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Farewell to… Sons Of Anarchy

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Farewell to… Sons Of Anarchy

“Jackson, what happens at the end of the day?”

“The bad guys lose”

Aye. Alla fine della giornata, della stagione e dell’intera serie è proprio quello che è successo. Quegli stivali, quella moto, quella strada…Non poteva concludersi altrimenti. Nessuna redenzione era possibile. Nessuna scappatoia da smart one questa volta. Soltanto un’uscita di scena – finalmente – con il sorriso sulle labbra, riflesso di una consapevolezza serena ed onesta affiorata per la prima volta sul volto di un uomo che abbiamo amato follemente dal primo all’ultimo fotogramma.

Perché il grande merito di Kurt Sutter risiede proprio nell’essere riuscito a creare tra noi e una manciata di criminali ed assassini (è quello che sono, non giriamoci tanto intorno) lo stesso legame d’amore, così solido ed eterno, che unisce i membri del Club tra loro. È innegabile, infatti, che quello stesso senso di fratellanza, appartenenza e cieca lealtà lo abbiamo sentito crescere e cementarsi anche dentro di noi durante questi 6 lunghi anni di grande televisione.

Che SONS OF ANARCHY fosse liberamente ispirato all’Amleto di Shakespeare non è una novità. La maestria, però, emerge quando si riesce a colmare quello spazio tra l’idea e la realizzazione della stessa, arrivando infine a partorire una vera e propria opera d’arte.

Certo, SOA non è la serie perfetta (ne esiste forse una?!) e ha peccato, a volte, di “lungaggini gangsteriane” superflue ed evitabili, ma alla fine della corsa ha davvero importanza?

Per quanto mi riguarda assolutamente no perché se un’opera d’arte, indipendentemente  dal linguaggio con cui si sceglie di rappresentarla (libro, film, dipinto, serie-tv o altro), può essere definita tale nel momento in cui riesce a suscitare negli occhi di chi la sta vivendo un’ampia gamma di emozioni e sensazioni assolutamente reali e viscerali, allora SOA è riuscita a centrare in pieno il bersaglio.

E tutto questo l’ho realizzato soprattutto assistendo alla settima ed ultima stagione. Scometto che molti di voi, guardando i primi episodi, si sono detti “Non è il SOA a cui ero abituato…C’è qualcosa che non va…Il livello è calato”. Forse anch’io l’ho pensato di fronte a episodi su episodi in cui il Jax più gelido che avessimo mai visto lasciava dietro di sé montagne di cadaveri senza mostrare il minimo barlume di umanità. Come se la morte di Tara avesse creato nell’anima di Jax un buco nero in cui erano state risucchiate tutte le emozioni.

 

Ma poi, quando la verità è esplosa con la confessione di Juice e le mie lacrime si sono mescolate a quelle di Jax (Theo Rossi e Charlie Hunman sono stati qualcosa di incredibile in quella scena), ho finalmente capito che le nostre emozioni erano andate esattamente di pari passo con le sue.  Apatici ed in balia degli eventi nei primi 2/3 della stagione, siamo “tornati a sentire” quando anche Jax, dopo aver fatto cadere la muraglia dietro cui si era trincerato (per non pensare, per non sentire – appunto), ha lasciato che il dolore lo travolgesse definitivamente. E da lì in poi non c’è stato un singolo episodio, degli ultimi 4, in cui io non abbia pianto almeno una volta.

In definitiva, questo “Farewell to” altro non  sarà che un lungo, enorme ed indelebile GRAZIE KURT, in primis di esistere ed in secondo luogo per essere uno scrittore maledettamente geniale, coraggioso e con i controcazzi.

Grazie per aver chiuso il cerchio in maniera perfettamente lineare, senza voler stupire per forza gli spettatori con trovate fuori contesto ma, al contrario,  percorrendo l’unica strada possibile e riuscendo, nel contempo, a ricollegare la fine con l’inizio.

Lo hai fatto attraverso la stessa immagine di quei corvi neri sull’asfalto, scegliendo la stessa cover punk di “I can’t help falling in love” (omaggiando così anche Bobby “Elvis” Munson, prezioso grillo parlante del nostro caro Jax) e riportando quella stessa logora coperta, indossata infine come la mantella del Grim Reaper, dalle mani della clochard in quelle del nostro amato Pres (“Who are you?” Forse la Morte stessa? Ad ognuno la propria interpretazione).

Grazie per essertene fregato sempre e comunque delle lamentele per la troppa violenza o il troppo sesso e aver avuto, anche alla fine, il coraggio di mettere in scena quel palese parallelismo tra Jax (un criminale, un assassino) e niente-popo-di-meno che Gesù Cristo (simbolo di purezza ed umanità), attraverso quelle braccia spalancate come sulla croce, quel pane bagnato dal vino e poi dal sangue e quel sacrificio necessario fatto per AMORE, sia nei confronti dei propri fratelli (sollevandoli così da un peso troppo grande per loro), sia soprattutto nei confronti dei propri figli.

 

Perché quello a cui abbiamo assistito non è stato un suicidio o la scelta di una facile via di fuga, ma semplicemente un atto d’amore estremo indispensabile per completare l’ultimo grande piano di Jax e per mettere i puntini sulle “i” alla frase (atroce e bellissima allo stesso tempo):

“I need my sons to grow up hating the thought of me”

Grazie per aver rimarcato il fatto che spesso la vera famiglia è quella che ci scegliamo e non quella in cui siamo nati. E ce lo hai Catturadimostrato soprattutto con la storia di Juice, semplicemente incapace di esistere al di fuori del Club.

Grazie per l’amore incondizionato di Opie per il suo migliore amico, echeggiato ancora una volta nelle ultime parole di Jax ai suoi fratelli (“I got this”), grazie per i consigli di Bobby, la follia di Tig e la sua – meravigliosa – storia d’amore con Venus (un immenso Walton Goggins ).

Grazie per averci fatto capire quanto possano essere sexy gli scozzesi (e soprattutto l’accento scozzese) molto prima di Outlander. Sì, sto parlando di Chibs, in assoluto il mio SON preferito e l’unico Presidente possibile dopo il suo amato Jackie-Boy.

 

Grazie per la figura positiva di Nero ed il suo meraviglioso rapporto con Jax  perché le scene tra loro, in questi ultimi episodi, mi hanno frantumato il cuore tutte le sacrosante volte.

E grazie anche per Wendy e la sua evoluzione perché allo stesso odio profondo che avevo nei suoi confronti all’inizio è corrisposto un amore altrettanto profondo alla fine.

Grazie per averci regalato sempre dei Season Finale degni di essere chiamati tali. Uno su tutti (probabilmente la mia scena preferita dell’intera serie) quello della 4^ Stagione, quando finalmente Jax siede al posto che gli spetta con Tara al suo fianco:

 

L’immagine si commenta da sola…brividi su brividi.

E come dimenticare il finale della 6^stagione, quando ci hai definitivamente strappato l’anima con una delle morti più scioccanti e crude che io abbia mai visto sul piccolo schermo? (non ho più guardato un forchettone da grigliata nello stesso modo da allora…). La morte di Tara e quella di Opie sono ancora chiaramente impresse nella mia mente, come se le avessi viste ieri. Perché uno dei tuoi grandi meriti è quello di aver sempre onorato la fine di ogni personaggio principale, dandogli un senso e scrivendola con cura e rispetto.

Jax-and-Taras-Death-SOA0613 

Grazie per la strizzatina d’occhio finale agli orfani di The Shield perché, seppur breve, l’apparizione di Michael “Vic Mackey” Chiklis nel ruolo di Milo, il funesto camionista-Caronte (sia per Jax che per Gemma), ce la ricorderemo a vita.

Grazie anche per la magnifica colonna sonora, fatta di struggenti rock ballads, di White Buffalo, di Forest Ranger e di Noah Gundersen. Sempre azzeccatissima, sempre in sintonia con le immagini e gli stati d’animo. Sempre perfetta. Come l’indescrivibile “Come join the murder” finale, di cui tu stesso sei autore del testo (potete riascoltarla QUI).

Infine, da telespettatrice donna, ti ringrazio per essere riuscito a concepire una storia solo apparentemente tutta testosterone, celebrando in realtà la potenza della figura femminile, vera colonna portante dell’intera serie, con rara eleganza e profondità.

 

Perché se ci pensate bene tutte le donne presenti, dalle più importanti nella vita di Jax (come Tara e Wendy) a quelle più marginali (come Lyla, Colette, Margaret, le stesse ragazze del Diosa), fino alle antagoniste (la Sthal, la Patterson, e la Jarry) sono state fondamentali per qualcosa ed hanno contribuito attivamente a muovere le fila della storia, dimostrando quasi sempre di avere molte più palle degli uomini con cui avevano a che fare e i quali, spesso, si rifugiavano sotto la loro gonna in cerca di consolazione.

Non è un caso, infatti, che la parola Anarchia sia “donna” e che il titolo stesso (“figli dell’anarchia”) rimandi al tema della maternità in primis e, più in generale, a quello del rapporto genitori-figli così prepotentemente al centro dell’intera storia.

Ed ecco allora emergere la figura di Gemma, una delle donne più controverse mai incontrate sul piccolo schermo, odiata ed amata allo stesso tempo (da noi come da Jax) e che anche alla fine è riuscita ad avere l’ultima parola sulle azioni del proprio figlio, scegliendo il quando, il dove ed il come andarsene, concedendogli addirittura la “benedizione” su quanto stava per accadere, quasi a voler dimostrare che l’unica vera anarchica, in quel mondo fatto in realtà di regole ben precise, fosse lei e soltanto lei.

Lei, che regalando ad Abel quell’anello, così grande e pesante nelle sue piccole mani, ha regalato a noi un ultimo pugno nello stomaco accompagnato dall’atroce dubbio “Il cerchio si sarà spezzato davvero o sarà stato tutto vano?!” , nonostante quella rassicurante ed ultima immagine di Nero, Wendy, Abel e Thomas in viaggio verso una gita fuori-porta, fotografia della famiglia perfetta…

Nonostante quell’altra immagine – dolorosa ma necessaria – di Jax che distrugge per sempre i suoi diari ed il manoscritto di J.T. in un ultimo tentativo di tenere lontani i propri figli dal suo stesso destino.

E nonostante queste parole…

“I realized, as I think you did, a good father and a good outlaw can’t settle inside the same man. I’m sorry, JT. It was too late for me. I was already inside it. It’s not too late for my boys. I promise, they will never know this life of chaos. I know who you are now. And what you did”.

Quindi, Kurt, grazie anche per quest’ultima bastardata perchè il lieto fine in un certo senso ce lo hai dato sì, ma il retrogusto resta ugualmente molto amaro. D’altra parte è così che ci hai abituati. L’happy ending non è nelle tue corde.

C’è da dire però che Gemma non sarebbe stata la nostra Gemma se non fosse stato merito soprattutto di Katey Sagal, ascesa definitivamente nell’olimpo delle migliori attrici televisive degli ultimi anni (un esempio di quando i premi sono davvero meritati). Quindi grazie Kurt per aver cucito addosso a tua moglie un simile personaggio, permettondoci così di  godere della sua bravura.

Grazie anche di averci permesso di assistere alla maturazione professionale di Charlie Hunman, il quale ha dimostrato di non essere soltanto un bel faccino con chiappe da urlo (by the way, grazie per avercele mostrate in più di un occasione), ma di essere maturato artisticamente in maniera esponenziale tra la S1 e la S7. Non riesco ad immaginare un Jax diverso, davvero.

Ovviamente grazie anche per aver scelto attori con la A maiuscola per il resto del cast: da Ron Perlman a Theo Rossi, da Drea de Matteo a Maggie Siff, da Kim Coates a Tommy Flanagan e Ryan Hurst e a tutti gli altri (te compreso). E grazie anche  di averci donato gustosissimi cammei come quelli di Stephen King, Courtney Love e Marilyn Manson (assolutamente cane come attore ma indimenticabile nelle sue scene “d’amore” con Juice).

http://youtu.be/KngK8Kefv0Y?list=UUp-omzXg5JOqQJQErHhUhrw

Grazie perchè grazie a SOA non saremo più in grado di guardare un paio di sneakers bianche ed immacolate senza pensare a Jax e ad ogni rombo di motore in lontananza il nostro cuore salterà un battito.

Grazie per la poesia racchiusa in quella ripresa finale fatta dalla prospettiva del corvo che vola leggero sopra tutto e tutti. Leggero come l’anima – finalmente – in pace di Jax che corre veloce tra le braccia di Mr Mayhem.

One hell of a ride, Kurt! One hell of a ride!

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Come join the murder
Come fly with black
We’ll give you freedom
From the human track
Come join the murder
Soar on my wings
You’ll touch the hand of God
And He’ll make you king
And He’ll make you king

 

 

 

 

 

 

 

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Nella vita fa la veterinaria (o almeno ci prova senza combinare troppi danni) ma, oltre agli animali, le sue più grandi passioni sono il cinema, le serie-tv e il disegno. Figlia degli anni ’80, inizia la sua carriera telefilmica in compagnia di Saranno famosi, Magnum PI, Supercar, l’A-Team e MacGyver, la sua prima serial- crush. A 9 anni, grazie alla mamma, viene catapultata nel contorto mondo di Twin Peaks, il suo primo vero serial. Gli anni dell’adolescenza saranno segnati da tre pietre miliari della storia telefilmica: Dawson’s Creek, Buffy-L’ammazzavampiri ed X-Files. Ma è con l’acquisto del suo primo pc e relativa connessione internet che la sua vita prende una piega totalmente nuova. Dover sottostare alle caotiche programmazioni italiane, infatti, non le basta più. E se in principio era solo Lost (tuttora il suo più grande amore) e poi Prison Break e Grey’s Anatomy, ora, tra serie concluse e attive, sono circa 40 quelle che sono entrate a far parte della sua vita. Oltre ai già citati Dawson’s Creek, Buffy e Lost, tra le sue serie preferite ci sono Friday Night Lights, True Detective, Vikings, Fringe, Sons of Anarchy, The Walking Dead, The Americans, Person of interest, Prison Break, Alias, Homeland e Gilmore Girls. Non ama spoilerarsi, si gode le sue serie-tv rigorosamente in lingua originale (infatti il suo inglese è migliorato un casino) e non disdegnerebbe un’apocalisse zombie se dovesse significare trovarsi faccia a faccia con Daryl Dixon.

1 COMMENT

  1. Ho finito proprio ieri l’ultima puntata della settima stagione.
    Non posso che condividere ogni riga di quello che hai scritto, avendo provato le stesse sensazioni ed emozioni che descrivi.

    SOA mi mancherà. E non poco.

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