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Farewell To… Penny Dreadful

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Farewell To… Penny Dreadful

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Il “Farewell To…” è sempre stato l’occasione per noi Addicted di dare il nostro, giusto o meno, tributo a una serie che abbiamo particolarmente amato.
Per parlare del nostro pensiero con voi, per piangere assieme, per salutare con un personalissimo “Ave Atque Vale” personaggi che ci hanno tenuto compagina per anni, dei quali ci siamo innamorati e con i quali abbiamo gioito, pianto e sofferto.
Questo “Farewell To…”, in particolare, per me è l’epitaffio meritatissimo a una serie che ho amato fino all’ultimo secondo.
Ed è inutile stare a interrogarci sul perché o per come sia stata cancellata, se il creatore della serie ha davvero mentito dicendoci che era progettata per avere tre stagioni e non di più, se ne meritava [e ne meritavamo] altre o se il destino di personaggi secondari così ben caratterizzati meritasse una storyline più approfondita: “Penny Dreadful” è concluso, definitivamente e per sempre. Ed è giusto per noi ricordarlo come il piccolo capolavoro che sono state queste uniche, avvincenti tre stagioni, piuttosto che speculare su cosa avrebbe potuto essere.

Penny-Dreadful-Finale-5-810x456Di “Penny Dreadful” abbiamo parlato ampiamente in altri articoli. Era una perla, una piccola, luccicante perla televisiva di qualità superiore, sia come effetti speciali che come ricostruzione storica. Soprattutto, “Penny Dreadful” è da annoverare tra le serie meglio recitate degli ultimi vent’anni. Eva Green ha raggiunto livelli di perfezione assoluta nei panni di Vanessa Ives, così come Timothy Dalton nei panni di Sir Malcom Murray, Josh Hartnett in quelli di Ethan Chandler, Billie Piper come Brona/Lily Frankenstein, Harry Treadaway come fragile e vulnerabile Victor Frankenstein e il mio personale favorito: Rory Kinnear, che ci ha regalato un Caliban/John Clare/Mostro umano, meraviglioso, empatico e straziante.
Ed è proprio il nostro John Clare che ci guida ad un finale che molti, anche tra i miei “colleghi”, hanno considerato affrettato e ingiusto, tirato per i piedi, troppo poco esaustivo.
Andando controcorrente dirò invece che, nonostante sia verissimo che alcuni personaggi avrebbero meritato più spazio, la conclusione poetica e tragica di “Penny Dreadful” mi è personalmente sembrata perfetta. Non come l’avrei voluta… ma a ogni modo perfetta e straziante.
L’unica pecca che posso attribuire a questa terza serie è la divisione forzata del nucleo principale, che avrei desiderato venisse riunito molto prima… ma, tant’è, la riunione ha avuto comunque il senso più grande che si possa immaginare: abbiamo parlato più volte nei nostri articoli sulla serie, di quanto sia straziante e dolce il rapporto che Vanessa riesce a creare con quel surrogato di famiglia che le si stringe attorno sin dal primo episodio. Murray che funge da padre putativo per lei e per i “ragazzi” Ethan e Episode 309Victor, Ethan che la ama disperatamente, Victor che si rapporta a lei come a una perfetta sorella maggiore. E John Clare/Il Mostro che gravita nell’orbita della famiglia, rimanendo ai margini ma sempre pronto a intervenire, prima come brutale assassino assetato di vendetta e poi come chiave di volta per il destino di quella donna unica al mondo, sola tra tanti disperati a rivolgergli una parola di conforto, un sorriso, uno sguardo gentile.

E a loro si aggiungono la dottoressa Seward e Catriona Hartdegen, colte solo di riflesso e per un breve istante dalla luce che Vanessa pare emettere da ogni poro, che attira le creature pure tanto quanto quelle corrotte, che è la causa della sua rovina… ma anche la motivazione per la quale la sua “famiglia” rischierebbe la vita per lei. Esempio lampante di questo è il giovane Victor Frankenstein, che dopo aver perso qualsiasi speranza di riavere per sé la Lily che si era costruito a immagine e somiglianza di un sogno, non esita minimamente ad accettare di seguire la banda non appena gli si ventila la possibilità che la vita di Miss Ives sia in pericolo.
Questo è “Penny Dreadful”.

Al di là dell’horror, dello splatter, delle atmosfere gotiche impreziosite dalla nebbia di Londra, dei dialoghi che richiamano i più grandi poeti e delle citazioni e delle strizzate d’occhio ai più grandi romanzi dell’orrore mai scritti, questa serie è una serie che parla di legami profondi, di sacrificio, di amore e di compassione.

Attori-Penny-DreadfulE di famiglia. Per quanto strana, dissestata e disfunzionale, il punto focale di “Penny Dreadful” è proprio quella famiglia che tutti i protagonisti sembrano inizialmente rifiutare, in un percorso che li porta inevitabilmente ad abbracciarla e accettare il proprio ruolo all’interno di essa, nel bene e nel male.
Non per niente, i dialoghi tra Sir Malcom e l’Apache Kaetenay [Magistrale come sempre Wes Studi, uno dei miei attori preferiti] in questa ultima, terza stagione, si concentrano soprattutto su quanto Ethan sia per entrambi come un figlio.
Non per niente, Vanessa si rinchiude in se stessa soprattutto perché le viene a mancare il supporto della sua famiglia e riemerge dalle rovine della casa solo e solamente quando Ferdinand Lyle [che porterò sempre nel cuore come uno dei personaggi secondari che ho più amato in assoluto] prende momentaneamente il posto di Sir Malcom e la convince a uscire.
Non per niente, Victor si allea con Henry Jeckyll perché vuole ricostruire la famiglia felice che sognava di avere con Lily.
Non per niente, Caliban/John Clare, in questa ultima stagione, si riunisce con quella famiglia da tempo dimenticata, solo per perderla nuovamente e vederla sfasciarsi sotto il peso della propria immortalità.

Ci mancherà, “Penny Dreadful”. Mancherà a quella parte di noi attratta dall’Oscurità ma inevitabilmente votata alla luce, come Vanessa per tutti i tre anni in cui ci ha accompagnati in questo viaggio. E, nonostante il finale ci possa apparire tragico, contiene comunque un barlume di speranza.
Nella pace che Vanessa ha finalmente ottenuto. Nelle figure di Ethan, Malcom e Victor in piedi a vegliare su di lei in morte come avevano fatto in vita. Nell’addio di John Clare finalmente libero dal passato e proiettato verso una nuova vita e nuove esperienze.
E per chi, come me, non si farà mai una ragione del destino crudele di una delle protagoniste meglio caratterizzate della televisione, ci saranno sempre quei ricordi della seconda stagione, quei momenti di luce bianca ed immacolata, di camicette inamidate e di sorrisi di bambini, illusione della felicità che Vanessa ed Ethan avrebbero potuto avere… se la nostra vita non fosse costellata di #maiunagioia amarissimi.

-Ocean-

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“Penny Dreadful” è stato unico, esattamente quel tipo di horror che ti trascina nelle sue spire e non ti lascia più e che ti fa amare ogni singolo istante, anche quelli in cui, magari, preferisci non guardare. Gotico. La parola magica, la carta vincente. Non solo horror, non mero horror, ma gotico. Un genere, il gotico, nato nell’architettura quasi mille anni fa e poi mutuato in altre forme d’arte (come la scrittura, letteraria o per lo schermo), che ha dato al mondo alcuni degli edifici più belli e grandiosi che l’umanità abbia mai costruito: cattedrali come Notre Dame (di Parigi o di Chartres), come il Duomo di Milano.
Come quelle splendide cattedrali, questo show è stato costruito con cura in ogni suo dettaglio, dalla storia ai dialoghi al cast. Un telefilm visivamente terribile, a tratti, eppure elegantissimo, avvincente e profondo.
Si partiva dal titolo, “Penny Dreadful”, che, come di certo sapete, era l’appellativo dei brevi racconti d’appendice pubblicati nel XIX secolo nel Regno Unito, i quali costavano un penny, per l’appunto, ed erano destinati a intrattenere i lavoratori nelle loro pause. Racconti che come i romanzi di quell’epoca non sono solo definiti horror, ma soprattutto gotici, in quanto frutto dell’unione dell’elemento horror con quello dell’amore e i cui temi sono il soprannaturale, i conflitti interiori e l’amore (perduto la maggior parte delle volte).
Le cattedrali gotiche, opere straordinarie, hanno una caratteristica comune: sono chiarissime all’esterno, con un cuore “oscuro” al loro interno, il quale, però, può diventare luminoso quanto l’esterno. Duomo di Milano a parte, non so chi di voi sia mai entrato a Notre Dame, ad esempio. Togliendo (e nonostante) le luci delle candele (e/o quelle artificiali), la cattedrale al suo interno può essere piuttosto buia, ma la situazione può cambiare in pochissimo tempo e la luce può esplodere prepotentemente, per di più in mille colori, grazie all’unione di un raggio di sole e dei rosoni, scacciando l’oscurità. Inoltre, le cattedrali gotiche dalla terra, in qualche modo buia, si innalzano verso il cielo, si protendono verso la luce più splendente, per catturarla e farla propria, per essere avvolte da essa.
E i romanzi e i racconti gotici hanno la stessa caratteristica, in quanto come quelle splendide cattedrali sono fatti di oscurità e luce. “Penny Dreadful” ha rispettato pienamente le caratteristiche di questo genere e la sua narrazione ha miscelato sapientemente i due elementi; è la luce che i suoi protagonisti, tutti, hanno inseguito dal primo all’ultimo episodio, che hanno bramato nonostante l’oscurità li circondasse e desse loro la caccia in modo spietato e che, nonostante tutto, hanno rappresentato.
Non solo, però, lo show ha rispettato queste peculiarità, ma le ha portate a un livello superiore, grazie a tre elementi: per creare la sua storia, sono stati uniti in modo geniale personaggi originali ad altri che emergono dai più grandi romanzi gotici e fantastici della Storia, ovvero “Dracula” di Bram Stoker, “Frankenstein” di Mary Shelley, “Il Ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde, “Lo Strano Caso del Dott. Jekyll e Mister Hyde” di Robert Louis Stevenson; dei dialoghi meravigliosi e un cast strepitoso, che ha reso giustizia a quei dialoghi.

Come se non bastasse la bellezza dei dialoghi originali, già notevole, spesso i personaggi hanno pronunciato le parole immortali di alcuni dei più grandi poeti della letteratura, come, ad esempio, John Clare e William Blake (il mio preferito, lo ammetto… “Vedere il mondo in un granello di sabbia / E il Paradiso in un fiore selvatico / Tenere l’infinito nel palmo di una mano / E l’eternità in un’ora”, i primi quattro versi della bellissima “Auguries of Innocence”).
I personaggi non originali sono stati utilizzati in modo fedele ma innovativo, per poter creare un naturale intreccio e legame con quelli originali e dare vita al favoloso ed eterogeneo gruppo che ben conosciamo (un legame bellissimo, il loro, espressione delle più diverse forme d’amore, come ben illustrato da Ocean). Inoltre, come ulteriore punto di pregio dello show, al suo centro vi è stata una protagonista femminile davvero unica: in un secolo, il XIX, che vedeva le donne quasi come oggetti ornamentali e in una società, quella britannica, che all’epoca le imprigionava in regole ferree e ingiuste, “Penny Dreadful” ha avuto Vanessa Ives, donna giovane, sofferente e che in qualche modo doveva essere protetta, sì, ma allo stesso tempo forte, combattiva e intrepida al punto di non avere alcun timore a inoltrarsi nell’oscurità più profonda e di restare completamente padrona di se stessa, quasi fredda e distaccata, dinanzi a dei veri mostri. La duplicità di Vanessa, infatti, era proprio nel suo essere timorosa per ciò che concerneva la sua anima (ciò che temeva era di non essere fondamentalmente buona e di essere, invece, malvagia), ma in mezzo a scontri fisici e mostri, che cercavano di scagliarsi su di lei e gli altri per ucciderli, camminava leggiadra, elegante, sicura e inarrestabile, senza il benché minimo timore, a mala pena degnando quei mostri di uno sguardo, sufficiente solo ad appurare se uno di essi era ciò che lei stava cercando o meno. E, tuttavia, amorevole con i suoi amati: “padre”, anima gemella, “fratelli”, amici e confidenti, tutti coloro che vegliavano su di lei come lei su loro.

Una protagonista splendida e fatta splendere dalla sua incredibile interprete, Eva Green, un’attrice che ha più volte dimostrato la sua bravura e alla quale qui è stato dato lo spazio che merita.
Il resto del cast, a sua volta, era meraviglioso: Timothy Dalton, Billy Piper, Josh Hartnett, Harry Treadway, Helen McCrory, Rory Kinnear, Reeve Carney, Simon Russel Beale, Danny Sapani, Patti LuPone, Sarah Greene, Christian Camargo, Wes Studi, Perdita Weeks, Samuel Barnett, Shazad Latif, David Warner e Brian Cox, solo per citare i nomi più famosi e i personaggi principali e più noti, tutti straordinari.

Quindi perché porre fine a un tale gioiello? Questo era “Penny Dreadful”. Soprattutto, perché in questo modo, con una stagione che è sembrata di passaggio, che ha visto l’introduzione di nuovi personaggi favolosi (Catriona era una Van Helsing al femminile, la Dott.ssa Seward un personaggio oltremodo interessante, Dott. Jekyll è lapalissiano, il Dracula di Camargo meraviglioso, affascinante e inquietante), la quale, però, proprio per come è stata strutturata la stagione è sembrata inutile, mal gestita, con un loro sviluppo del tutto approssimativo e incompiuto. Così come sono rimaste inspiegate molte, troppe cose, a partire dall’intreccio mitologico introdotto nella prima stagione (Dracula vivo e chissà dove e il gruppo, con i suoi recenti acquisti, che fine fa?).
Dunque, non solo ci troviamo orfani di una serie gioiello, ma anche derubati di una conclusione davvero degna ed esaustiva (che lo show meritava, proprio per il suo oggettivo e indiscutibile valore) e consapevoli che c’era materiale per un’altra stagione.
“Penny Dreadful”. Un “Farewell To…” che nessuno era pronto e voleva scrivere, quantomeno non così presto. Purtroppo è andata così, ma almeno possiamo dire di aver assistito ed essere stati parte di un vero gioiello della televisione. Questo nessuno ce lo porterà via.

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-Sam-

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Annalisa Mantovani nasce a Ferrara, in un freddissimo e nevossissimo Febbraio del 1980. Forse è per questo che odia l’estate, il sole e il caldo e preferisce climi rigidi e temperature polari, grazie alle quali può godersi le fusa dei suoi gatti, una bella coperta calda, il divano e i suoi amatissimi libri. Sin da piccola legge tutto il leggibile, dal romanzo d’avventura al fantasy, dalla storia d’amore alle etichette dello shampoo, ma le sue letture preferite rimarranno sempre i romanzi di Emilio Salgari sul pirata Sandokan, Il Silmarillion di quello che definisce il suo “papà” letterario J.R.R.Tolkien, la saga di Harry Potter e qualsiasi cosa sia stata scritta sui vampiri, anche la spazzatura. Da qui, e dalle sessioni di Dungeons&Dragons a cui gioca col marito ormai da più di 15 anni, la passione per la scrittura di romanzi fantasy e urban fantasy che, se dio vuole, un giorno riuscirà anche a pubblicare. Telefilm Addicted da quando guardava Hazard e l’A-Team con il nonno dopo i compiti, predilige serie dove la componente sovrannaturale giochi un ruolo importante, anche se non disdegna Downton Abby, Criminal Minds e Broadchurch. Whovian per la vita, le sue serie del cuore saranno sempre Doctor Who, Buffy e, da poco aggiuntasi, Once Upon a Time, che ha il potere di farla tornare bambina.

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