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Home Farewell to...

Farewell to… White Collar

Celia by Celia
28 Gennaio 2015
in Farewell to..., Rubriche & Esclusive, White Collar
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Tra il miliardo di series premiere, season premiere e repliche con cui ci bombardano ogni anno, per me White Collar è sempre stata una di quelle serie che non sai che ti è mancata fin quando non ricomincia. La stagione, la puntata finiva e l’amavo ma poi passavo ad altro, le mie unghie non si riducevano all’osso, non maledicevo tutti i sette Dei perché non avevo un’altra puntata a disposizione, non ho mai sentito l’impellente bisogno di fare binge watching, ma poi un’altra puntata, un’altra stagione andava in onda e rimanevo nuovamente assuefatta dal suo intrigante ritmo e mai una volta sono rimasta indietro anche di un solo episodio, né ho mai pensato “adesso guardo quest’altro prima”. Per me, White Collar è stato un piccolo gioiellino, sempre costante, sempre coerente, sempre affascinante. 

Ho letto molti commenti su quanto il finale fosse stato affrettato poiché la serie era ancora piacevole e sensata, e lo era, sul serio. Ma io mi sono sempre lamentata sul come certi show vengono trascinati di stagione in stagione finché non diventano l’ombra di tutto ciò che amavamo. Dicono che tutto sta nel capire quando uscire di scena, sapete? Perciò, per quanto mi riguarda, questo articolo è un enorme grazie, grazie per avermi permesso di poter soffrire veramente e senza alcun sollievo per qualcosa che mi piaceva e che adesso non c’è più, ma che se ne è andato con tutta la sua dignità intatta. Un grazie agli autori che in sei episodi sono riusciti a concludere tutte le storyline senza che sembrasse eccessivamente che un tir li stesse inseguendo.

E un altro grazie a Matt Bomer per aver ideato un finale degno di questo nome, che ti lascia quel sorriso di amarezza sulle labbra come tutti i finali che richiamano le origini fanno, ma senza dimenticarsi di sei anni di evoluzione dei personaggi.

Qualcuno si chiedeva come fosse possibile che Neal decidesse di fare qualcosa di così doloroso per i suoi cari come lasciargli credere che fosse morto. Questo è il vecchio Neal, mago della truffa, tutto per la libertà e poco importa chi ci passa per mezzo, quello che io credo sia successo è che il nostro criminale preferito abbia preso molto sul serio l’avvertimento di Keller sulle Pink Panters e abbia deciso di tenere al sicuro coloro che amava fin quando tutti i membri non fossero stati tutti condannati per poi rivelarsi, cosa che ha fatto.

Ed è questo quello di cui parlo quando dico che è un richiamo al passato ma che ha attinto a piene mani dalla crescita dei personaggi.

E sinceramente, sono proprio loro, i personaggi, che mi mancheranno più di tutto. Ognuno perfettamente tridimensionale, con una propria ben definita personalità, eppure tutti durante diverse stagioni hanno dovuto affrontare dilemmi morali e ne sono usciti più bianchi o più neri e poi non sono più tornati ad essere gli stessi.

Ho amato Neal, con la sua sicurezza,

i suoi molti talenti, il suo sconfinato fascino e la sua sveglia intelligenza.

Ho adorato il burbero e giusto Peter,

che ha retto la sfida di qualcuno come Neal e ha vinto anche, d’altronde forse le scene in cui una donna sceglieva Peter invece che Neal, con enorme sgomento di quest’ultimo, sono tra quelle che più mi hanno divertito.

Ancora di più che lui non potrò mai dimenticare il suo rapporto con l’indipendente e determinata moglie Elizabeth,

come hanno affrontato tutto insieme, con rispetto e amore, mettendo l’altro sempre al primo posto e come non siano stati lì fermi ad aspettare il proprio happy ending, ma l’hanno costruito momento dopo momento.

E poi Mozzie,

non so nemmeno da dove cominciare con lui, leale come pochi è sempre stato il personaggio più divertente, quello che risolveva il puzzle o quello il cui aiuto era determinante affinché qualcun altro lo facesse, le sue teorie di cospirazione hanno scavato un posticino nel mio cuore, così come il suo graduale contare su Peter e l’amicizia con Elizabeth.

E infine, c’è quello che è il vero cuore di White Collar, la relazione tra Peter e Neal.

Nella realtà definiamo noi stessi con il confronto con gli altri, decidiamo come non siamo, come vogliamo essere ogni giorno solo con un raffronto con il resto del mondo, spesso senza neanche accorgercene e in White Collar ancora più che i singoli personaggi sono le relazioni a restarti nel cuore perché li scolpisce e ne fa emergere nuovi lati. Peter ha preso un ragazzo sotto la sua ala e ne ha fatto un uomo, e Neal ha donato a Peter la possibilità di farlo.

E il loro rapporto è stato splendido dal primo all’ultimo episodio con tutte le sue contraddizioni, i suoi alti e bassi.

Quella completa fiducia da parte di Peter che non era però mai cieca, era sempre consapevole di quando Neal stesse complottando qualcosa ed è sempre stata una qualità che ho ammirato in lui: non ha mai scelto di non vedere inconsapevolmente, ha sempre saputo chi era Neal anche se affezionato a lui.

E ancora, il senso di protezione che entrambi avevano l’uno per l’altro, nonché il rispetto perché, sebbene Peter sia stato la figura autoritaria che è mancata a Neal, il loro rapporto è sempre stato di quelli tra pari.

E nel momento esatto si è concluso il series finale ho capito che non avrei avuto bisogno di nessun’altra puntata per sapere quanto mi mancherà.

 

 

Celia

Celia

Nasce a Napoli, ma sogna New York. Incomincia fin da piccola a interessarsi alle serie TV, iniziando con Una Mamma per Amica, Supernatural, the O.C. e Friends per poi appassionarsi a tante, troppe altre tra cui How I Met Your Mother, Game of Thrones, Sherlock, Arrow, Lost, Teen Wolf, White Collar, The Vampire Diaries... Comincia sempre nuove serie quando ne ha una lista infinita da recuperare: non riesce proprio a resistere a quella sensazione che si prova quando si entra in un nuovo mondo di cui scoprire segreti e abitanti. Tutto ciò la porta alle sue altre due passioni: il cinema e i libri. La sua speranza più recondita, a parte quella di essere portata via da Ten alla scoperta dell'universo, è quella di pubblicare un giorno un suo romanzo. Ha il brutto vizio di modellare il suo tipo ideale sui fictional characters, se vi chiedete chi, di grazia, diciamo un certo Killian Jones, ma le andrebbe bene anche qualcuno come Richard Castle, insomma non dite che non è una che si accontenta.

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