione, consapevole che in Game of Thrones il #maiunagioia è sempre dietro l’angolo… mentre il #maiunaJorah potrebbe o non potrebbe essere in una delle celle di Oldtown, qualora ve lo steste chiedendo: non ne sono sicura al 100% ma la voce e il profilo – nonché il morboso interesse per la sorte della Regina dei Draghi – sembrerebbero proprio i suoi) il mirino di Arya si sposta quindi su Cersei, che dal canto suo è forse la regnante meno interessata all’arrivo dell’inverno (con tanto di morti viventi al seguito) e, tra un intervento di interior design e l’altro, si premura di ripassare con Jaime la geografia di Westeros, contando uno a uno i nemici che gli si sono accalcati intorno: Dorne, Highgarden, Winterfell e Dragonstone, tutti controllati da famiglie che vogliono la sua testa. No wonder che le priorità di questa donna tendano più sul breve termine che sul quadro più ampio!

 

Quello che invece mi turba è l’attuale parvenza di indulgenza di Jaime: così come l’ultimo sguardo di Sansa a Littlefinger mi aveva fatto presagire “troubles in paradise” a Winterfell, lo scambio di occhiate tra i fratelli Lannister durante l’incoronazione di Cersei mi era sembrato abbastanza significativo, credevo Jaime stesse finalmente guardando sua sorella con occhi nuovi, che l’ultimo incontro con Brienne l’avesse scosso dalla patina di cecità che lo riporta sempre da lei, rendendolo miope alle sue atrocità. Tornare in città e scoprire che lei ha fatto saltare in aria decine di persone, bruciandoli con quello stesso altofuoco che il Re Folle voleva usare contro i suoi nemici (motivo che ha reso lui un kingslayer) sembrava la giusta chiusura di un cerchio di consapevolezza che avrebbe fatto aprire gli occhi a Jaime, che ora invece sembra di nuovo irremovibilmente dalla parte della Regina in ogni folle decisione… con un micro-vacillamento giusto quando si accenna a una possibile proposta di matrimonio per sigillare l’alleanza di convenienza con fondamentalmente gli unici rimasti a cui rivolgersi: gli Uomini di Ferro di Euron Greyjoy (ci ho messo un po’ a riconoscerlo come lo stesso attore, confesso, forse prova dell’eccellente capacità camaleontica dell’interprete oltre che del personaggio, qui dotato di un’ironia più spiccata di quanto avessimo visto finora).

  

Euron lascia Cersei, che ha appena rifiutato la sua proposta, promettendole di tornare con un regalo che la dissuaderà definitivamente dalla diffidenza nei suoi confronti. Se dovessi solo basarmi sulla saga letteraria a quest’ora i miei sensi di ragno si sarebbero attivati, percependo una possibilità che il famoso corno che Euron affermava di aver recuperato durante uno dei suoi innumerevoli viaggi stia per apparire in scena, ma non sono sicura al massimo che lo show abbia intenzione di inserire un nuovo elemento di tale portata nella mitologia della serie…

Concludiamo aggregandoci nuovamente alla Brotherhood Without Banners (in viaggio verso Nord per combattere la guerra contro i morti), che come avevo già annunciato durante la scorsa stagione sono strafelice di vedere tra i pochi consapevoli della reale minaccia e concretamente impegnati in quella direzione. La Fratellanza era uno di quei gruppi alle cui vicende mi ero molto appassionata durante la lettura per motivi che non riesco a discernere razionalmente… diciamo che mi sono molto riconosciuta nelle parole di Clegane, che chiede a Dondarrion cos’abbia mai di così speciale per essere stato scelto dal Signore della Luce per continuare a vivere. Allo stesso modo mi chiedo cos’abbia trovato io di così speciale nella BWB da affezionarmi così tanto: sì, sono un gruppo che ha deciso di staccarsi dalle faide dei Sette Regni per proteggere chi a causa di quelle faide soffriva realmente, ovvero le persone comuni, hanno uno spiccato senso della giustizia e solo per questo da considerarsi persone encomiabili, e poi c’è questo culto del Signore della Luce che si è tramutato per la prima volta in qualcosa di tangibile. È vero, con Melisandre avevamo già visto la magia di sangue all’opera, ma riportare in vita i morti è un altro livello.

La religione e, nello specifico, il fanatismo religioso hanno sempre giocato un ruolo centrale nelle vicende di Game of Thrones, ma delle molte divinità presenti sul territorio questo culto orientale sembra avere i poteri più incisivi, sebbene sinistri. Quello che mi incuriosisce, così come Sandor, è perché proprio Dondarrion? Melisandre ha partorito un demone-ombra con le sembianze di Stannis, ma parliamo di uno dei pretendenti al trono nella Guerra dei 5 re, la stessa ha poi in seguito riportato in vita Jon Snow e, anche qui, parliamo di uno dei protagonisti della saga (a mio vedere anche uno dei personaggi preferiti di Martin stesso)… ma Dondarrion? È giusto porsi il quesito, e sicuramente farlo enunciare a chiare lettere da Clegane è solo il primo passo verso una risposta che magari arriverà già entro la fine di questa stagione. Nella saga Dondarrion finisce per donare la sua vita a qualcun altro che aveva bisogno di tornare, ma ci è stato reso abbastanza chiaro che non vedremo quella figura nello show, quindi assumendo come sempre che stiamo parlando di due prodotti che viaggiano in direzioni diverse sono davvero curiosa di scoprire qual è lo scopo per cui a quanto pare il Signore della Luce vuole servirsi di Beric in vista della battaglia finale.

La parentesi sulla Fratellanza Senza Vessilli è anche un modo per approfondire la personalità di Sandor e regalarci un altro scorcio della sua, in un certo senso, rinascita: Septon Ray dice di averlo trovato praticamente morto, ma Clegane si è rimesso in piedi e sembra ora aver gradualmente trovato una nuova ragione di vita, una missione che però passa anche per un percorso di espiazione. Non ho subito capito perché non volesse entrare in quella casa, ma trovarlo dopo a seppellire i corpi e affermare davanti a Thoros che in un certo senso “li conosceva” mi ha fatto collegare qualche puntino, e ho capito che il nuovo Sandor sente il peso delle proprie responsabilità e azioni passate e vuole passare oltre. La svolta spirituale (il fatto che riesca a leggere le immagini nelle fiamme) avrà sicuramente un ruolo fondamentale in questo suo percorso.

Note a margine: giusto ieri (e non credo si tratti di un argomento che si esaurirà a breve) si è parlato della scelta di passare a un Dottore donna in Doctor who, scatenando discussioni più o meno pseudo-femministe in ogni dove. Per quanto riguarda Game of Thrones, non posso non apprezzare il fatto che quella che era partita come una guerra tra re sia evoluta in un universo in cui sono le donne ad avere quasi sempre la meglio: Cersei e Dany sono le due sovrane che quasi sicuramente finiranno per scontrarsi nella guerra a Sud, quest’ultima supportata dalle donne di Dorne, dalla flotta di Asha Greyjoy e dalla meravigliosa Lady Olenna, unica superstite della sua famiglia. Arya viaggia ancora per conto suo ma si sta facendo strada brutalmente verso la rivincita degli Stark. A Nord vediamo invece Sansa prendere sempre più consapevolezza delle proprie forze e delle proprie intuizioni, una giocatrice sempre più abile sulla scacchiera di Westeros… e rimanendo in ambito Winterfell, c’è Lyanna Mormont che continua a eclissare chiunque in sua presenza, rimettendo sempre al loro posto con quattro battute decise quei signori del Nord con decisamente più anni e più esperienza di lei sulle spalle. Go girl!

Su una nota più superficiale: more Tormund/Brienne screentime, pleeeeeease!

Vi saluto con il promo del prossimo episodio e vi invito a lasciarmi qui sotto nei commenti i vostri pareri sulla puntata e le vostre aspettative per il prosieguo della stagione.
Alla prossima settimana, e non dimenticate di passare dai nostri amici di: Gli attori britannici hanno rovinato la mia vita, The White Queen Italia.

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Ale
Tour leader/traduttrice di giorno e telefila di notte, il suo percorso seriale parte in gioventù dai teen drama "storici" e si evolve nel tempo verso il sci-fi/fantasy/mistery, ora i suoi generi preferiti...ma la verità è che se la serie merita non si butta via niente! Sceglie in terza media la via inizialmente forse poco remunerativa, ma per lei infinitamente appagante, dello studio delle lingue e culture straniere, con una passione per quelle anglosassoni e una curiosità infinita più in generale per tutto quello che non è "casa". Adora viaggiare, se vincesse un milione di euro sarebbe già sulla porta con lo zaino in spalla (ma intanto, anche per aggirare l'ostacolo denaro, aspetta fiduciosa che passi il Dottore a offrirle un giretto sul Tardis). Il sogno nel cassetto è il coast-to-coast degli Stati Uniti [check, in versione ridotta] e mangiare tacchino il giorno del Ringraziamento [working on it...]. Tendente al logorroico, va forte con le opinioni non richieste, per questo si butta nell'allegro mondo delle recensioni. Fa parte dello schieramento dei fan di Lost che non hanno completamente smadonnato dopo il finale, si dispera ancora all'idea che serie come Pushing Daisies e Veronica Mars siano state cancellate ma si consola pensando che nell'universo rosso di Fringe sono arrivate entrambe alla decima stagione.

1 COMMENT

  1. Ale, una bellissima recensione.

    L’inizio e il finale dell’episodio sono state le parti più belle ed epiche.
    Tutta la sequenza di Daenerys è splendida, in particolare la salita del gruppo alla fortezza (che però per la struttura esterna a me ha ricordato il castello del Re degli Stregoni di Angmar ne “Il Ritorno del Re”), una fotografia davvero meravigliosa. E magari anche un’allegoria della salita al trono della giovane sovrana?

    Arya… beh, the Stark send their regards riassume alla perfezione.

    Lady Lyanna Mormont una bambina un mito.

    La questione Sansa: quel viscido ci prova, ma lei davvero si lascerà manipolare? Non potrebbe essere che Jon e Sansa debbano imparare a conoscersi nuovamente, non più come ragazzi, ma come adulti con esperienze drammatiche che li hanno segnati e cambiati?
    In ogni caso concordo con quanto hai detto: Sansa ha ragione sul fatto che il tradimento va punito e la lealtà ricompensata, ma Jon ha ragione a non voler far ricadere le colpe dei padri sui figli, soprattutto quando, come in questo caso, sono bambini o poco più.

    Alla prossima!

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